giovedì 5 settembre 2024

Stefano Righini / Giovanni Zucca: Ordine


[MININT/DirOpSpec/Registrazione n° 22471127, effettuata in data: 04/III/90, classificazione: ALFA, luogo: Bologna, indirizzo: (OMISSIS), soggetti di seguito identificati come: (OMISSIS)]
PRIMO UOMO: «Ci siamo tutti, possiamo cominciare. Allora?»
SECONDO UOMO: «Allora basta spaccare il muso ai negri, che due maroni, ne pesti uno e ne arrivano altri dieci, non si può andare avanti così, è ora di fare qualcosa di più…» TERZO UOMO: «Spacchiamogli il culo!»
QUARTO UOMO: «Perdio hai ragione. È ora di finirla con ’sti terroni di merda, con i negri, gli zingari, i drogati, i travestiti! Bologna sta diventando uno schifo!»
SECONDO UOMO: «Se è per quello, lo è già diventato…» PRIMO UOMO: «Calma.
Nervi a posto, ragazzi. Stiamo per avere quello che ci serve. Non vi posso dire niente. Vi chiedo di avere ancora un po’ di pazienza, poi cominceremo davvero…»
SECONDO UOMO: «A far cosa?»
PRIMO UOMO: «A mettere ORDINE.»

Mercoledì. Mi sto snervando al computer, oggi è lento come la fame, suona il telefono, alzo la cornetta e dall’altra parte sento Cater che mi fa “…senti, sono andata dai carabinieri, ho ritirato la denuncia, loro dicono se riconosceresti il ladro e se hai voglia di andare a vedere delle fotografie, però se lo hai visto bene davvero, chissà che non ci sia, sai, tra quelli schedati; se vuoi, ti do il numero di telefono. Io fossi in te non andrei, non si sa mai, però tu fai come ti pare, ora ti lascio, ciao, un bacio”.
Questo succede un mercoledì torrido di metà luglio, quattro del pomeriggio. Il pinguino del mio ufficio ansima, è tutto umido, gli stampati, i floppy, la sedia in skai, i vestiti incollati alla pelle. Io penso che non so se mi va, non so se è giusto, questo è proprio uno sfigato. Ti pare che uno deve rubare il Venerdì una 205 diesel furgonata e senza sedili posteriori, con uno stereo da centomila a dir tanto, e poi la domenica, mentre se ne va in giro tranquillo con Vasco che urla al massimo, si ferma a un semaforo e si trova di fianco il proprietario?
Però… però l’incazzatura per il furto c’è stata, lo stress di ritrovarsi senza macchina la settimana prima delle ferie pure, i soldi per la serratura il carrozziere li ha voluti, e poi… e poi non posso fare a meno di pensare a quello che direbbe Massimo, giù al dojo “… questi se la cavano sempre, non è mica giusto, allora che senso ha essere onesti…”.
Così, considerato che sono un cittadino, che le tasse le pago, che non sputo sui miei doveri (non come i terroni, tutti lì a lamentarsi che “lo Stato non fa niente” e poi guai a dio se muovono un dito), mi faccio forza, in barba al caldo. La cosa, la cornetta del telefono è umida, le dita sdrucciolano sui tasti, sbaglio numero due volte, infine sento gli squilli e una voce decisa che fa “Carabinieri, stazione di Corticella, dica”.
Ho spiegato la faccenda del riconoscimento, mi hanno passato un non so chi, brigadiere o maresciallo, che mi ha sparato una salva di domande “… certo che l’ho visto in faccia, sicuro… sì, ho aperto lo sportello, volevo tirarlo giù a forza…”, “… no, sul momento non ho pensato che poteva essere armato, mi sentivo un po’ Starsky e Hutch…”, “… vedo troppa tivù, ha ragione…”, “se possibile preferirei Venerdì… alle sei e mezza? bene, sì, certo, buonasera…”.

