giovedì 24 luglio 2025

Ellery Quinn - L’avventura del viaggiatore africano



Infilato in un largo abito di tweed e immerso in profonde riflessioni, Ellery Queen avanzava, si fa per dire, con una certa fatica nel corridoio all’ottavo piano dell’Istituto di Lettere, la fastosa roccaforte dell’università. L’abito era autentico Bond Street, perché Ellery si vestiva soltanto in sartoria. Le riflessioni, invece, erano “made in USA”, dato che nelle sue orecchie si riversava il peculiare gergo di studenti e studentesse, e che da giovane anche lui aveva frequentato l’università. Harvard, precisamente.

E quello era il massimo tempio della cultura di New York, pensò, sarcastico, mentre si apriva un varco con la punta del suo bastone tra un’orda di studenti urlanti. Sospirò e i suoi occhi grigi si addolcirono dietro le lenti del pince-nez. Infatti, possedendo quell’acuto spirito di osservazione così essenziale per la sua professione di criminologo, non poté fare a meno di notare la carnagione rosea, gli occhi maliziosi e le figurette snelle di molte ragazze che incontrava. Rattristato, si disse che la sua università, pur modello di virtù educativa, sarebbe stata in condizioni molto più fiorenti, se avessero asperso le proprie classi di muscolosi giovani con il delizioso profumo di fanciulle come quelle. Sicuro, sicuro.

Ellery Queen respinse quei pensieri poco professorali e si fece largo pian piano tra una schiera di ragazze ridenti e si avvicinò con aria dignitosa alla sua meta, l’aula 824.

Qui si fermò. Una giovane donna alta e bella, dagli occhi di cerbiatta, stava appoggiata alla porta chiusa e aveva talmente l’aria di aspettare lui che Ellery cominciò ad avvertire sotto il tweed un… buon Dio… un fremito. La ragazza si appoggiava, per l’esattezza, alla piccola targa sulla quale era inciso: CRIMINOLOGIA APPLICATA, SIGNOR QUEEN. E questo era un sacrilegio, diamine.

Gli occhi di cerbiatta lo guardavano appassionatamente, con ammirazione, quasi con reverenza. Come si comportava in simili circostanze un membro del corpo accademico?, pensò Ellery con un gemito muto. Doveva ignorare la giovane donna, parlarle con tono autorevole…? La decisione gli fu strappata di mano e, per così dire, messa su un braccio. La sconosciuta, infatti, gli strinse il bicipite sinistro con deferente vigore e disse con voce flautata: «Lei è proprio il signor Ellery Queen, vero?».

«Io…»

«L’ho riconosciuta subito. Ha degli occhi meravigliosi. Di un colore così strano… Oh, sarà emozionatissimo, signor Queen!»

«Scusi, non capisco.»

«Ah, non mi sono spiegata, vero?» La mano si staccò dal suo bicipite e lui notò con stupore che era incredibilmente piccola. Poi la ragazza disse, in tono freddo, come se Ellery fosse scaduto nella sua stima: «E lei sarebbe il famoso detective. Mmm. Un’altra illusione sfumata. Mi ha mandata qui il vecchio Icky, s’intende».

«Il vecchio Icky?»

«Non sa neanche questo. Cielo! Il vecchio Icky è il professor Ickthorpe, dottore in lettere antiche, dottore in lettere moderne, dottore in filosofia e in Dio sa che

altro.»

«Ah!» fece Ellery. «Incomincio a capire.»

«Era ora» disse severamente la giovane donna. «Il vecchio Icky è anche mio padre.» Di colpo divenne molto timida, o così parve a Ellery, perché le lunghe ciglia inverosimilmente ricurve calarono a velare gli occhi del bruno più scuro.

«Capisco, signorina Ickthorpe.» Mio Dio, che nome! «Capisco anche troppo bene. Siccome il professor Ickthorpe mi ha adescato a tenere questo assurdo corso di lezioni e dato che lei è sua figlia, crede di potersi intrufolare con le moine tra i miei allievi. Ragionamento fallace» dichiarò Ellery, piantando il suo bastone sul pavimento come uno stendardo. «Non sono d’accordo. Proprio no.»

Inaspettatamente, la punta di un piedino infilato in una scarpetta senza tacco colpì il bastone e lui agitò freneticamente le braccia per mantenere l’equilibrio.

«Non si dia tante arie, signor Queen. Su, da bravo. Vogliamo entrare, signor Queen? Che nome simpatico!»

«Ma…»

«Icky ha già sistemato tutto, che Dio lo benedica.»

«Mi rifiuto assolu…»

«Ho versato il mio tributo nelle avide mani dell’economo. Io ho una laurea in lettere, sa, e bighellono qui facendo qualche lavoro per il mio professore. Sono molto intelligente, vedrà. Oh, via, non sia così professorale… Lei è un giovanotto troppo simpatico e i suoi affascinanti occhi d’argento…»

«Va bene» disse Ellery, che a un tratto si sentì molto soddisfatto di sé. «Venga pure.»

L’aula era una piccola stanza che conteneva un lungo tavolo fiancheggiato da sedie. Due giovani si alzarono: con fare rispettoso, notò Ellery. Parvero sorpresi, ma non troppo depressi, alla vista della signorina Ickthorpe, che evidentemente era un personaggio famoso. Uno di loro si protese e strinse con vigore la mano di Ellery.

«Signor Queen! Sono Burrows, John Burrows. È stato molto gentile a scegliere me e Crane in quell’orda di aspiranti cacciatori di uomini.»

Era un ragazzo dagli occhi vivi e dal viso sottile, intelligente. Un tipo simpatico, decise Ellery.

«Direi che dovete ringraziare i vostri insegnanti e i vostri ottimi voti, Burrows. E lei è Walter Crane, naturalmente.»

L’altro ragazzo gli strinse la mano con fare dignitoso, come se stesse celebrando un rito. Era alto, robusto, e aveva un’aria zelante, ma in modo gradevole.

«Sì, signore. Diplomato in chimica. Mi interessa moltissimo quello che lei e il professor Ickthorpe state cercando di fare.»

«Splendido. La signorina Ickthorpe, inaspettatamente, sarà il quarto membro della nostra piccola squadra. Proprio inaspettatamente» sottolineò Ellery. «Bene, sediamoci e incominciamo subito.»

