giovedì 22 agosto 2024

URANIA n.3 - John Wyndham: L'Orrenda Invasione

 


Quando un giorno che secondo voi dovrebbe essere mercoledì, vi sembra
fin dall'inizio domenica, potete star certi che qualcosa non va. Ebbi questa
impressione fin dal primo momento, svegliandomi.
Tuttavia, quando incominciai a connettere con più lucidità, rimasi in forse.
Dopo tutto, sebbene avessi la sensazione nettissima d'essermi svegliato più
tardi del solito, poteva anche essere vero il contrario.
Continuai ad aspettare, dubbioso, ma subito ebbi una prima prova obiettiva: un orologio lontano batté, così mi parve, otto colpi. Ascoltai con le
orecchie tese, pieno di sospetto. Ed ecco che un altro orologio cominciò a
farsi sentire in un tono alto, risoluto. E, senza fretta, batté incontestabilmente
le otto. Allora capii che le cose non andavano.
Se non fui travolto subito anch'io dalla fine del mondo, la fine del mondo
quale l'avevamo intesa fin lì, fu per caso: come per un destino di
sopravvivenza, a pensarci bene. È nel corso naturale delle cose che un buon
numero di individui si trovi sempre all'ospedale, e per la legge dell'equa
distribuzione mi trovavo a far parte di questo numero da circa una settimana.
Con la stessa facilità avrebbe potuto trattarsi della settimana precedente, nel
qual caso ora non starei scrivendo; anzi, non sarei qui affatto. Ma il destino
volle non solo che mi trovassi all'ospedale in quel momento determinato, ma
che avessi gli occhi e, per essere precisi, tutta la testa, bendati; ed ecco perché
devo essere grato a quel qualcuno, chiunque sia, che regola l'equa
distribuzione dei mali. Allora, a dire il vero, ero soltanto stizzito, e mi
chiedevo che cosa diavolo stesse accadendo: perché ero stato in quel luogo
abbastanza da sapere che in un ospedale la cosa più sacra, beninteso dopo la
capo-infermiera, è l'orologio.
Senza orologio quel luogo non poteva funzionare; e, fino allora, l'orologio
aveva sempre decretato che ogni mattina, esattamente tre minuti prima delle
sette, qualcuno venisse nella mia stanza per lavarmi e mettermi in ordine, in
attesa della colazione. Ma quel giorno orologi di varia attendibilità
continuavano a battere le otto in tutte le direzioni, senza che nessuno si fosse
fatto vedere.
Probabilmente la cosa mi avrebbe seccato qualsiasi altra mattina, ma quel
mercoledì, 8 maggio, era un giorno di eccezionale importanza per me.
Attendevo con particolare impazienza che tutto il piccolo traffico mattutino
fosse terminato, perché quello era il giorno in cui dovevano togliermi le
bende.
Brancolai un poco per afferrare il campanello, e suonai vigorosamente per
cinque secondi buoni, tanto perché si sapesse che cosa ne pensavo di tutti
loro.
Mentre attendevo la brusca risposta che quel fracasso avrebbe dovuto
provocare, continuavo a tendere l'orecchio.
Mi accorsi allora che fuori c'era nell'aria qualcosa di ancor più strano di
quanto avessi immaginato. I rumori che si udivano e quelli che non si
udivano, suscitavano il senso della domenica più di una domenica vera e
propria; e io avevo raggiunto la certezza assoluta che era mercoledì,
qualunque cosa stesse succedendo.
Per quale ragione i fondatori del St. Merryn's Hospital avessero fatto
erigere il loro pio istituto all'incrocio di due grandi strade, al centro di un
attivo quartiere di uffici, esponendo così i nervi dei pazienti a un continuo
logorio, non sono mai riuscito veramente a capirlo. Ma per i fortunati i cui
malanni non fossero tali da renderli particolarmente sensibili al frastuono del
traffico, quell'ubicazione offriva il vantaggio di starsene a letto senza essere,
per così dire, tagliati fuori dal grande flusso della vita. Di solito, gli autobus
diretti al West End passavano rombando, nel tentativo di superare il semaforo
al giallo; ma spesso uno stridore di freni e una salva di colpi dello
scappamento annunciavano che non c'erano riusciti. Poi si udiva il rombo dei
veicoli che si rimettevano in moto. E ogni tanto c'era come un interludio: un
fragore improvviso e poi un arresto generale; una vera tortura per uno che si
trovasse nelle mie condizioni, costretto a giudicare l'entità degli incìdenti dal
tipo delle bestemmie che provocavano.
Ma quella mattina tutto era diverso dal solito. Diverso in modo
sconcertante perché tanto misterioso. Non c'era fragore di ruote, o rombo di
autobus; in realtà, non si riusciva a udire il rumore di un solo veicolo. Né
freni, né clacson, neppure il trotto dei rari cavalli che talvolta ancora
passavano di là. Né il confuso trepestio di gente diretta al lavoro.

 

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