giovedì 26 dicembre 2024

URANIA n.16 - Eric Frank Russell - Il pianeta maledetto



La prematura esplosione del diciassettesimo razzo diretto alla Luna
avvenne nell'anno 1972. Non vi fu nulla di spettacolare, nel grande scoppio,
che fu attenuato dalla distanza. Ad occhio nudo, l'improvviso fiammeggiare
del suo carico di magnesio da segnalazione non parve che un breve e rapido
scintillio di intenso splendore sulla superficie della Luna o in prossimità di
essa. Ma quell'avvenimento suscitò un pandemonio.
Sedici insuccessi precedenti avevano ormai abituato il pubblico alla cosa.
L'uomo della strada ammetteva che i razzi diretti alla Luna potessero
scoppiare lontano, come ammetteva che gli aeroplani precipitassero a terra,
malgrado tutte le assicurazioni ufficiali. Dei sedici insuccessi, otto erano stati
americani, quattro inglesi, tre francesi e uno canadese, tutti di razzi senza
pilota e guidati automaticamente. Dollari in quantità erano stati sprecati, ma
nessuna vita umana era andata perduta.
L'opinione pubblica, reagendo alla propaganda sviluppata in precedenza ad
ogni lancio, cercava di dare una spiegazione a quei continui insuccessi, e di
spiegazioni ne aveva trovate due: o i tecnici non erano tecnicamente
infallibili come affermavano, o venivano sistematicamente sabotati da
un'organizzazione ben decisa a impedire che i razzi raggiungessero la Luna.
La propaganda incoraggiava naturalmente la seconda teoria, non per odio
politico o per convinzione, ma per distogliere l'attenzione del pubblico dalla
prima teoria, assai meno desiderabile.
Quando trenta milioni di rubli si volatilizzarono in un attimo nello spazio,
insieme a Mikicenko, il pilota che guidava il razzo russo, le cose tornarono
però a complicarsi. Evidentemente, non si poteva incolpare i russi di
sabotaggio. Doveva esservi un'altra ragione.
Questa era la situazione, quando John Armstrong lesse un articolo del
professor Mandle nello Herald. Il professore illustrava una sua tesi che si
poteva definire la teoria dello "strato Mandle". Secondo lui, questo strato era
un mortale involucro elettromagnetico che avviluppava la Luna a una
distanza variabile da un giorno all'altro, cioè da dieci a dodicimila miglia
circa dalla superficie lunare. Era una nuova tesi, moderatamente documentata
dai pochi dati disponibili.
Armstrong era un uomo grosso, corpulento, tarchiato, dalle spalle enormi
ed era anche un feroce consumatore di scarpe dalla fitta suola. Piombava
dove meno lo si aspettava con la velocità di una locomotiva, ma non era
affatto altrettanto rumoroso. Forzando la poltrona ai limiti del possibile,
mentre appoggiava all'indietro il suo rispettabile peso, fissò lo schermo
televisivo su cui era riprodotta la pagina dello Herald e si impresse nella
memoria la nuova tesi.
Infine, chiamò Mandle al fonovisore. Il viso del professore, giovane,
bruno, ricciuto, apparve sullo schermo.
«Non credo mi conosciate» disse Armstrong. «Sono John J. Armstrong.
Sono finanziariamente interessato al diciottesimo razzo, in costruzione nel
Nuovo Messico. Se verrà terminato, il futuro solo lo dirà, dato che la gente si
è messa a strillare. Se poi si metterà in moto anche il Congresso, dovremo
allora rinunciare a tutto. Se la vostra tesi risponde alla verità, dovremmo
rinunciare al progetto. Perciò, vorrei farvi un paio di domande. Primo, credete
vi sia un mezzo per misurare questo strato elettromagnetico senza bisogno di
distruggere un razzo? Secondo, credete sia possibile superarlo e proseguire?»
«Ebbene» rispose Mandle «saprete già che tutti i dati segnalati per radio dai
razzi a guida automatica confermano senza alcun dubbio la presenza di un
involucro ionizzato attorno alla Terra. Dunque, attorno alla Luna può
esservene un altro, analogo in superficie, ma non eguale. La sua natura non è
nota. Ma undici dei diciassette razzi sono esplosi a una distanza da dieci a
dodicimila miglia dal satellite, quando già avevano superato il novantacinque
per cento del percorso. È una coincidenza troppe volte ripetuta, per essere una
coincidenza. È un fenomeno, quindi, che nasconde una legge vera e propria».
«Può darsi» brontolò Armstrong. «Gli altri sei razzi, però, non sono andati
tanto lontano, e due sono scoppiati in partenza».
«Dobbiamo tener conto, per questo, del fattore umano» ribatté
Mandle «cioè difetti di progettazione, forse di lavorazione, e così via. Tutti
quei razzi, come sapete, non avevano pilota ed erano autoguidati appunto
perché siamo ancora all'oscuro di molte cose, e ammettiamo il rischio. È
inevitabile che, anche con la migliore delle intenzioni, alcuni dei primi razzi
scoppiassero assai prima di raggiungere il punto critico, in prossimità della
Luna».
Armstrong si fregò il grosso mento con l'enorme mano pelosa.

 

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