Crane e Burrows si avventarono sulle loro sedie, la ragazza prese posto con aria contegnosa. Ellery mise cappello e bastone in un angolo, congiunse le mani sul tavolo e guardò il soffitto bianco. Bisognava pur cominciare…

«Tutto questo è piuttosto assurdo, sapete, eppure contiene qualcosa di valido. Qualche tempo fa, il professor Ickthorpe è venuto a espormi una sua idea. Aveva sentito parlare dei modesti successi che ho ottenuto nel risolvere dei delitti col puro metodo analitico, e ha pensato che sarebbe stato interessante sviluppare in giovani studenti universitari la facoltà della deduzione. Vi dirò che sono rimasto un po’ perplesso, essendo stato anch’io studente universitario.»

«Al giorno d’oggi, siamo piuttosto intelligenti» disse la signorina Ickthorpe.

«Mmm. Questo resta da vedere» replicò Ellery, asciutto. «Immagino che sia contro il regolamento, ma non so ragionare senza l’aiuto del tabacco. Potete fumare, signori. Una sigaretta, signorina Ickthorpe?»

Lei ne prese una con aria distratta, l’accese con i propri fiammiferi, e continuò a fissare Ellery negli occhi.

«Terrà un corso pratico, vero?» domandò Crane, il chimico.

«Precisamente.» Ellery balzò in piedi. «Signorina Ickthorpe, stia attenta, per favore. Dato che dobbiamo farlo, facciamolo bene. Dunque, studieremo dei delitti presi dalla cronaca attuale, casi che, inutile dirlo, si prestano al nostro particolare metodo d’indagine. Partiremo tutti da zero, beninteso. Voi lavorerete sotto la mia guida e vedremo che cosa ne salterà fuori.»

Il viso sottile di Burrows splendeva. «E la teoria? Voglio dire, non ci farà prima qualche lezione teorica, illustrandoci le regole per darci una base di partenza?»

«Al diavolo le regole. Le chiedo scusa, signorina Ickthorpe… L’unico sistema per imparare a nuotare, Burrows, è entrare in acqua. C’erano sessantatré candidati per questo dannato corso. Io ne ho voluto solo due o tre, troppi avrebbero vanificato il mio scopo, sapete. Ho scelto lei, Crane, perché mi sembra che abbia un’intelligenza analitica quanto basta, e lo studio scientifico ha sviluppato il suo senso di osservazione. Lei, Burrows, ha un ottimo background accademico e, evidentemente, un cervello di prim’ordine.» I due giovani arrossirono. «Quanto a lei, signorina Ickthorpe» continuò Ellery, freddamente «si è scelta da sola e dovrà subirne le conseguenze. Non m’importa che suo padre sia il vecchio Icky. Al primo segno di stupidità, la faccio filar via.»

«Un Ickthorpe non è mai uno stupido, signor Queen.»

«Lo spero, lo spero sinceramente. E adesso incominciamo. Un’ora fa, prima che uscissi per venire qui, la Centrale di polizia mi ha telefonato per informarmi di un delitto. Una circostanza fortuita di cui dobbiamo debitamente rallegrarci. È stato commesso un omicidio in un albergo di Broadway. La vittima è un certo Spargo. Un caso abbastanza singolare, a giudicare dai pochi e vaghi fatti che mi hanno comunicato. Ho chiesto a mio padre, l’ispettore Queen, di lasciare intatta la scena del delitto. Vi andiamo subito.»

«Accidenti!» esclamò Burrows. «Subito alle prese con il delitto. Sarà fantastico. Non ci faranno difficoltà, vero, signor Queen?»

«Per niente. Ho già provveduto a procurare a lei e a Crane uno speciale lasciapassare della polizia come quello che ho io. Più tardi ne fornirò uno anche alla signorina Ickthorpe. Vi raccomando di non portare via nulla dalla scena del delitto… senza prima aver consultato me, almeno. E per nessun motivo lasciatevi strappare qualche informazione dai cronisti.»

«Un assassinio…» disse la signorina Ickthorpe, pensosa, e improvvisamente il suo entusiasmo parve smorzarsi.

«Ma guarda, fa già la schizzinosa» commentò Ellery. «Be’, questo debutto sarà un test per tutti voi. Voglio vedere come funzionano all’atto pratico i vostri cervelli. Ha un cappello, signorina Ickthorpe?»

«Un cappello?»

«Non può venire là conciata così, sa.»

«Oh…» La ragazza arrossì. «Un abito sportivo non si addice al delitto?» Ellery la fulminò con un’occhiata e lei aggiunse dolcemente: «Ho un cappello nel mio armadietto al pianterreno, signor Queen. Mi sbrigo in un minuto».

Ellery si calcò il cappello in testa. «Vi aspetto tutti e tre fuori dalla facoltà tra cinque minuti. Cinque minuti, signorina Ickthorpe!»

Dopo aver recuperato il suo bastone, uscì con incedere professorale dall’aula. Per tutto il tempo, prima in ascensore, poi nell’atrio, infine sulla gradinata d’accesso, non fece che respirare profondamente. Una giornata straordinaria, pensò. Proprio straordinaria.

L’Hotel Fenwick era a poche centinaia di metri da Times Square. L’atrio rigurgitava di poliziotti, detective, cronisti e, a giudicare dalla loro comune aria spaurita, di clienti. Il gigantesco sergente Velie, il braccio destro dell’ispettore Queen, stava piantato sulla porta, barriera incrollabile contro i curiosi. Accanto a lui, c’era un uomo alto, dall’aria tesa, che indossava un abito di saglia blu, una camicia bianca e una cravatta a farfalla nera.

«Il signor Williams, il direttore dell’albergo» lo presentò il sergente.

Williams strinse la mano a Queen. «Un pasticcio tremendo… Non so capacitarmene. Voi siete della polizia?»

Ellery annuì. I suoi allievi lo circondavano come una guardia reale… una guardia reale piuttosto timida, in realtà, perché gli si stringevano intorno quasi in cerca di protezione. C’era qualcosa di sinistro nell’aria. Persino gli impiegati e gli inservienti dell’albergo, tutti vestiti di grigio – abito, camicia, cravatta – avevano un’espressione allarmata, come gli steward di una nave che sta affondando.

«Nessuno è più entrato e uscito di qui, signor Queen» disse il sergente Velie. «Ordini dell’ispettore. Lei è il primo, da quando hanno trovato il corpo. Questi tre sono in regola?»

«Sì. Mio padre è sulla scena del delitto?»