[MININT/DirOpSpec/Registrazione n° 25991873, effettuata in data: 22/V/90, classificazione: ALFA, luogo: Bologna, indirizzo: (OMISSIS), soggetti di seguito identificati come: (OMISSIS)]
PRIMO UOMO: «Finalmente, credevo che non venisse più, mar…»
SECONDO UOMO: «E checcazzo. Niente nomi né gradi, abbiamo detto. Sono stato trattenuto.»
PRIMO UOMO: «Ha portato il… materiale?»
SECONDO UOMO: «Certo che no. Mi hai preso per un coglione? vai a questo indirizzo. In cortile nel box numero undici c’è una Golf nera. Nel baule troverai quello che vi serve. Chiaro?»
PRIMO UOMO: «Chiarissimo. E per quanto riguarda… le indagini? il suo sup… ehm, volevo dire il suo, mh amico, mi aveva parlato di un occhio, come dire, di riguardo…» SECONDO UOMO: «Voi state attenti a non fare cazzate.
Hai capito cosa intendo?»
PRIMO UOMO: «Sssi, credo di… insomma, sì, ho capito.»
SECONDO UOMO: «Bene. Al resto penseremo noi.» Venerdì. Me ne esco dal lavoro, salto sulla Yamaha (un Super Tenerè 750 nuovo di pacca, due anni di risparmi, peccato che a Cater non piaccia andare in giro in moto, sennò col cavolo che ci sorbivamo tutti quei chilometri chiusi in mac china, che poi magari becchiamo anche una fila della madonna), inforco i rayban modello polizia, quelli piccolini senza cerchietto, e via verso
Corticella.
La stazione è un villino ocra, uguale a tanti altri, non fosse per quell’insegna, CARABINIERI, quel po’ di filo spinato sul muro di cinta e la telecamera in cima al portoncino.
Un piantone in divisa kaki mi fa strada lungo un corridoio, bussa a una porta. Entro nell’ufficio, mi secca ammetterlo ma sono un po’ emozionato.
Il sottufficiale è un omone solido, sui quarantacinque. Mi stritola la mano e mi fa accomodare. Gli racconto di nuovo tutto quanto, la 205, le ferie, il semaforo, quello che scappa e corre, io dietro e lui corre più forte. Il carabiniere ascolta attento e zitto.

Di colpo tutto mi sembra ridicolo. In fondo è solo un furto d’auto, poi la macchina è anche tornata a casa, perché mai dovrebbero darsi tanta pena?
Non lo arresteranno mai, e se anche dovessero farlo, quello torna libero in quattro e quattr’otto.
Diciamo la verità, stiamo perdendo tempo.
E il bello è che lo sappiamo benissimo tutti e due.
Mi mostra il casellario fotografico (“Le guardi bene, con calma”). E se lasciassi perdere? No, ormai sono qui, bisogna che vada fino in fondo.
Le foto sono davvero ignobili. Espressioni innaturali, colori da schifo.
Sono tante, tantissime. Dopo un po’ mi sembrano tutti fratelli, figli della madre di tutti i delinquenti. Tanto è inutile, sono tutti uguali… tutti uguali.
Un momento.
Forse mi sbaglio… eppure… gli stessi occhi stretti, lo stesso ghigno da bulletto su una faccia tonda come una mela. Oh cacchio, è lui.
Quando mi sono soffermato sulla faccia di Belloguardi Donato, nato a
Milano, anni 27, due condanne per furto e altro che non ho fatto in tempo a leggere, il sottufficiale ha drizzato le orecchie da segugio: «Le sembra di riconoscere qualcuno?» e io neutro «credevo di averlo visto bene, ma sa com’è, queste foto tutte uguali, non vorrei mica mettere di mezzo uno che non c’entra, uno innocente» e lui fa sì, sì con la testa, come uno che di innocenti non ne ha visti più da chissà quanto. Alla fine mi sono alzato e me ne sono andato. L’aria mi accarezza la faccia mentre la Yamaha guizza verso casa.
Mi domando perché.
Perché non ho detto che era lui.

