lunedì 27 novembre 2023

Capitolo 78: I cani dello zio Giovanni Culla, Ardenza (LI), giugno 1969

Oggi trasferta ad Ardenza di Livorno.
Partenza da Modena molto presto, io Giorgio e Gabriella stiamo ancora praticamente dormendo. Mio padre ci carica in macchina e via verso Livorno, in autostrada. Se tutto va bene dovremmo arrivare là fra tre orette, il papà non va forte, ma in autostrada va più veloce del solito. Noi continuiamo a dormire, ci sono gallerie e il paesaggio è monotono.
Appena ci avviciniamo alla meta ci riprendiamo subito, ci piace il passaggio attorno a Pisa, la strada costeggia il Camp Darby, la base militare dell'esercito americano in Italia. Possiamo vedere, anche se da lontano, jeep, carri armati, cannoni, mitragliatrici, soldati che corrono e marciano, e aeroplani... tutto tassativamente in verde mimetico con stampata la stella bianca a cinque punte dentro al cerchio bianco. Fa un certo effetto vedere degli stranieri armati a casa propria, il papà dice che con la guerra fredda non c'è da scherzare, che anche noi nel modenese abbiamo la nostra base americana, dentro al Monte Cimone.  Giorgio salta su e dice la sua "Non ti ricordi i militari di colore questo inverno a Sestola, secondo te cosa ci facevano dei neri in inverno e sotto la neve dalle nostre parti..." E in effetti... 
Adesso invece il clima cambia e anche la vegetazione. I pini marittimi, con i loro cappelli enormi e tutto intorno il profumo di resina, e poi quasi a Livorno passiamo vicino a Rosignano Solvay e il profumo cambia, c'è odore di bicarbonato, lo riconosco perché la mamma ce lo dà a volte per buttare giù se abbiamo mangiato troppo, e puzza e ha un cattivo sapore e fa fare i rutti... a noi piace solo per quello, ci divertiamo a inseguirci per casa sparandoci rutti più o meno enormi...  
Ovunque si vede sparsa polvere bianca. Poi finalmente ritornano i pini e il profumo del mare... Livorno. Ci fermiamo a salutare la zia Lia, e poi andiamo dallo zio Mario dove c'è anche la zia Lilli e la cugina Gioia. Verso mezzogiorno ripartiamo e costeggiando il lungomare, bellissimo con quella terrazza balconata, andiamo verso Ardenza, dove la zia Pia e lo zio Giovanni hanno la farmacia.
I soliti baci abbracci e convenevoli, i cugini Carluccio, Lalla e Misa, e poi i tre biondi cuginetti... Dario Roberto e Riccardo, scatenati come non mai. Io e Giorgio siamo più vecchi e non ci facciamo coinvolgere nei loro giochi.

Tutti a tavola, l'Irma, la cuoca della zia, ha preparato le cozze gratinate, le fa da Dio e io e Giorgio ne mangiamo a crepapanza.
Il pranzo è finito, i cinnazzi vanno a giocare in cortile, il papà si appoggia al divano per fare la sua pennichella, la mamma aiuta in cucina, e io seguo lo zio Giovanni di nascosto, ho sentito parlare della leggenda dei suoi cani e sono curioso. Ha una casa piena di anfratti e trabocchetti che mi affascina, ma a un certo punto una porta a vetri smerigliata e chiusa con un chiavistello mi impedisce di andare oltre. Io non capisco quale segreto ci possa essere, poi sento strani rumori, strani scalpiccii, strano modo di respirare, affannato e veloce... 
Cerco di immaginare cosa possa essere poi vedo attraverso il vetro delle grosse ombre nere sfuocate che si muovono veloci per quelle stanze, a carponi e con le corna dritte in testa e facce lunghe e affilate... sono enormi, impressionanti. 
Girano, annusano, frugano dappertutto, poi corrono dove è andato lo zio e spariscono dalla mia vista.
Spaventato torno dagli altri, ma non dico nulla, ho paura di prenderle perché sono andato a spiare. Avevo sentito parlare della leggenda dei cani dello zio Giovanni, ma quelli mi sembravano dei mostri infernali. Zitto, verso sera risalgo in macchina, e giuro a me stesso che non lo dirò mai a nessuno.


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