«Terzo piano, stanza trecentodiciassette. C’è soltanto lui, ormai.»

Ellery si rivolse ai tre giovani. «Venite, ragazzi. E non siate così nervosi» aggiunse gentilmente. «Vi abituerete a queste cose. Su la testa.»

Loro sobbalzarono all’unisono, con gli occhi un po’ vitrei.

Mentre salivano con un ascensore piantonato da un agente, Ellery notò che la signorina Ickthorpe faceva un grande sforzo per sembrare professionalmente blasée. Ickthorpe… che razza di nome! Sarebbe dovuto bastare a farle calare le arie.

Si avviarono lungo un corridoio silenzioso verso una porta aperta. L’ispettore Queen, un ometto grigio e vispo come un uccellino, dagli occhi acuti singolarmente simili a quelli del figlio, si fece loro incontro sulla soglia.

Ellery represse un sogghigno, vedendo il sussulto spasmodico della signorina Ickthorpe che, dopo aver lanciato un’occhiata spaurita nella stanza della morte, aveva boccheggiato come se stesse soffocando. Poi presentò i tre giovani all’ispettore, chiuse la porta dietro i suoi riluttanti allievi e si guardò attorno.

Sulla moquette grigiastra della camera da letto, con le braccia tese davanti a sé come un tuffatore, giaceva un uomo: morto. La sua testa aveva uno strano aspetto, come se qualcuno vi avesse rovesciato sopra un barattolo di vernice rossa che gli aveva impiastricciato i capelli ed era arrivata sulle spalle.

La signorina Ickthorpe emise un’esclamazione soffocata che non era certo di ammirazione. Ellery notò, con cupa soddisfazione, che serrava a pugno le piccole mani e che il suo visetto da monella era più bianco del letto accanto al quale giaceva il corpo. Crane e Burrows respiravano affannosamente.

«Signorina Ickthorpe, signor Crane, signor Burrows, ecco il vostro primo cadavere» annunciò Ellery vivacemente. «E adesso al lavoro, papà. Come stanno le cose?»

L’ispettore Queen sospirò. «Si chiamava Oliver Spargo. Quarantadue anni. Si era separato dalla moglie due anni fa. Viaggiatore di commercio per una importante ditta di esportazione di cereali. Era tornato dal Sudafrica dopo un anno di permanenza. Godeva di una pessima fama tra gli indigeni delle colonie: li truffava, li frustava. Ha dovuto lasciare l’Africa britannica in seguito a uno scandalo. Ne hanno parlato i giornali di New York non molto tempo fa… Ha alloggiato in questo albergo per tre giorni, su questo stesso piano, per inciso, e poi è andato a Chicago per far visita a dei parenti.» L’ispettore grugnì, come se questa fosse una cosa legittimamente punita con un assassinio. «È tornato a New York stamattina, in aereo, ed è arrivato qui alle nove e mezzo. Non ha più lasciato questa stanza. Alle undici e mezzo, è stato trovato morto, esattamente in questa posizione, dalla cameriera di colore del piano, Agatha Robins.»

«Indizi?»

L’ispettore scrollò le spalle. «Forse… e forse no. Abbiamo raccolto tutto il possibile sul suo conto. Risulta che era un tipo duro, ma simpatico. Non aveva nemici, pare. Da quando è sbarcato a New York, tutti i suoi movimenti sono stati leciti e giustificati. Era un donnaiolo. Prima del suo ultimo viaggio in Sudafrica, ha piantato la moglie per prendersi una bella bionda. Se l’è tenuta un paio di mesi, poi è partito e non l’ha portata con sé. Abbiamo interrogato le due donne.»

«Sospetti?»

L’ispettore Richard Queen fissò cupamente il cadavere. «Be’, vedi tu. Questa mattina ha ricevuto una visita della bionda che ho appena citato. Si chiama Jane Terrill, risulta disoccupata. Evidentemente, ha letto sul notiziario della marina mercantile che Spargo era arrivato quindici giorni fa, gli ha dato la caccia e, una settimana fa, mentre l’uomo era a Chicago, ha telefonato al portiere di questo albergo per chiedere di lui. Le hanno detto che lo aspettavano stamattina… Spargo aveva avvertito del suo ritorno. È arrivata alle undici e cinque, le hanno dato il numero della stanza e il ragazzo dell’ascensore l’ha accompagnata su. Nessuno ricorda di averla vista uscire. Lei dice che ha bussato senza avere risposta e che allora se n’è andata e non è tornata più. Non ha visto Spargo, sostiene.»

La signorina Ickthorpe rasentò il cadavere con la massima precauzione, si sedette sul bordo del letto, aprì la sua borsetta e incominciò a incipriarsi il naso. «E la moglie, ispettore?» domandò. Qualcosa scintillava nei suoi occhi bruni di cerbiatta. Era chiaro che aveva già un’idea e che faceva sforzi eroici per tenersela dentro.

«La moglie?» sbuffò l’ispettore. «Lo sa Dio. Lei e Spargo erano separati, come ho già detto, e la donna afferma di non aver nemmeno saputo che era tornato dal Sudafrica. Sostiene che stamattina stava facendo un giro di commissioni.»

La stanza era una piccola, anonima camera d’albergo, arredata con un letto, un armadio, un cassettone, un tavolino da notte, una scrivania e una sedia. C’erano un finto caminetto a gas e una porta aperta che dava nel bagno. Nient’altro.

Ellery si mise in ginocchio accanto al cadavere. Crane e Burrows, entrambi col viso contratto, lo imitarono. L’ispettore si sedette e li osservò con un ghigno senza humour.

Ellery rovesciò il corpo, mettendolo supino, e ne tastò le membra irrigidite dalla morte.

«Crane, Burrows, signorina Ickthorpe» dichiarò bruscamente «possiamo incominciare subito. Ditemi tutto quello che notate. Prima lei, signorina Ickthorpe.» La ragazza balzò in piedi e girò attorno al cadavere. Ellery sentì sulla nuca il suo respiro caldo e un po’ affannoso. «Ebbene? Non nota niente? Buon Dio, ma qui c’è parecchio da vedere, mi pare.»

Lei si fece scorrere la punta della lingua sulle labbra rosse e disse con voce strozzata: «Indossa una vestaglia, pantofole e… sì, biancheria di seta».

