Quando un giorno che secondo voi dovrebbe essere mercoledì, vi sembrafin dall'inizio domenica, potete star certi che qualcosa non va. Ebbi questaimpressione fin dal primo momento, svegliandomi.Tuttavia, quando incominciai a connettere con più lucidità, rimasi in forse.Dopo tutto, sebbene avessi la sensazione nettissima d'essermi svegliato piùtardi del solito, poteva anche essere vero il contrario.Continuai ad aspettare, dubbioso, ma subito ebbi una prima prova obiettiva: un orologio lontano batté, così mi parve, otto colpi. Ascoltai con leorecchie tese, pieno di sospetto. Ed ecco che un altro orologio cominciò afarsi sentire in un tono alto, risoluto. E, senza fretta, batté incontestabilmentele otto. Allora capii che le cose non andavano.Se non fui travolto subito anch'io dalla fine del mondo, la fine del mondoquale l'avevamo intesa fin lì, fu per caso: come per un destino disopravvivenza, a pensarci bene. È nel corso naturale delle cose che un buonnumero di individui si trovi sempre all'ospedale, e per la legge dell'equadistribuzione mi trovavo a far parte di questo numero da circa una settimana.Con la stessa facilità avrebbe potuto trattarsi della settimana precedente, nelqual caso ora non starei scrivendo; anzi, non sarei qui affatto. Ma il destinovolle non solo che mi trovassi all'ospedale in quel momento determinato, mache avessi gli occhi e, per essere precisi, tutta la testa, bendati; ed ecco perchédevo essere grato a quel qualcuno, chiunque sia, che regola l'equadistribuzione dei mali. Allora, a dire il vero, ero soltanto stizzito, e michiedevo che cosa diavolo stesse accadendo: perché ero stato in quel luogoabbastanza da sapere che in un ospedale la cosa più sacra, beninteso dopo lacapo-infermiera, è l'orologio.Senza orologio quel luogo non poteva funzionare; e, fino allora, l'orologioaveva sempre decretato che ogni mattina, esattamente tre minuti prima dellesette, qualcuno venisse nella mia stanza per lavarmi e mettermi in ordine, inattesa della colazione. Ma quel giorno orologi di varia attendibilitàcontinuavano a battere le otto in tutte le direzioni, senza che nessuno si fossefatto vedere.Probabilmente la cosa mi avrebbe seccato qualsiasi altra mattina, ma quelmercoledì, 8 maggio, era un giorno di eccezionale importanza per me.Attendevo con particolare impazienza che tutto il piccolo traffico mattutinofosse terminato, perché quello era il giorno in cui dovevano togliermi lebende.Brancolai un poco per afferrare il campanello, e suonai vigorosamente percinque secondi buoni, tanto perché si sapesse che cosa ne pensavo di tuttiloro.Mentre attendevo la brusca risposta che quel fracasso avrebbe dovutoprovocare, continuavo a tendere l'orecchio.Mi accorsi allora che fuori c'era nell'aria qualcosa di ancor più strano diquanto avessi immaginato. I rumori che si udivano e quelli che non siudivano, suscitavano il senso della domenica più di una domenica vera epropria; e io avevo raggiunto la certezza assoluta che era mercoledì,qualunque cosa stesse succedendo.Per quale ragione i fondatori del St. Merryn's Hospital avessero fattoerigere il loro pio istituto all'incrocio di due grandi strade, al centro di unattivo quartiere di uffici, esponendo così i nervi dei pazienti a un continuologorio, non sono mai riuscito veramente a capirlo. Ma per i fortunati i cuimalanni non fossero tali da renderli particolarmente sensibili al frastuono deltraffico, quell'ubicazione offriva il vantaggio di starsene a letto senza essere,per così dire, tagliati fuori dal grande flusso della vita. Di solito, gli autobusdiretti al West End passavano rombando, nel tentativo di superare il semaforoal giallo; ma spesso uno stridore di freni e una salva di colpi delloscappamento annunciavano che non c'erano riusciti. Poi si udiva il rombo deiveicoli che si rimettevano in moto. E ogni tanto c'era come un interludio: unfragore improvviso e poi un arresto generale; una vera tortura per uno che sitrovasse nelle mie condizioni, costretto a giudicare l'entità degli incìdenti daltipo delle bestemmie che provocavano.Ma quella mattina tutto era diverso dal solito. Diverso in modosconcertante perché tanto misterioso. Non c'era fragore di ruote, o rombo diautobus; in realtà, non si riusciva a udire il rumore di un solo veicolo. Néfreni, né clacson, neppure il trotto dei rari cavalli che talvolta ancorapassavano di là. Né il confuso trepestio di gente diretta al lavoro.
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