Da un'ora il grande elicottero saliva, nella notte e nell'aria che si andavararefacendo, verso le cime delle Ande. Ora, giunto a 6000 metri d'altezza,l'elicottero si mantenne a quella quota, mentre il motore prendeva a ronfaremonotono. Già il sole toccava le cime delle montagne, e la stazioneinterplanetare apparve a un tratto, nitidamente, a un paio di chilometri piùavanti.Il ragazzo biondo e robusto, che occupava il sedile del passeggero, simosse d'un tratto e cominciò a strofinarsi gli occhi celesti, annebbiati dalsonno.Chuck Svensen era piuttosto basso per la sua età; non aveva ancoradiciotto anni, e la sua statura non giungeva a un metro e settanta; il viso eraancora imberbe. Gli riusciva sempre difficile convincere la gente della suavera età. Ora, vedendo il campo dei razzi interplanetari, il suo viso assunseun'espressione così eccitata da farlo sembrare ancor più giovane.Ma c'era del rispetto sul volto del pilota.«Dev'essere bello tornarsene a casa sulla Luna» disse con una puntad'invidia nella voce.Chuck sorrise.«È meraviglioso. Dopo aver vissuto lassù quattro anni, pesando un sesto diquello che si pesa sulla Terra, mi sembra di essere una tonnellata di piombo.Ma ne è valsa la pena».«Ne è valsa la pena!» ripeté il pilota, con tono ora chiaramente invidioso.«Ragazzo mio, tu sei uno dei sei più fortunati individui del mondo. Darei ilbraccio destro per poter partire anch'io col primo razzo per Marte!»Chuck assentì. Non gli sembrava ancora vero. Per quattro anni avevaseguito la fabbricazione dell'astronave che doveva fare quel viaggio, senzanutrire alcuna speranza.Persino quando il Governatore della Città della Luna era riuscito aottenere che dell'equipaggio facesse parte un appartenente al gruppo dellaLuna, Chuck non aveva osato neppur sognare una simile fortuna.Il limite di età era stato stabilito rigorosamente tra i diciotto e i ventisetteanni, ed egli avrebbe compiuto i diciotto anni proprio il giorno della partenza.Quando, grazie alla sua esperienza di radar e per la sua prestanza fisica, erastato prescelto, in tutta la Città della Luna non vi fu una persona più sorpresadi lui.Ne seguirono lunghe notti di studio, quasi completamente insonni, unviaggio speciale sulla Terra, e due settimane di durissimi esami che misero aprova le sue capacità. Ora era riuscito; e stava tornando alla Luna, da dovequasi subito avrebbe dovuto partire per Marte.L'elicottero stava atterrando. Chuck vide molti uomini indossanti gli abitipesanti adatti al freddo intenso dell'ambiente. L'aria era troppo rarefatta perpoter respirare facilmente e tutti portavano maschere che fornivano ossigenoe che davano loro l'aspetto di mostri inumani. Egli si mise la mascheraallorché l'elicottero toccò terra; sostò un attimo, poi si lasciò scivolare sulcampo. La piccola astronave speciale della Luna aveva già atterrato e la sistava allestendo per il viaggio di ritorno. Dalle tre alette di base, che oraservivano da sostegni, alla estrema punta, essa misurava 13 metri. L'astronaveaveva la forma di un grosso sigaro munito di ali tozze. Alcune pompe stavanoriempiendo di carburante i serbatoi e alcuni gru caricavano scatolame estrumenti dì precisione nel piccolo compartimento apposito. Una grossissimamacchina aveva tolto la camicia consumata dell'astronave e la stavasostituendo con una nuova. Un enorme carro officina lavorava al motoreatomico, sostituendo le cassette consumate di plutonio.Chuck aveva già visto altre volte tutte queste manovre. Si fece strada fragli uomini che tenevano i carri officina a distanza di sicurezza dal motoreatomico aperto e si avviò verso la mensa. Gli abiti e la maschera cheindossava gli davano un aspetto non molto differente da quello degli altri,così che non attrasse l'attenzione. Ciò gli fece piacere, dopo la notorietà cheaveva goduta dopo aver superato gli esami.Nella mensa ad aria condizionata Chuck trovò il pilota dell'astronave chesorseggiava il caffè e aveva gli occhi fissi sul cameriere che ne stavapreparando dell'altro. Jeff Foldingchair non arrivava a un metro esessantacinque di statura, ma il colore ramato del suo viso e i suoi capellinero-blu lasciavano supporre che, come egli asseriva, fosse di pura razzaindiana Cherokee. Aveva fatto parte dell'equipaggio nel secondo viaggio allaLuna, venticinque anni prima, ed era ancora uno dei migliori piloti su quellalinea. I suoi occhi neri incontravano nello specchio dietro il banco quelli diChuck. Non si volse, ma i suoi denti bianchi rifulsero in un subitaneo sorriso.
giovedì 15 agosto 2024
Urania n.2 - Lester del Rey: Il Clandestino Dell'Astronave
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