«Più calze di seta nere e giarrettiere. La vestaglia e la biancheria portano l’etichetta del venditore: JOHNSON’S, JOHANNESBURG, SUDAFRICA. Che altro?»

«Un orologio al polso sinistro. Credo…» Si chinò sul corpo e con la punta contratta dell’indice diede un colpetto al braccio. «Sì, il vetro è rotto. Ma guarda, segna le dieci e venti!»

«Bene» disse Ellery dolcemente. «Il dottor Prouty ha esaminato il cadavere, papà?»

«Sì» rispose l’ispettore in tono rassegnato. «Dice che è morto tra le undici e le undici e mezzo. Immagino…»

Gli occhi della ragazza splendevano. «Ma questo non significa forse…?»

«Calma, calma, se ha un’idea la tenga per lei. Non salti subito alle conclusioni. Basta così per ora. Ebbene, Crane?»

Il giovane chimico aveva aggrottato la fronte. Indicò l’orologio del morto, un modello vistoso con un cinturino di pelle. «Orologio da uomo. Il colpo della caduta ha fermato le lancette. Nel cinturino c’è una piega all’altezza del secondo foro, nel quale è infilato il dente del fermaglio. Ma c’è un’altra piega, e più profonda, all’altezza del terzo foro.»

«Ottimo, Crane. E poi?»

«La mano sinistra è chiazzata di sangue secco. Anche sul palmo ci sono delle macchie, ma più chiare, come se Spargo avesse afferrato qualcosa, lasciandovi sopra parte del sangue. Dovrebbe esserci qualcosa qui attorno con una macchia rossa prodotta dalla mano insanguinata.»

«Sono orgoglioso di lei, Crane. È stato trovato qualche oggetto sporco di sangue, papà?»

L’ispettore aveva un’aria interessata. «Ottimo lavoro, giovanotto. No, El, proprio niente. Nemmeno una traccia sullo scendiletto. Deve trattarsi di un oggetto che l’assassino si è portato via.»

«Piano ispettore, questa non è una tua indagine» disse Ellery ridendo. «Ha qualcosa da aggiungere, Burrows?»

Il giovane deglutì in fretta. «Le ferite alla testa dimostrano che è stato colpito più volte con un corpo contundente pesante. Lo scendiletto scomposto indica probabilmente una lotta. E il viso…»

«Ah, ha notato il viso. Che cosa rileva?»

«Spargo si è rasato di recente. Ha ancora del borotalco sulle guance, sul mento. Non crede che dovremmo esaminare la stanza da bagno, signor Queen?»

«Anch’io l’ho notato» protestò la signorina Ickthorpe. «Ma lei non mi ha lasciato il tempo di dirlo. Il borotalco sembra applicato con molta cura. Non ci sono striature irregolari, né chiazze più spesse.»

Ellery scattò in piedi. «Tra poco sarete tutti degli Sherlock Holmes. L’arma del delitto, papà?»

«Un pesante martello di pietra. La fattura è rozza. Si tratta di un oggetto africano, dice il nostro esperto. Spargo doveva averlo nella valigia. Il suo baule non è ancora arrivato da Chicago.»

Ellery annuì. Sul letto, c’era una valigetta di cinghiale, aperta. Accanto, disposto con cura, un completo da sera: giacca, calzoni e panciotto da smoking, una camicia con lo sparato inamidato, bottoncini da colletto e gemelli per i polsini, un colletto pulito, bretelle nere, un fazzoletto bianco di seta. Sotto il letto, c’erano due paia di scarpe nere, uno di vernice, l’altro di cuoio, di tipo sportivo.

Ellery si guardò attorno. Pareva che qualcosa lo turbasse. Sulla sedia presso il letto, c’erano una camicia sporca, un paio di calze sporche e della biancheria sporca. Nessun indumento portava tracce di sangue. Lui indugiò, pensoso.

«Abbiamo portato via il martello. Era pieno di sangue e di capelli» spiegò l’ispettore. «Niente impronte digitali. Toccate pure quello che volete. La Scientifica ha già finito il suo lavoro.»

Ellery si accese una sigaretta. Notò che Burrows e Crane, chini sul cadavere, esaminavano l’orologio. Si avvicinò, con la signorina Ickthorpe alle calcagna.

Il viso sottile di Burrows splendeva di eccitazione. «Qui c’è qualcosa!» esclamò, alzando il capo. Aveva cautamente tolto l’orologio dal polso di Spargo e aperto la cassa. Dentro, vi era incollato un frammento approssimativamente rotondo di carta bianca, come se qualcosa fosse stato strappato via in modo incompleto. «Questo mi dà un’idea» dichiarò, studiando con attenzione il viso del morto.

«E lei che ne dice, Crane?» domandò Ellery incuriosito.

Il giovane chimico trasse di tasca una piccola lente d’ingrandimento e prese a esaminare le lancette. Poi si alzò in piedi. «Preferisco non pronunciarmi per ora» rispose. «Signor Queen, vorrei avere il permesso di portare questo orologio al mio laboratorio.»

Ellery guardò suo padre e l’ispettore annuì.

«D’accordo, Crane. Ma non dimentichi di restituirlo. Papà, avete ispezionato bene questa stanza, compreso il caminetto?»

L’ispettore scoppiò a ridere. «Mi chiedevo quando ci saresti arrivato. C’è qualcosa di molto interessante in quel caminetto.» Si fece serio, esibì una tabacchiera e si infilò una presa di tabacco nelle narici. «Ma che io possa essere impiccato se capisco cosa significa.»

Ellery fissò il caminetto e spinse indietro le spalle sottili. Gli altri gli si fecero intorno. Lui si inginocchiò: dietro il serbatoio del gas a forma di ceppo, su una minuscola griglia, c’era un mucchietto di ceneri. Erano strane ceneri, chiaramente non di legno, di carbone o di carta. Ellery vi frugò dentro e trattenne il respiro. In un attimo aveva estratto dalle ceneri dieci oggetti singolari, otto bottoncini piatti di madreperla e due aggeggi metallici: uno di forma triangolare sembrava una maglietta per agganciare e l’altro il relativo uncino, entrambi piccoli e di materiale scadente. Due degli otto bottoni erano leggermente più grandi degli altri. Tutti avevano il bordo in rilievo e quattro fori al centro. I dieci oggetti erano bruciacchiati dal fuoco.

«Che ne dici?» domandò l’ispettore.