[MININT/DirOpSpec/Registrazione n° 27051134, effettuata in data: 29/IX/90, classificazione: ALFA, luogo: Bologna, indirizzo: (OMISSIS), soggetti di seguito identificati come: (OMISSIS)]

PRIMO UOMO: «Ti dico che ci ha visti!»
SECONDO UOMO: «Merda! Dai, torna indietro, muoviti!» PRIMO UOMO: «Mi ha visto quando ho tirato al drogato! che cazzo facciamo?»
SECONDO UOMO: «Zitto. Passami un caricatore.» TERZO UOMO: «… eccolo là. Sta scappando.» PRIMO UOMO: «Un momento… aspetta…»
SECONDO UOMO: «Piantala. Lo hai detto tu che ci ha visti. Così… rallenta…» (Seguono quattro detonazioni; presumibilmente colpi di arma da fuoco corta).
Sabato. Succede che arrivo a casa, domani finalmente partiamo (forse dovrei avvertire Massimo, è già un po’ che non vado ad allenarmi, quello poi mi torchia quando torno) e squilla il telefono.
È Cater, “Senti è successo un casino, Marina sta malissimo, una cosa intestinale, è in ospedale, ha bisogno di assistenza, mi spiace un casino, vuol dire che rimandiamo un paio di giorni, tanto andiamo a Palau da tuo cognato, due o tre giorni in più o in meno…, be’ ti richiamo, ciao un bacio.» Ho ribattuto qualcosa, tanto per dire, ma Cater è attaccatissima a sua sorella. E così sono solo, in pieno luglio, senza nulla da fare.
Pensandoci bene, qualcosa da fare ci sarebbe.
E non si tratta solo di riempire un fine settimana.
Fai la tua vita normale, un giorno dopo l’altro, da brava formichina. La famiglia, il lavoro, gli amici. Ti sforzi di non pensare alla giungla che ti circonda, quella giungla che riempie i telegiornali e i quotidiani, quella giungla dove un giorno cresceranno i tuoi figli.
Delitti di mafia, rapine, droga, stupri, corruzione… Ti domandi perché loro sì e tu no.
Ti domandi se anche tu, agnello, in altre circostanze saresti diventato lupo. Quella volta che hai rubato un libro alla Feltrinelli (anche se allora era un “esproprio”, alla faccia di chi deteneva la cultura)… o quella sera che hai fatto l’amore con Paola (lei non voleva, ma tu… dopo non ti ha più salutato, ma prima aveva fatto di tutto per eccitarti).

Chi dà la colpa alla società, chi ai cromosomi, chi al destino infame.
Bla bla bla. Tante parole a vuoto.
Tu, invece, hai bisogno di capire. Se vuoi reagire.

[MININT/DirOpSpec/Registrazione n° 29844519, effettuata in data: 1/VII/91, classificazione: ALFA, luogo: BOLOGNA, indirizzo: (OMISSIS), soggetti di seguito identificati come: (OMISSIS)]
PRIMO UOMO: «Occhio con quel cannone, cristo!» SECONDO UOMO: «Questa volta gli facciamo un culo così!» TERZO UOMO: «Nervi a posto, ragazzi. Ripeto. Io vado per primo, apro il fuoco sul bersaglio in modo che tentino di scappare, a quel punto entri in ballo tu, numero Due, fuoco incrociato, attento a non entrare nel mio campo di tiro, ok?» SECONDO UOMO: «Sì, sì, va bene, fidati cazzo, non ci saranno sbagli.»
TERZO UOMO: «Ricordati del metronotte, numero Due…» SECONDO UOMO: «Un colpo di sfiga, punto e basta.» PRIMO UOMO: «Ci siamo. Sono in tanti. Sette… no, otto. Siete pronti?»
TERZO UOMO: «Svelti, le maschere. Quando siamo vicini metti gli abbaglianti. No lascia, allo spray ci penso io, la firma deve essere chiara…»
SECONDO UOMO: «Zingari di merda, schifosi, adesso vi inculo io, con questo bel cazzone calibro dodici…»
TERZO UOMO: «Colpo in canna» (Segue una serie di schiocchi metallici, presumibilmente dovuti a meccanismi di armi a pompa). «Tre, due, uno… ORA!» (Seguono numerose esplosioni di armi lunghe di grosso calibro).

