Parigi uggiosa assume le sembianze di una tela romantica. Il cielo si riempie di nubi, cambiano volto alla città degli amori nati, che assumendo un aspetto bigio e grave diventa la città degli amori spezzati. Così era anche un’imprecisata sera del 1971; le gocce di pioggia che scaturivano dalle nuvole grigie, a un tratto del loro tragitto, sciamavano con altre e gonfiavano la Senna. Alcune di queste, deviando dall’itinerario, infradiciavano un uomo seduto sul greto del fiume. Doveva essere sulla trentina all’epoca, di robusta costituzione, aveva un volto spigoloso e un mucchio di capelli crespi sulla testa, che prendevano la forma di un cespo di lattuga; era vestito elegante in quanto pianista di piano bar in trasferta e fuori servizio, con velleità da cantautore o, come gli piaceva definirsi: “piano man”. Reduce da una serata in una bettola parigina e Dio solo sa quanto può esser dura per uno che ha qualcosa da dire e con nessuno che lo sta ad ascoltare, mettere piede in locali con i muri fradici e umidi, a causa di un pertugio da che lascia filtrare il piovischio, mantenendo comunque un contegno professionale e cercando di zittire l’urgenza espressiva teneva in mano una bottiglia di vino da cui beveva un sorso e che subito riponeva a terra, poi tirava fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette da cui ne estraeva una. Subito dopo, come suggerito da una musa o preso da un incantesimo, estraeva una matita e incideva frasi, pensieri sconnessi, che man mano che venivano scritti assumevano un senso logico. Mentre era intento a far questo avvertì un botto e poi, da alcuni lampi di forma strana, concentrica, spuntò un giovane. William Joel – questo era il nome del pianista della Senna – corse a vedere che il ragazzo non si fosse fatto male. Il poveretto era a terra, pareva morto; Billy prese a punzecchiarlo, poi si accertò avesse ancora battito; non sapendo fare meglio lo trascinò fino un bar. Vi entrò portando il ragazzo a peso e lo adagiò su di una sedia. E qui giace la lepre; già perché Joel (cittadino americano) di francese non sapeva praticamente nulla, se non quel poco di cui si serviva per vivere e fare le serate. Arrivato presso il bancone quindi, provò a tentare un timido approccio con il barista; nella mente vi erano ancora rimasugli di vocaboli provenienti da tutte le lingue d’Europa: inglese, francese e tedesco; selezionava accuratamente quelli provenienti dal francese e cercava di disporli in modo che suonassero sensati alle sue orecchie:
«Esqua je potrai aver un ber d’eau?»
Nonostante questo tentativo di produrre una frase in francese che aveva avuto, invece, come unico risultato la produzione di una frase in una lingua simil francofona, unione di quei vocaboli: francesi, spagnoli e italiani, che non aveva preso in considerazione nell’attività di separazione il barista colse comunque il senso della richiesta e gli allungò il bicchiere. Nel frattempo il giovane, che stava riavendosi, si ritrovò accerchiato da Joel e dal garzone; cominciarono a fare domande, nelle rispettive lingue, egli ribatteva con altre, confusamente: in italiano, inglese e quel poco di francese che sapeva. Nel mezzo della babele che s’era venuta a creare il ragazzo, rinvenuto completamente, non appena ebbe tempo di riconoscere uno tra i due che lo stavano soccorrendo, sbiancò:
«Billy Joel, Billy Joel!» cominciò a parlare inglese, trasformando l’eccitazione in riverenza «Mr Joel i’m so glad to meet you, i love your music» diceva stentando a parlare inglese. Joel non capiva il motivo di quell’atteggiamento, d’altronde non aveva mai fatto sentire a nessuno i suoi pezzi, e ascoltare quel misterioso viandante esporli uno a uno a uno gli accapponava la pelle. Non appena ebbe finito di parlare fu chiesto, a ragione, da dove venisse inizio una cronaca veramente inverosimile che ora ascolteremo per sua bocca.
«Beh... ecco vedete, potrà sembrare strano ma... io vengo dal futuro; più precisamente dal 2020. Ho ricevuto un invito per provare la macchina del tempo e uno come me, di fronte alla prospettiva di esaminare le vite di coloro che, per primi hanno avuto coraggio di cambiare l’umanità, era una tentazione irresistibile. Così facendo mi misi allora all’interno della macchina ed espressi il desiderio di venire prima di tutto a visitare questo decennio. Fu allora che l’arnese, in preda a un guasto, cominciò a tribolare (questo perché il guasto tecnico di un macchinario, a mio modo di vedere, corrisponde a un tribolo morale umano). Ricordo un gran vociare all’esterno, una luce e di essermi risvegliato qui.»
Detto questo, Billy, che stava ascoltando quella storia così suggestiva, ebbe un soprassalto nel sentirsi considerare uno che poteva cambiare il mondo; lui che dopo il suo fallimento non si sarebbe dato neanche un dollaro. Così, oramai troppo tentato chiese al supposto viandante temporale (da tenere presente che i due interlocutori che rivolgevano le domande continuavano a parlare nelle rispettive lingue e che colui che rispondeva, lo faceva, ora nell’una, ora nell’altra):
«Quindi io sarei una persona che ha cambiato il mondo.»
«Assolutamente» rispose.
Ma si sa, per l’uomo è impossibile credere in ciò che non riesce a comprendere; le prove della macchina erano state distrutte nell’impatto. Il barista, appartenente alla stirpe sopra menzionata, aveva già chiamato i servizi d’emergenza. Le ambulanze non ci misero molto ad arrivare e quando furono lì, il poveraccio fu caricato su una di esse e portato al manicomio. Quando i manicomi furono smantellati venne trasferito in una casa di cura, dove tutt’ora vive e continua a dire di venire dal futuro.
Billy Joel pubblicò un album chiamato Piano Man, all’interno del quale inserì “Somewhere along the line”, ispirato ai fatti di quella sera.
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