Ellery giocherellò pensoso con i bottoni. Invece di rispondere, si rivolse ai tre allievi e disse severamente: «Riflettete su questo. Papà, quando hanno pulito il caminetto per l’ultima volta?».

«Questa mattina presto. L’ha fatto Agatha Robins, la cameriera mulatta. Un cliente ha lasciato libera la stanza alle sette e lei l’ha messa in ordine prima che arrivasse Spargo. Sostiene di aver pulito il caminetto.»

Ellery lasciò cadere i bottoni e i due aggeggi di metallo sul tavolino da notte e si avvicinò al letto. Guardò nella valigia aperta: dentro c’era il massimo disordine. La valigia conteneva tre cravatte, due camicie bianche di bucato, calzini, biancheria e fazzoletti. Notò che tutti gli articoli portavano l’etichetta dello stesso venditore: JOHNSON’S, JOHANNESBURG, SUDAFRICA. Parve soddisfatto e si spostò all’armadio-guardaroba, nel quale c’erano soltanto un abito da viaggio di tweed, un soprabito marrone e un cappello di feltro.

Ellery lo chiuse con aria soddisfatta. «Avete osservato tutto?» domandò ai due giovani e alla ragazza.

Crane e Burrows annuirono piuttosto dubbiosi. La signorina Ickthorpe lo ascoltava appena: dalla sua espressione rapita, si sarebbe detto che porgesse l’orecchio a una musica celestiale.

«Signorina Ickthorpe!»

Lei sorrise con aria sognante. «Sì, signor Queen» disse con una vocetta mite. I suoi occhi scuri cominciarono a vagare.

Ellery borbottò qualcosa e si avvicinò al cassettone. Sul ripiano non c’era niente. Aprì i cassetti e li trovò vuoti. Si diresse verso la scrivania, ma suo padre gli disse: «Non c’è niente lì, figliolo. Spargo non ha avuto il tempo di metter via le sue cose. A parte il bagno, hai già visto tutto».

Come se avesse aspettato un segnale, la signorina Ickthorpe si precipitò nel bagno. Sembrava ansiosa di ispezionarlo. Crane e Burrows si affrettarono a seguirla.

Ellery permise loro di esaminare il bagno prima di lui. La signorina Ickthorpe toccò rapidamente gli oggetti esposti sul bordo del lavabo. C’erano un nécessaire da toilette in cinghiale, aperto, un rasoio usato di recente, un pennello da barba ancora umido, un tubo di crema da barba, un barattolo di borotalco, un tubetto di dentifricio. Da una parte, c’era un portapennello in celluloide, col tappo collocato sul nécessaire.

«Non vedo niente d’interessante qui» dichiarò Burrows. «E tu, Walter?»

Crane scosse il capo. «Niente di significativo, a parte il fatto che doveva aver appena finito di radersi quando lo hanno assassinato.»

La signorina Ickthorpe aveva un’aria severa e insieme un po’ esultante. «Questo perché, come tutti gli uomini, siete più ciechi di una talpa» disse. «Io ho visto abbastanza.»

Sfilarono tutti e tre davanti a Ellery e raggiunsero l’ispettore, che stava parlando con qualcuno in camera da letto. Ellery sorrise tra sé. Sollevò il coperchio del portabiancheria: era vuoto. Poi prese in mano il tappo del portapennello, che si aprì in due, rivelando un piccolo tampone circolare infilato dentro. Lui tornò a sorridere, lanciò uno sguardo alla schiena trionfalmente diritta della signorina Ickthorpe, depose tappo e portapennello e rientrò in camera da letto.

Williams, il direttore dell’albergo, scortato da un poliziotto, stava parlando concitatamente all’ispettore. «Non può tenerci bloccati qui in eterno diceva.» I nostri clienti incominciano a protestare. Tra poco arriverà il personale del turno di notte, anch’io devo andare a casa, e lei non ci lascia muovere, per Giove. Dopotutto…

«Puah!» fece l’ispettore e lanciò un’occhiata interrogativa al figlio.

Ellery annuì. «Non c’è motivo di prolungare l’assedio, papà. Ormai abbiamo visto tutto il possibile. Ragazzi!» Tre paia d’occhi si fissarono su di lui. Sembravano cuccioli al guinzaglio. «Avete visto abbastanza?» Tutti annuirono gravemente. «C’è qualcos’altro che volete sapere?»

«A me occorre un indirizzo» disse Burrows.

La signorina Ickthorpe impallidì. «Anche a me! Sei un vigliacco, John!»

«Anch’io ho bisogno di qualcosa» disse sottovoce Crane, stringendo nel pugno l’orologio di Spargo. «Ma lo troverò in quest’albergo.»

Ellery alzò le spalle. «Andate giù dal sergente Velie, il colosso che avete visto sull’entrata. Lui vi dirà tutto quello che volete sapere. E adesso qualche istruzione. È ovvio che ognuno di voi ha una sua ipotesi ben precisa. Vi lascio due ore per formularla e per svolgere le indagini che avete in mente.» Consultò l’orologio. «Alla sette, fatevi trovare nel mio appartamento sulla Ottantasettesima Strada Ovest, e io cercherò di demolire le vostre teorie… Buona caccia!»

Ghignò in segno di congedo. I tre si lanciarono verso la porta. La signorina Ickthorpe, con il turbante un po’ di traverso, si aprì un varco a forza di gomiti.

«E adesso vieni qui un momento, papà» disse Ellery, con un tono completamente diverso, quando loro furono scomparsi in fondo al corridoio. «Voglio parlarti.»

Quella sera, Ellery Queen sedeva a capotavola, nel suo appartamento, osservando i tre giovani che parevano sul punto di esplodere per lo sforzo di contenere le loro ipotesi. Sul tavolo, c’erano gli avanzi di un pranzo che tutti avevano appena assaggiato.

Nell’intervallo tra l’uscita dall’albergo e l’arrivo in casa di Queen, la signorina Ickthorpe aveva trovato il tempo di cambiarsi d’abito. Adesso ne indossava uno molto morbido e merlettato che metteva in risalto – come lei ben sapeva – il suo collo bianco, gli occhi scuri e le guance rosee. Crane e Burrows guardavano assorti dentro le loro tazze di caffè.

«E adesso incominciamo» sorrise Ellery. I tre si illuminarono, si misero a sedere più diritti, si inumidirono le labbra. «Ognuno di voi ha avuto circa due ore per definire i risultati della sua prima indagine. Comunque vadano le cose, io non ne avrò merito o demerito, perché finora non vi ho insegnato niente. Ma alla fine di questa chiacchierata avrò un’idea approssimativa di come funzionano gli elementi con cui sto lavorando.»