Come si attacca discorso con un ladro d’auto, parlando del tempo, dell’aumento delle assicurazioni? Forse sarebbe meglio lasciar perdere tutto. Ho rimediato l’indirizzo dall’elenco del telefono e per il terzo giorno consecutivo sono qui, appollaiato sulla Yamaha, dietro all’edicola di piazza Azzarita, chiusa per ferie. In realtà non sono affatto sicuro.

Magari è un omonimo, magari il mio uomo non è in elenco. con il “mestiere”, che fa, il telefono gli serve; oddio, se è furbo, usa quello pubblico. Ma chi l’ha detto che è furbo? Ancora mezz’ora. Per ingannare l’attesa e per darmi un contegno, sfoglio il Carlino. In cronaca domina ancora il fatto dei nomadi, cinque accoppati a fucilate davanti alla baracchina dei gelati del Parco Nord. Si sprecano le ipotesi su quella parola vergata sull’asfalto insanguinato, nera e minacciosa: ORDINE.
Il portone d’ingresso si apre, una biondina coll’aria da tossica. Si volta, scocca un bacio rapido a qualcuno che la segue, si allontana a piedi. Lui non ha i lineamenti stravolti della foto segnaletica, ma la faccia è proprio quella. Ora sono sicuro di aver fatto centro.
Come stai, Belloguardi Donato?
Ho lasciato andare avanti il Pajero taroccato, poi ho spronato la Yamaha.
L’ho riacchiappato a un semaforo (dev’essere un destino) in viale
Pietramellara. Manovro per non stargli nello specchietto, per fortuna ci sono altre macchine. Mi piacerebbe guardarlo negli occhi, parlargli come a uno qualsiasi. Male che vada mi manderà affanculo, in fondo non è mica Al
Capone… Parcheggia davanti a una hosteria ristorantino (una di quelle con l’acca davanti e l’aria finto antica da fighetti), entra e si siede a un tavolo dove lo aspetta un tipo. Da fuori li vedo confabulare, mentre bevono una cosa colorata. Poi Donato esce e si avvia a piedi.
Non mi è venuto in mente nulla di meglio che mettermi a spingere la moto, fingendo un guasto improvviso. Lui mi ha squadrato una volta, ma si vede che ha altro per la testa. Dopo un po’ infila una traversa di via Zamboni, tranquillo come un pensionato a spasso. Però svolta senza esitare, credo che sappia benissimo dove sta andando.
Di botto si ferma in una piazzetta medievale. Mi blocco anch’io.
Si guarda intorno senza parere, poi si addossa alla portiera di un Mercedes metallizzato. Pesca qualcosa dal giubbotto, armeggia, non riesco a vedere bene, la portiera si apre, parte un ululato elettronico, Donato è nella macchina, l’allarme ammutolisce, il motore romba sommesso, il macchinone mi sfreccia davanti al naso.
Roba di un minuto.
Il cuore mi pulsa forte in petto.
Ho assistito a un crimine in diretta.
La Yamaha “in panne” riprende vita. Non devo perderlo, se voglio scoprire dove va.
Non credo che la porterà nel garage sotto casa. Infatti Donato svolta verso via Indipendenza, poi prende per via Irnerio. Stiamo uscendo dal centro, siamo già in Beroaldo, il traffico è più rado e più veloce.
Forse ci siamo. Un recinto metallico che racchiude un branco di auto malconce. Uno sfasciacarrozze. A quest’ora dovrebbe essere chiuso. Invece sbuca un bassotto tozzo e unto di grasso. Donato scende, parlottano, un africano magro porta il Mercedes nel recinto. Aspetto di veder passare di mano dei bigliettoni, niente da fare, sono deluso. Riappare il negro al volante di un’Alfetta, Donato monta in macchina e partono.
Aspetto qualche minuto, poi gli vado dietro, o meglio ci provo, perché questa volta la moto è in panne davvero. Comincio a spingere. Penso che dopo tutto non è un problema. Ormai ne so abbastanza, di Belloguardi Donato e dei suoi amici.

