«Dunque è la prima volta che andate lassù!» disse il pilota appoggiandosipigramente allo schienale del sedile che la sospensione cardanica mantenevain posizione orizzontale.«Sì» rispose Martin Gibson, senza staccare gli occhi dal cronometro.«Me l'ero immaginato. Nei vostri libri, infatti, non avete mai raccontato lecose come sono. Il fatto di svenire durante l'accelerazione è tutta una fesseria.Perché mai scrivere certe assurdità? Pregiudicano gli interessi finanziari, nontrovate?»«Scusatemi, ma credo che stiate parlando dei miei primi racconti» disseGibson. «Allora il volo interplanetario non era ancora cominciato e io erocostretto a servirmi unicamente dell'immaginazione.»«Uhm» fece il pilota, degnandosi di dare un'occhiata all'orologio. Lalancetta dei secondi aveva ancora un giro da compiere. «Se fossi in voi, nonmi aggrapperei a quel modo al sedile: è soltanto un impasto di berillio emanganese, e potrebbe piegarsi.»Gibson lasciò subito la presa e si rilassò. Si rendeva conto di affrontare lasituazione in uno stato d'animo per così dire sintetico.«Certo non sarebbe molto divertente se dovesse durare più di qualcheminuto...» riprese il pilota. «Ah, ecco che si mettono in moto le pompe delcarburante. Non preoccupatevi quando il timone direzionale comincerà a farescherzi strani e lasciate che il seggiolino giri come gli pare. Chiudete gliocchi, se questo può aiutarvi. Sentite? I razzi dell'accensione cominciano amiagolare. Ci vogliono circa dieci minuti per acquistare la velocità di fuga,ma a parte un po' di baccano, non succede mai niente. Basta abituarcisi.»Ma Martin Gibson non sentiva più niente. Era già scivolatonell'incoscienza sotto l'effetto di un'accelerazione che pure non aveva ancorasuperato quella normale di un ascensore ultrarapido.Rinvenne dopo pochi minuti, e a mille chilometri di distanza,vergognandosi terribilmente della brutta figura fatta.Osservò il pilota, chino sul cruscotto e tutto intento a scrivere sul giornaledi bordo. Il silenzio era totale, di tanto in tanto, però, si udivano comedetonazioni stranamente soffocate, quasi scoppi in miniatura, che lasciavanoGibson alquanto disorientato. Tossicchiò, con discrezione, per annunciare ilproprio ritorno alla coscienza e chiese al pilota che cosa fossero.«Contrazioni termiche dei motori» fu la secca risposta. «Si sono riscaldatifino cinquemila gradi e adesso si stanno raffreddando a tutta velocità. Comevi sentite? Meglio?»«Benissimo» rispose Gibson, ed era sincero. «Posso alzarmi?»Psicologicamente, aveva toccato il fondo ed era rimbalzato alla superficie,ma si trovava in una posizione molto instabile, per quanto non se ne rendesseconto.Provò una meravigliosa sensazione di euforia. Il momento che aveva tantoatteso era finalmente giunto. Si trovava nello spazio! Era una vera disdettaaver perduto il decollo, ma quando si sarebbe messo a scrivere avrebberitoccato abilmente quel punto con chiose e commenti opportuni.Lontana mille chilometri, la Terra era ancora molto grossa... e offriva unospettacolo alquanto deludente. Spiegabile, del resto: aveva già visto centinaiae centinaia di fotografie e di film presi da razzi in volo, e così gli era mancatala sorpresa. Notò le inevitabili fasce mobili di nubi nella loro lenta marciaintorno al mondo. Al centro del disco le separazioni tra terra e mare eranonettamente delimitate, e si potevano scorgere anche mille dettagli minuti, maverso l'orizzonte ogni cosa si perdeva in una fitta foschia. Persino entro ilcono di visuale chiarissima che si apriva, luminoso, verticalmente sotto di lui,quasi tutto era sfuocato e perciò privo di senso. Certo un meteorologo sisarebbe abbandonato a trasporti di gioia nel contemplare l'animata massa divapori che si snodava là in basso, ma la maggior parte dei meteorologiabitava nelle stazioni spaziali, ormai, dalle quali si godeva una vista anchemigliore. Gibson si stancò presto di frugare con gli occhi in cerca di città ealtre opere dell'uomo. Era umiliante constatare come tanti millenni di civiltànon avessero prodotto alcun mutamento degno di rilievo nel panoramasottostante.Di lì a poco si mise a cercare le stelle, ma provò una seconda delusione.Certo ce n'erano a centinaia, ma pallide e come spente, smorti fantasmi delleaccecanti miriadi che lui si era aspettato di vedere. La colpa era da imputareal vetro scuro del finestrino: volendo attenuare la luce del sole avevanoderubato le stelle de! loro fulgore.Si sentì vagamente indispettito. Una cosa soltanto si era svolta secondo lesue previsione. La sensazione di essere sospeso a mezz'aria, di potersisospingere da una parete all'altra col semplice impulso di un dito, questo, sì,era meraviglioso come lui aveva immaginato, benché lo spazio fosse un po'troppo angusto per tentare esperienze audaci. Adesso che erano state scopertesostanze nuove che neutralizzavano gli organi preposti al sensodell'equilibrio, e la nausea spaziale era diventata solo un vago ricordo delpassato, la mancanza di peso costituiva uno stato fisico delizioso, fatato. Nefu molto contento. Come avevano sofferto, i suoi eroi!
giovedì 8 agosto 2024
Urania n.1 - Arthur C. Clarke: Le Sabbie Di Marte
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