«Sì, signore» disse la signorina Ickthorpe.

«Esponici la tua ipotesi, John… direi che possiamo lasciar perdere il tono formale, vero?»

«È qualcosa di più che un’ipotesi» dichiarò lentamente Burrows. «Ho la soluzione del caso, signor Queen.»

«Hai una soluzione, John. Non darti troppe arie. E quale sarebbe questa soluzione?»

Burrows tirò un lungo respiro che pareva uscirgli dai calcagni. «L’indizio che mi ha portato alla soluzione è stato l’orologio da polso di Spargo.»

Crane e la ragazza lo fissarono. Ellery aspirò una boccata di fumo e disse, incoraggiante: «Continua».

«Le due pieghe nel cinturino di cuoio sono significative spiegò Burrows.» Sul polso di Spargo, l’orologio era allacciato al secondo foro, e su quel foro si è formata una piega. Ma c’è un’altra piega, più profonda, all’altezza del terzo foro. Conclusione: di solito, l’orologio veniva portato da una persona con il polso più sottile. In altre parole, quell’orologio non apparteneva a Spargo.

«Bravo» disse Ellery. «Molto bravo.»

«Ma perché Spargo portava l’orologio di qualcun altro? Per un’ottima ragione, sostengo. Il medico ha detto che Spargo è morto tra le undici e le undici e mezzo. Eppure le lancette dell’orologio erano ferme sulle dieci e venti. Come si spiega questa discrepanza? È chiaro: l’assassina, non trovando un orologio addosso a Spargo, ha preso il proprio, ha rotto il vetro e fermato il meccanismo, poi ha puntato le lancette sulle dieci e venti e ha allacciato l’orologio al polso del cadavere. Questo avrebbe dovuto indicare come ora della morte le dieci e venti e l’assassina si sarebbe potuta fornire un alibi per quell’ora, mentre il delitto era avvenuto verso le undici e venti. Che ve ne pare?»

«Hai parlato di un’assassina» disse la signorina Ickthorpe. «Ma quello è un orologio da uomo, John, non dimenticarlo.»

Burrows sorrise. «Anche una donna può avere un orologio da uomo, no? E a chi apparteneva quello? È semplice. Nella cassa c’è un frammento circolare di carta, come se qualcosa fosse stato strappato via. E che cosa si incolla, di solito, nella cassa di un orologio? Una fotografia. Perché è stata tolta? Ovviamente perché in quella foto c’era il viso dell’assassina. Nelle ultime due ore ho seguito questa traccia. Mi sono presentato dalla donna di cui sospetto, spacciandomi per un cronista e pregandola di mostrarmi un suo album di fotografie. E ne ho trovata una dalla quale era stato ritagliato un dischetto. Da quanto ne restava, era ovvio che quel dischetto conteneva le teste di un uomo e di una donna. A questo punto la mia indagine era conclusa.»

«Stupefacente» mormorò Ellery. «E la tua assassina sarebbe…?»

«La moglie di Spargo. Movente: odio, vendetta, gelosia, amore deluso o qualcosa di simile.»

La signorina Ickthorpe arricciò il naso e Crane scosse la testa.

«A quanto pare non siamo d’accordo» commentò Ellery. «Comunque, hai fatto un’analisi molto interessante, John. E tu, Walter?»

Crane alzò le larghe spalle. «Sono d’accordo con John su due punti: l’orologio non apparteneva a Spargo e l’assassino ha messo le lancette sulle dieci e venti per fornirsi un alibi. Ma dissento quanto all’identità dell’omicida. Anch’io ho proceduto prendendo l’orologio come indizio principale, ma in una prospettiva completamente diversa.»

Esibì l’orologio e batté la punta dell’indice sul vetro rotto. «Guardate, qui c’è qualcosa che forse voi non sapete. Gli orologi… respirano, per così dire. Il contatto con il calore del corpo fa sì che all’interno l’aria si dilati e fuoriesca dai forellini e dalle minuscole fessure del vetro e della cassa. Quando ci si toglie l’orologio dal polso, l’aria si raffredda, si contrae, e ne viene risucchiata dentro dell’altra che contiene polvere.»

«Ho sempre detto che avrei dovuto studiare scienze» sospirò Ellery. «Questa è una novità per me. Continua, Walter.»

«Per spiegarmi chiaramente, nell’orologio di un panettiere si troverà della farina, in quello di un muratore della polvere di mattoni.» La voce di Crane prese un tono trionfante. «Sapete che cos’ho trovato in questo orologio? Delle minuscole particelle di cipria.» La signorina Ickthorpe aggrottò la fronte. «E un tipo molto particolare di cipria, signor Queen» continuò Crane. «Di quella usata soltanto dalle donne con la pelle scura. Dalle nere, per l’esattezza. La cipria proveniva dalla borsetta di una mulatta. Ho interrogato la cameriera del piano, ho controllato il suo beauty-case, e anche se lei lo nega, io affermo che Spargo è stato ucciso da Agatha Robins, la mulatta che ha scoperto il suo cadavere.»

Ellery emise un leggero fischio. «Ottimo lavoro. Walter. E naturalmente, la Robins, nega anche di essere la proprietaria dell’orologio. Questo serve a spiegarmi certe cose… Ma, il movente?»

Crane esitò. «Be’, vi sembrerà fantastico, ma io penso a una sorta di vendetta vudù, a un caso di ritorno alle origini razziali. Spargo aveva truffato e frustato gli indigeni del Sudafrica… ne hanno parlato i giornali.»

Ellery socchiuse gli occhi per nasconderne l’espressione divertita. Poi si rivolse alla signorina Ickthorpe, che stava tamburellando nervosamente con l’indice la sua tazza di caffè, dando chiari segni d’impazienza.

«E adesso veniamo al numero d’attrazione. Qual è la sua ipotesi, signorina Ickthorpe? Se l’è repressa dentro tutto il pomeriggio. Su, fuori.»

Lei strinse le labbra. «Voi ragazzi credete di essere in gamba. E anche lei, signor Queen, soprattutto lei. Oh, sì, ammetto che John e Walter hanno dimostrato superficiali tracce d’intelligenza…»

«Vuole essere esplicita, signorina Ickthorpe?»

«Benissimo. L’orologio non ha niente a che fare col delitto.»

I due giovani la fissarono a occhi aperti. Ellery congiunse le mani e annuì. «Sono d’accordo con lei. Spieghi perché, prego.»

Gli occhi di lei sfavillavano, la guance erano molto rosee. «Semplice» disse in tono sprezzante. «Spargo era arrivato da Chicago soltanto due ore prima che lo uccidessero. Era stato in quella città per una decina di giorni e per una decina di giorni aveva adottato l’ora locale. E siccome il fuso orario di Chicago è indietro di un’ora rispetto a quello di New York, questo significa che né lui né altri hanno riportato avanti le lancette. L’orologio segnava le dieci e venti quando Spargo è caduto per terra, morto, perché lui si era dimenticato di regolarlo dopo essere arrivato qui stamattina.»

Crane mormorò qualcosa d’incomprensibile e Burrows si fece di fiamma.

Ellery li guardò con rammarico. «Temo che finora gli allori vadano alla signorina Ickthorpe. La sua deduzione è esatta. E poi, signorina? Ha qualcosa da aggiungere?»

«Certamente. So chi è l’assassino ed escludo che siano la moglie di Spargo e la cameriera mulatta» dichiarò la ragazza con un esasperante tono di superiorità. «Seguitemi… Ma è tanto semplice! Abbiamo visto tutti che il borotalco era applicato con molta cura sul viso di Spargo. Dalle condizioni delle sue guance e degli oggetti da toilette nel bagno, era ovvio che aveva appena finito di radersi quando è stato ucciso. Come fa un uomo ad applicarsi sul viso il borotalco dopo essersi sbarbato? Come fa lei, signor Queen?» chiese guardandolo con tenerezza.

Ellery era stupito. «Con le dita, naturalmente.»

Crane e Burrows assentirono.

«Esatto! E che cosa succede? Lo so perché ho un notevole spirito di osservazione. Inoltre, siccome mio padre si rade ogni mattina, non posso fare a meno di notarlo, quando mi saluta con un bacio. Il borotalco, applicato sul viso ancora umido, si deposita a strisce irregolari, a chiazze più o meno spesse. E adesso guardate bene il mio viso.» I tre la guardarono con diversi gradi di apprezzamento. «Non vedete strisce e chiazze di cipria, vero? Naturalmente no. E perché? Perché io sono una donna, e una donna si dà la cipria con un piumino, e non c’è ombra di piumino nella camera da letto e nel bagno di Spargo.»

Ellery sorrise, quasi con sollievo. «Allora, signorina Ickthorpe, secondo lei l’ultima persona che ha visto Spargo vivo, quella che presumibilmente lo ha assassinato, era una donna che è rimasta a guardarlo mentre si radeva, poi gli ha cosparso teneramente il viso di talco, usando il proprio piumino, e subito dopo lo ha ucciso con un martello di pietra?»

«Be’, sì, anche se non mi ero immaginata la scena in questo modo. Ma… sì, lo confermo. E la psicologia indica una donna ben precisa, signor Queen. A una moglie non verrebbe mai in mente di fare una cosa tanto… sensuale, ecco, ma a un’amante sì. Per questo sostengo che l’ex amante di Spargo, Jane Terrill, alla quale ho fatto visita un’ora fa e che nega di avergli incipriato il viso, è la sua assassina.»

Ellery sospirò. Si alzò e spense il mozzicone della sigaretta nel caminetto. I tre lo guardarono e si scambiarono occhiate con ansia.

«Prima di procedere e dopo essermi complimentato con lei, signorina Ickthorpe, per la sua profonda conoscenza delle amanti, voglio dire una cosa» incominciò lui, ignorando la piccola esclamazione risentita della ragazza. «Tutti e tre vi siete dimostrati molto ingegnosi, acuti e pronti. Me ne compiaccio vivamente. Penso che lavoreremo benissimo insieme. Complimenti a tutti.»

«Ma chi di noi ha ragione, signor Queen?» domandò Burrows. «Le nostre soluzioni sono completamente diverse.»

Ellery agitò una mano. «Chi ha ragione? In teoria, questo è un mero dettaglio. In pratica, conta il fatto che abbiate svolto un eccellente lavoro, dimostrando spirito di osservazione e un modo ancora rudimentale, ma già promettente, di collegare causa ed effetto. Quanto alla soluzione del caso, mi dispiace ma avete sbagliato tutti e tre.»

La signorina Ickthorpe strinse i pugni. «Immaginavo che l’avrebbe detto! Lei è odioso, ecco. E io sono sempre convinta di avere ragione!»

Ellery sorrise. «Ecco uno straordinario esempio di psicologia femminile, signori. E adesso state attenti. Avete sbagliato per il semplice motivo che ciascuno di voi ha seguito un’unica linea di attacco, un unico indizio, e da qui ha costruito il suo ragionamento, ignorando completamente gli altri elementi del problema. Tu, John, dici che l’assassino è la moglie di Spargo soltanto perché nel suo album di fotografie ce n’è una dalla quale è stato ritagliato un circolino con due teste. Non ti è venuto in mente che questa potrebbe essere una semplice coincidenza.

«Tu, Walter, hai scoperto che la proprietaria dell’orologio è la cameriera mulatta. E infatti è così. Ma supponiamo che la Robins avesse dimenticato l’orologio nella stanza di Spargo durante il suo primo soggiorno all’albergo e che lui, avendolo trovato, se lo fosse portato a Chicago? Probabilmente, le cose sono andate proprio così. Il semplice fatto che Spargo portasse al polso il suo orologio non fa di lei un’assassina.

«Lei, signorina Ickthorpe, ha spiegato esattamente la questione dell’ora segnata dall’orologio, ma ha trascurato un importante elemento. La sua soluzione è basata sulla mancanza di un piumino nella stanza di Spargo. Voleva credere che non ci fosse perché questo confermava la sua ipotesi e quindi ha fatto una ricerca superficiale, concludendo che non c’erano piumini. Invece, ce n’era uno. Se avesse esaminato il coperchio a vite del tubo di alluminio nel quale Spargo teneva il pennello da barba, vi avrebbe trovato uno di quei tamponi circolari di ovatta che, in questa nostra epoca effeminata, i fabbricanti di articoli da toilette inseriscono nei nécessaire per uomini.»

La ragazza tacque. Appariva molto imbarazzata.

«E ora veniamo alla soluzione esatta» continuò Ellery, distogliendo generosamente lo sguardo da lei. «Stranamente, tutti e tre avete ipotizzato che l’assassino fosse una donna. Ma, dopo aver esaminato la scena del delitto a me è sembrato chiaro che si trattava di un uomo

«Un uomo!» gli fecero eco i tre giovani in coro.

«Esatto. Perché nessuno di voi ha preso in considerazione il valore di quegli otto bottoni e del fermaglio?» Ellery sorrise. «Probabilmente perché non si inserivano nella vostra ipotesi preconcetta. Ma tutto deve inserirsi nella soluzione di un caso. Bene, basta con i rimproveri. Farete meglio la prossima volta.

«Sei bottoncini di madreperla e due leggermente più grandi trovati in un mucchietto di ceneri che non erano di legno, di carbone né di carta. C’è un unico oggetto con queste caratteristiche: una camicia da uomo. Sicuro, una camicia da uomo: sei bottoncini per lo sparato, due più grandi per i polsini, e le ceneri prodotte dal lino o dal cotone bruciato. Dunque, qualcuno ha bruciato una camicia da uomo nel finto caminetto, dimenticandosi che le fiamme non avrebbero distrutto i bottoni.

«E l’aggeggio metallico composto da una maglietta e da un gancio? Associato alla camicia, può indicare solo una cosa: una di quelle scadenti cravatte a farfalla che si comprano col nodo già fatto, così da non essere costretti a farselo da sé.»

I tre giovani gli fissavano le labbra come bambini dell’asilo.

«Tu, Crane, hai giustamente dedotto che la mano insanguinata di Spargo doveva essersi aggrappata a qualcosa, lasciandovi sopra parte del sangue. Ma nella stanza non si è trovato nessun oggetto macchiato di sangue… Però vi sono state bruciate una camicia da uomo e una cravatta… Conclusione: nella lotta con l’assassino, quando era già stato colpito alla testa e perdeva sangue a fiotti, Spargo si è aggrappato alla camicia e alla cravatta del suo aggressore, macchiandole. Una conclusione confermata dai segni di lotta nella stanza.

«Spargo era morto. La sua cravatta e la sua camicia erano chiazzate di sangue. Che cosa poteva fare, a questo punto, l’assassino? Lasciate che proceda così: l’omicida doveva appartenere a una di queste tre categorie di persone, ossia essere un uomo venuto dall’esterno, un ospite dell’albergo o un dipendente dell’albergo. Che cosa aveva fatto? Aveva bruciato la camicia e la cravatta. Se fosse stato uno venuto dall’esterno, avrebbe potuto rialzare il colletto della giacca, nascondendo le macchie di sangue finché non fosse uscito dall’Hotel Fenwick. Dunque, non avrebbe dovuto bruciare camicia e cravatta proprio mentre il tempo era prezioso. Un ospite dell’albergo avrebbe potuto fare la stessa cosa e tornare nella propria stanza. Dunque, doveva trattarsi di un dipendente.

«Ma certo. Un dipendente sarebbe stato costretto a restare di servizio, al suo posto, sotto gli occhi di tutti. Che cosa doveva fare? Cambiarsi camicia e cravatta, naturalmente. La valigetta di Spargo era aperta, dentro c’erano delle camicie. L’assassino vi ha frugato… avete visto in che disordine era il contenuto… e si è cambiato. Ovviamente, non doveva lasciar lì la sua camicia, che avrebbe potuto far risalire la polizia fino a lui. Dunque, cari ragazzi, è stato costretto a bruciarla…

«La cravatta? Ricorderete che Spargo aveva disposto il suo abito da sera sul letto, ma che la cravatta a farfalla mancava. Non era lì e nemmeno nella valigia e neppure da qualche parte nella stanza. Ovviamente, l’assassino si era messo la cravatta dello smoking e aveva bruciato la propria assieme alla camicia.»

La signorina Ickthorpe sospirò. Crane e Burrows scossero la testa, un po’ storditi.

«Allora ho capito che l’assassino era un uomo, un dipendente dell’albergo, e che portava la camicia e la cravatta di Spargo, una cravatta nera o bianca, probabilmente nera. Ma tutti i dipendenti dell’albergo portano camicie e cravatte grigie, come abbiamo notato. Tutti tranne uno.» Ellery aspirò una boccata di fumo. «Uno che non indossa nemmeno un abito grigio come gli altri. Certamente avrete notato anche questo… Uno che, proprio per la sua posizione, deve vestirsi in modo diverso. L’unico che può quindi cambiarsi camicia e cravatta senza dare nell’occhio. E così, quando voi siete andati a svolgere le vostre indagini, io ho suggerito a mio padre di interrogare quell’uomo. Per me era il più forte indiziato. Infatti gli abbiamo trovato addosso una camicia e una cravatta con l’etichetta del negoziante di Johannesburg come quelle che abbiamo visto sugli indumenti di Spargo. Sapevo che avremmo trovato questa prova, perché Spargo aveva passato un anno nel Sudafrica, e siccome la maggior parte dei suoi abiti era stata acquistata là, si poteva logicamente presumere che venissero da Johannesburg anche la camicia e la cravatta.»

«Dunque, per lei il caso era già chiuso mentre noi stavamo appena cominciando a risolverlo» sospirò Burrows.

«Ma… ma chi è l’assassino?» domandò Crane, sbigottito.

Ellery emise una nuvola di fumo. «Siamo riusciti a farlo confessare in tre minuti. Spargo, quell’uomo delizioso, gli aveva rubato la moglie qualche anno fa e poi se n’era liberato. Quando ha preso alloggio al Fenwick, appena tornato dal Sudafrica, lui lo ha riconosciuto e ha deciso di vendicarsi. Si tratta di Williams, il direttore dell’albergo.»

Cadde un breve silenzio. Burrows annuì più volte. «Abbiamo ancora molto da imparare» disse. «Questo è chiaro.»

«Fantastico» dichiarò Crane. «Me lo godrò questo corso di criminologia.»

Ellery rispose con un piccolo “Uff!” spazientito. Poi si rivolse alla signorina Ickthorpe che, dati i precedenti, avrebbe dovuto unirsi al generale spirito di alto gradimento. Ma i pensieri di lei vagavano lontano, i suoi occhi bruni erano velati.

«Signor Queen» disse «lo sa che non mi ha ancora domandato il mio nome?» 

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