[MININT/DirOpSpec/Registrazione n° 29844519, effettuata in data: 14/VII/91, classificazione: DELTA, luogo: ROMA, indirizzo: (OMISSIS), soggetti di seguito identificati come: (OMISSIS)]
PRIMO UOMO: «Ci sono novità da Bologna?»
SECONDO UOMO: «Oh, ecco, credo si sia verificata un’altra… esecuzione, per così dire. Un paio di volgari farabutti, nulla più.»
PRIMO UOMO: «Lei non è informato preventivamente?» SECONDO UOMO: «Ecco, il legame è alquanto… fluido, per così dire. Data la situazione…»

PRIMO UOMO: «Per l’appunto. Perciò, se ci fossero difficoltà, problemi…»
SECONDO UOMO: «In quel caso, siamo pronti ad intervenire. Si tratta di un incendio circoscritto. Come l’abbiamo acceso, così possiamo spegnerlo in qualunque momento. Definitivamente.»
PRIMO UOMO: «Ottimo. E quando i suoi “pompieri”, avranno provveduto, non dimentichi di cancellare tutte le tracce.»

Il battito sommesso delle onde mi risveglia dolcemente. Cater dorme ancora.
Le passo un dito sulla schiena nuda, liscia e abbronzata. Esco nel patio.
Gli oleandri, la terrazza sul mare, il dodici metri all’ancora qui davanti… bella la vita del cognatino!
La salsedine mi riempie i polmoni. Scendo alla spiaggia. Qua e là un bagnante mattutino. Comincio a correre lungo il bagnasciuga. Dopo una settimana di vento gagliardo, oggi le acque sono finalmente calme, appena increspate, l’ideale per un bagno come si deve.
Anch’io sono calmo. Ho preso una decisione.
Prima di partire, dopo che Marina si è ristabilita, ho chiamato Massimo.
Ci siamo visti. Ne abbiamo parlato a lungo. All’inizio mi ha preso un po’ in giro, fingeva di non capire. Poi si è fatto serio, mi ha preso sottobraccio mentre camminavamo, ha abbassato la voce. E mi ha spiegato.
Ci siamo trovati d’accordo, subito, su tutto. Adesso sono contento. L’altro giorno, il notiziario radio ha parlato del ricettatore grasso e del suo tirapiedi negro. Proprio come in guerra (l’ha detto un onorevole al tg). Messi al muro e fucilati. Ai piedi di quell’unica parola che sta levando il sonno alle belve della giungla.
ORDINE
Il tonfo dei miei piedi sulla sabbia. Ho preso il ritmo giusto. Mi sento forte, sicuro, instancabile.
Voglio godermi questa vacanza. Ne ho bisogno. Al ritorno mi aspetta molto lavoro.
Belloguardi Donato, per cominciare. Certo, è solo un ladro d’auto, e con questo? Presto o tardi rapinerà una banca, sparerà a qualcuno. Un colpo di fortuna gli ha evitato, per stavolta, la fine dei suoi compari.
Ma è solo questione di tempo. Tra una settimana sarò di ritorno. E allora… Una sera, una UNO bianca si fermerà sotto le finestre di Belloguardi Donato. Sopra, ci saranno alcuni uomini che hanno capito prima di me. E questa volta ci sarò anch’io.
Perché anch’io ho capito.
È arrivato il momento di dire “basta”. È arrivato il momento di mettere

ORDINE 

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