mercoledì 21 febbraio 2024

Bruno Gambarotta: Trova le parole, spaventalo , 1982


Domanda: dove viene rinvenuto il cadavere di un barbone assassinato?
Risposta: sotto l’arcata di un ponte.
Risposta esatta; per la precisione sotto Ponte Milvio, come a dire il ponte più ponte di tutti i ponti di Roma.
Domanda: dove è maturato il delitto?
Risposta: nello squallido sottobosco degli emarginati che vivono di piccoli traffici illeciti.
Nossignore! Severino Ottone, il morto cioè, prima di ridursi in quello stato, aveva fatto per molti anni il capo comparsa a Cinecíttà ed era conosciuto da moltissime persone. E questo sarebbe sufficiente, secondo te, a montare mezza pagina di cronaca?
Aspetta: non hai ancora sentito il meglio. Ho già pronto il titolo: LA LACCA CHE UCCIDE
Ma che cazzo dici?
Il primo caso mai registrato negli annali della criminalità: un uomo ucciso con la lacca per i capelli; gli hanno tappato il naso e poi gli hanno scaricato in gola l’intero contenuto di una bombola spray. Peccato che non possiamo dire la marca per non fare reclame…
Ma va… ed è morto.
Mortissimo. La lacca gli ha inamidato la gola e i polmoni. E tu vorresti lavorarti il morto.
Be’, vorrei tentare, non è che c’è poi tanto da scegliere in questo momento.
Se proprio ci tieni… guarda, sono così generoso che ti do un’imbeccata che come sempre si rivelerà preziosa: nel cinema c’è una categoria di persone che usano abitualmente la lacca per i capelli…
I truccatori! Risposta esatta!

* * *

Fermo là! Cosa sta facendo? Dia qua! Chi è lei? Come si permette?
Sono il commissario Garzullo della sezione omicidi. Lei è il capo truccatore Osiride Rossi?
Sì, sono io.
Perché stava bruciando questo foglio? Mettevo un po’ d’ordine qui sopra.
Vediamo un po’ cosa dice il frammento che siamo riusciti a salvare.
Non le permetto!
Fermo! Stia fermo o le faccio mettere subito le manette. Senti, senti:
“Non ne posso più. Il nostro comune amico esercita nei miei confronti una vera e propria persecuzione. Io la mia parte l’ho fatta, fin troppo generosamente. Adesso tocca a te. Fallo smettere: trova le parole, spaventalo”. Di chi era questa lettera che stava bruciando?
Non lo so.
Come sarebbe, non lo so?
Non lo so. L’ho trovata ieri, qui, sul tavolino. Qualcuno deve averla persa. Io l’ho presa e l’ho messa nel portafoglio per restituirla.
Chi l’ha persa?
Non lo so. Ne passa tanta di gente qua dentro.
Ma come? Come faceva a restituirla se non sapeva chi l’aveva persa?
Be’, pensavo che qualcuno si sarebbe fatto vivo per chiedermi se per caso avevo trovato una lettera così e cosà.
Però la stava bruciando quando sono entrato.
E certo. Sapevo che prima o poi sareste arrivati da me per quel vecchio litigio con l’Ottone. E sapevo anche che su questa lettera ci avreste fatto su un romanzo.
Ma qui c’è scritto: trova le parole, spaventalo… non c’è mica scritto: trova la lacca, uccidilo! Quindi, di cosa aveva paura?
Gliel’ho già detto: quella lettera non è mia! Come mai è finita in tasca a te?
Anche questo gliel’ho già detto: ho trovato questo biglietto ieri, mentre riponevo i miei materiali.
Le tue lacche!
Ma sì, le mie lacche! Tanto lo sapete benissimo che quel disgraziato non l’ho ammazzato io!
Però una volta ci hai litigato e l’hai preso a calci e a pugni. Tanto tempo fa. Per arruffianarsi un regista gli procurava delle bambine e a me questo non andava proprio giù!
È stata una rivolta morale! Proprio così!
Se l’hai trovato nel tuo camerino saprai di chi è. Non nel mio camerino, nel mio laboratorio.
Va be’! Fa lo stesso! Chi l’aveva perso?
Non lo so! Ne passa tanta di gente da me ogni giorno. Come faccio a sapere chi l’ha perso?
Facciamo così: io ti mando a truccare i secondini, chissà che prima o poi non ti ritorni la memoria.

* * *

Be’, visto che la polizia mi aveva bruciato il truccatore, ho fatto quello che mi avevi ordinato tu, mi sono lavorato il morto.
Hai la faccia di quello che torna a casa con la selvaggina, perciò dai, fuori il rospo.
Be’, sono andato in giro qua e là e ho fatto chiacchierare quelli che avevano conosciuto il barbone…
Non potresti per una volta saltare subito alla conclusione? E così, un pezzo qui e uno là è venuta fuori una cosina piuttosto interessante…
Sarebbe?
Come si chiama quel piatto cinese che viene laccato? L’anatra pechinese.
Ecco: pare che la nostra anatra pechinese avesse un chiodo fìsso in testa, raccontare a tutti quelli che avevano voglia di starlo a sentire che trent’anni fa un pezzo grosso della Rai gli aveva rubato un soggetto cinematografico, l’aveva mandato a un concorso e aveva vinto il primo premio.
Figurati se uno che è un pezzo grosso della Rai ha bisogno di rubare un soggetto a un barbone!
Ma lo è diventato dopo un pezzo grosso! Al momento del plagio era un barbone anche lui! Anzi la buonanima sosteneva che la fortuna di costui era incominciata proprio con la vittoria a quel concorso!
Allora tu hai sviluppato quel filone e hai scoperto che… A differenza di certa gente io ho un’infinità di amici, tra i quali ce n’è uno che ha riempito il garage di riviste di cinema. Sono andato a trovarlo e grazie a lui ho scoperto che in quegli anni c’era un concorso per soggetti cinematografici indetto da “Bianco e Nero”.
Se lo chiedevi a me facevi prima.
L’abbiamo sfogliata annata per annata e giunti al 1954 abbiamo fatto la scoperta: in quell’anno il concorso fu vinto da un soggetto firmato da
Marco Appendino che pochi mesi fa è stato nominato direttore centrale alla Rai…
E tu magari adesso avresti l’intenzione di scrivere tutto questo nel tuo articolo…
Cosa stai cercando di dirmi, che mi censuri?
No, no, per carità, il nostro giornale è al di sopra di queste miserie.
Però non citare il nome dell’Appendino per intero… alludi… è più elegante…
E più prudente…

* * *

Sono Marco Appendino. Ho letto il suo articolo e mi sono riconosciuto nel personaggio vincitore del concorso di
“Bianco e Nero”. Ma santo cielo… perché non mi ha telefonato prima di pubblicarlo? Avremmo evitato la noia delle rettifiche e delle precisazioni… Non potremmo parlarne? Adesso?
Perché no? Venga a casa mia. L’aspetto.
Buongiorno, s’accomodi. Vengo subito al dunque. La storia del soggetto è vera e falsa nello stesso tempo; quando venni a Roma nei primi anni cinquanta dalla natìa Sondrio per cercare di far strada nell’ambiente del cinema, andai ad abitare in una pensione dalle parti di piazza Vittorio, mi pare si chiamasse pensione Tiberina. Lì conobbi quel poveraccio che è morto, anche lui cercava di farsi conoscere nell’ambiente, voleva occuparsi di produzione. Quando morì Stalin, nel 1953, parlandone, a uno di noi venne l’idea di un soggetto cinematografico.
A chi venne per primo l’idea?
Mah, in queste cose è ben difficile stabilire delle priorità. La cosa ha talmente poca importanza che sono dispostissimo ad ammettere che l’idea venne a lui. La cosa importante, e che nessuno può smentire, è che la stesura materiale del soggetto è mia. Parlandone da vivo, il povero Ottone era poco più che un analfabeta.
Com’era il soggetto?
Non l’ha letto dopo che l’ha scovato? E pensare che io di quel numero di
Bianco e Nero non ne ho più neanche una copia… ho fatto tanti di quei traslochi… Non l’ha letto? Fa lo stesso. L’idea comunque era questa, l’ideina diciamo: in un paesino del bergamasco un tale, ricco, malato e bigotto fa un voto: se la Provvidenza gli farà la grazia di far morire
Stalin prima di lui, donerà tutti i suoi beni a un’opera pia che è già floridissima. Muore Stalin e i parenti fanno di tutto per fargli credere che il dittatore è ancora vivo. Lo circondano di persone prezzolate, arrivano persino a far stampare falsi numeri de “l’Unità”…
Come va a finire?
Se le dicessi che me lo ricordo bene le direi una bugia… mi pare che questo tale un giorno, nonostante le precauzioni prese dai parenti, incontra un vecchio amico e si ferma a chiacchierare con lui: costui, in un inciso del discorso, afferma che Stalin è morto. I parenti sventano il pericolo facendogli credere che si tratta di una manovra messa in atto da quelli dell’opera pia per scucirgli l’eredità. Quel tale non sa più a chi credere. Il dubbio lo divora: si fa coraggio e si presenta a un dibattito organizzato dal partito comunista, fra lo scalpore dei presenti che lo conoscono come feroce av versario. Chiede la parola, sale sul palco e dice: “Farò una sola domanda e vi prego di rispondermi con sincerità: Stalin è vivo o è morto?”.
L’intervento viene accolto come una provocazione: urla, trambusto, il nostro eroe viene cacciato via senza aver ottenuto risposta alla sua domanda. I parenti approfittano dello scandalo per farlo interdire. C’era poi un ultimo risvolto in base al quale, per un’erronea interpretazione del testamento, quando quel tale finalmente moriva, l’eredità andava tutta al partito comunista. Quando il soggetto fu scritto ci ponemmo il problema di cosa farne: io proposi di mandarlo al concorso di “Bianco e
Nero”, l’Ottone invece voleva cercare di venderlo subito. A me spiaceva perché, siccome eravamo due sconosciuti, ce l’avrebbero pagato due lire, ne avrebbero fatto polpette e soprattutto non mi avrebbero fatto partecipare alla sceneggiatura, cosa alla quale in quel momento tenevo moltissimo.
Ottone che, poveretto, aveva bisogno di soldi, insistette nel suo proposi to, dicendomi che conosceva uno che lavorava all’ufficio soggetti della
Rizzoli film e che sicuramente ce l’avrebbe comprato. Era il tempo delle vacche grasse e il cinema comprava veramente di tutto. Io allora gli chiesi quanto credeva che secondo lui ce l’avrebbero pagato; lui ci pensò un po’ su e poi sparò, credendo di impressionarmi: duecentomila lire! Io avevo un po’ di soldi da parte, credevo a quel soggetto e non volevo che diventasse spazzatura; gli feci una proposta che lui accettò immediatamente: mi compro la tua parte del soggetto. Ti do centomila lire e da questo momento è mio e ne faccio quel che mi pare. Così fu fatto.
Ricordo che lui mi firmò anche una ricevuta e la cessione totale dei diritti. Il resto della storia, anche lei lo conosce; mandai il soggetto al concorso di “Bianco e Nero” e vinsi il primo premio, e per me la cosa fini lì, non diventò mai un film. Non finì invece per il povero Ottone: era convinto che il mio ingresso in Rai e quel poco di carriera che vi avevo fatto dipendessero da quella vittoria.
Figuriamoci: lei sa benissimo che i miei nemici attribuiscono la mia recente nomina alla mia militanza politica! Naturalmente non è proprio così: ho scritto anche dei libri, insegno alla scuola di Bergamo e al
Centro Sperimentale. Insomma quel soggetto è stata la mia prima piccola affermazione. Tutto lì. Nel suo delirio il povero Ottone arrivò a pensare che se il soggetto l’avesse firmato lui, a lui sarebbe toccata in sorte quella fortuna che invece purtroppo non ha avuto. Come lei ha scritto benissimo nei suoi articoli, Ottone è sempre vissuto di espedienti, di piccoli traffici, di tangenti estorte alle comparse. Di tanto in tanto veniva a bussare alla mia porta, e io l’aiutavo per pietà, per toglier melo dai piedi, perché mi ricordava i tempi eroici della pensione
Tiberina. Qualche volta l’ho raccomandato perché lo facessero lavorare alla
Rai a cachet come organizzatore cinematografico. Ogni volta i responsabili del settore si lamentavano con me perché svolgeva male il suo lavoro. Forse beveva, non so. Ultimamente aveva dato vita a una vera e propria persecuzione nei miei riguardi. Aveva letto sui giornali di questa nomina e s’era messo in testa che io potevo farlo assumere in pianta stabile. Figuriamoci! Di questi tempi è un’impresa impossibile persino al presidente! E poi cosa avrei potuto fargli fare? L’usciere? Il fattorino?
Tutti i santi giorni si presentava in viale Mazzini e chiedeva di parlarmi.
Se gli facevo dire che non ero in ufficio faceva delle chiassate che non le dico. Così ho scritto quel biglietto a una persona che lo conosceva bene, pregandola di darmi una mano a far finire questa storia.
Perché si è rivolto proprio al truccatore Osiride Rossi che già aveva litigato con lui?
Ma io quel biglietto non l’ho scritto a quel signore che hanno messo dentro. Quando afferma che il biglietto l’ha trovato sul suo tavolo da lavoro e se l’è messo in tasca, probabilmente dice la verità.

* * *

Lei prima lascia che mettiamo dentro un innocente per un biglietto che gli abbiamo trovato addosso e che non era indirizzato a lui…
Ma chi andava a immaginare che quella era l’unica prova che avevate per metterlo dentro!
Poi lo scagiona attraverso un’intervista, facendoci fare la figura degli stupidi. E adesso! Adesso si rifiuta di dirmi il nome della persona a cui il biglietto era indirizzato! Si metta nei miei panni: che cosa dovrei fare a questo punto, secondo lei?
E lei, commissario, si metta nei miei: dovrei forse darle in pasto il nome di una persona amica perché lei me la sbatta subito dentro così come ha fatto con il truccatore?

* * *

Di nuovo? Ma è una persecuzione! Non vi basta d’avermi incarcerato innocente?
Dovrà abituarsi all’idea di vedermi spesso, almeno finché non avremo trovato l’assassino del suo amico Ottone.
A me mi avete messo dentro subito, ma al direttore della Rai avete usato altri riguardi! Poi dicono che la legge è uguale per tutti!
Non sono io che firmo i mandati di cattura. Mi serve l’elenco delle persone che si sono fatte truccare da lei il giorno in cui uno di loro ha smarrito qui dentro la lettera del dottor Appendino.
È presto fatto: basta tirar fuori l’ordine del giorno e lì c’è scritto tutto quello che vi serve.
Mancinelli, fammi solo la lista delle donne. Perché signor commissario?
Il dottor Appendino mi ha parlato di una persona amica. Se si trattava di un uomo avrebbe detto più semplicemente di un amico.

* * *

Ascolta: ti ricordi la famosa intervista che Mario Appendino ha voluto rilasciarmi?
Certo che me la ricordo, è l’unica volta che ti sei guadagnato lo stipendio.
Perché, quella mancia che mi date per comprarmi le sigarette, qui lo chiamate stipendio?
Vai avanti.
Una cosa mi aveva colpito: l’inutile dettaglio del nome della pensione
Tiberina, la sottolineatura della voce quando Appendino aveva pronunciato quel nome…
Eccolo là! Lo dicevo io che non bisognava dare Freud in mano ai bambini!
Così sono andato a controllare: la pensione Tiberina esiste ancora! È sempre là dalle parti di piazza Vittorio!
Tu ci sei andato e ci hai trovato il commissario Garzullo! Macché: Garzullo sta controllando tutti quelli che sono stati truccati da Osiride Rossi per scoprire chi ha lasciato cadere la lettera nel suo gabbiotto.
Perché, tu pensi che l’abbia fatto apposta?
Certamente! Non interrompermi più, mi fai perdere il filo. La padrona della pensione è la figlia della padrona di allora e si ricorda tutti benissimo perché era ragazzina e aveva fatto un pensierino su Appendino il quale però non s’era accorto di niente perché era tutto intento a fregarsi i soggetti altrui. Io non ti interrompo più ma tu vieni al dunque.
Il dunque è presto detto: è verissimo che l’Appendino e il morto laccato abitavano nella stessa pensione, ma ci stava pure l’Osiride Rossi e questo finora nessuno l’aveva detto. Bel colpo! Ne hai parlato con qualcuno?
Sei matto? Uscito di lì sono subito andato a trovare il truccatore,
Osiride Rossi, per chiedergli conto della mia scoperta e lui m’ha trattato malissimo. Va bene che aveva appena ricevuto la visita del commissario ma in fondo se è uscito dal carcere lo deve a me, se non era per l’intervista dell’Appendino a quest’ora era ancora in carcere e chissà quanto tempo ancora ci rimaneva.
In conclusione?
In conclusione la soluzione del mistero è nel rapporto fra Osiride Rossi e Mario Appendino ed è in quella direzione che, col tuo permesso, voglio scavare.

* * *
Pronto, sono Mario Appendino, come va? Lo sa che, grazie a lei, qualcuno
è andato a rileggersi quel vecchio soggetto e adesso pare che ne vogliano fare un film?
Con i soldi della Rai?
Lei ha sempre voglia di scherzare. Come proseguono le sue indagini sull’anatra pechinese?
Come fa a sapere che in redazione lo chiamiamo così? Be’, ho anch’io i miei informatori.
Dovevo immaginarlo. Non si diventa direttori alla Rai senza prendere qualche precauzione.
Ma no, non demonizzi subito tutto. Allora, le sue indagini? