giovedì 8 agosto 2024

Urania n.1 - Arthur C. Clarke: Le Sabbie Di Marte




«Dunque è la prima volta che andate lassù!» disse il pilota appoggiandosi
pigramente allo schienale del sedile che la sospensione cardanica manteneva
in posizione orizzontale.
«Sì» rispose Martin Gibson, senza staccare gli occhi dal cronometro.
«Me l'ero immaginato. Nei vostri libri, infatti, non avete mai raccontato le
cose come sono. Il fatto di svenire durante l'accelerazione è tutta una fesseria.
Perché mai scrivere certe assurdità? Pregiudicano gli interessi finanziari, non
trovate?»
«Scusatemi, ma credo che stiate parlando dei miei primi racconti» disse
Gibson. «Allora il volo interplanetario non era ancora cominciato e io ero
costretto a servirmi unicamente dell'immaginazione.»
«Uhm» fece il pilota, degnandosi di dare un'occhiata all'orologio. La
lancetta dei secondi aveva ancora un giro da compiere. «Se fossi in voi, non
mi aggrapperei a quel modo al sedile: è soltanto un impasto di berillio e
manganese, e potrebbe piegarsi.»
Gibson lasciò subito la presa e si rilassò. Si rendeva conto di affrontare la
situazione in uno stato d'animo per così dire sintetico.
«Certo non sarebbe molto divertente se dovesse durare più di qualche
minuto...» riprese il pilota. «Ah, ecco che si mettono in moto le pompe del
carburante. Non preoccupatevi quando il timone direzionale comincerà a fare
scherzi strani e lasciate che il seggiolino giri come gli pare. Chiudete gli
occhi, se questo può aiutarvi. Sentite? I razzi dell'accensione cominciano a
miagolare. Ci vogliono circa dieci minuti per acquistare la velocità di fuga,
ma a parte un po' di baccano, non succede mai niente. Basta abituarcisi.»
Ma Martin Gibson non sentiva più niente. Era già scivolato
nell'incoscienza sotto l'effetto di un'accelerazione che pure non aveva ancora
superato quella normale di un ascensore ultrarapido.
Rinvenne dopo pochi minuti, e a mille chilometri di distanza,
vergognandosi terribilmente della brutta figura fatta.
Osservò il pilota, chino sul cruscotto e tutto intento a scrivere sul giornale
di bordo. Il silenzio era totale, di tanto in tanto, però, si udivano come
detonazioni stranamente soffocate, quasi scoppi in miniatura, che lasciavano
Gibson alquanto disorientato. Tossicchiò, con discrezione, per annunciare il
proprio ritorno alla coscienza e chiese al pilota che cosa fossero.
«Contrazioni termiche dei motori» fu la secca risposta. «Si sono riscaldati
fino cinquemila gradi e adesso si stanno raffreddando a tutta velocità. Come
vi sentite? Meglio?»
«Benissimo» rispose Gibson, ed era sincero. «Posso alzarmi?»
Psicologicamente, aveva toccato il fondo ed era rimbalzato alla superficie,
ma si trovava in una posizione molto instabile, per quanto non se ne rendesse
conto.
Provò una meravigliosa sensazione di euforia. Il momento che aveva tanto
atteso era finalmente giunto. Si trovava nello spazio! Era una vera disdetta
aver perduto il decollo, ma quando si sarebbe messo a scrivere avrebbe
ritoccato abilmente quel punto con chiose e commenti opportuni.
Lontana mille chilometri, la Terra era ancora molto grossa... e offriva uno
spettacolo alquanto deludente. Spiegabile, del resto: aveva già visto centinaia
e centinaia di fotografie e di film presi da razzi in volo, e così gli era mancata
la sorpresa. Notò le inevitabili fasce mobili di nubi nella loro lenta marcia
intorno al mondo. Al centro del disco le separazioni tra terra e mare erano
nettamente delimitate, e si potevano scorgere anche mille dettagli minuti, ma
verso l'orizzonte ogni cosa si perdeva in una fitta foschia. Persino entro il
cono di visuale chiarissima che si apriva, luminoso, verticalmente sotto di lui,
quasi tutto era sfuocato e perciò privo di senso. Certo un meteorologo si
sarebbe abbandonato a trasporti di gioia nel contemplare l'animata massa di
vapori che si snodava là in basso, ma la maggior parte dei meteorologi
abitava nelle stazioni spaziali, ormai, dalle quali si godeva una vista anche
migliore. Gibson si stancò presto di frugare con gli occhi in cerca di città e
altre opere dell'uomo. Era umiliante constatare come tanti millenni di civiltà
non avessero prodotto alcun mutamento degno di rilievo nel panorama
sottostante.
Di lì a poco si mise a cercare le stelle, ma provò una seconda delusione.
Certo ce n'erano a centinaia, ma pallide e come spente, smorti fantasmi delle
accecanti miriadi che lui si era aspettato di vedere. La colpa era da imputare
al vetro scuro del finestrino: volendo attenuare la luce del sole avevano
derubato le stelle de! loro fulgore.
Si sentì vagamente indispettito. Una cosa soltanto si era svolta secondo le
sue previsione. La sensazione di essere sospeso a mezz'aria, di potersi
sospingere da una parete all'altra col semplice impulso di un dito, questo, sì,
era meraviglioso come lui aveva immaginato, benché lo spazio fosse un po'
troppo angusto per tentare esperienze audaci. Adesso che erano state scoperte
sostanze nuove che neutralizzavano gli organi preposti al senso
dell'equilibrio, e la nausea spaziale era diventata solo un vago ricordo del
passato, la mancanza di peso costituiva uno stato fisico delizioso, fatato. Ne
fu molto contento. Come avevano sofferto, i suoi eroi!

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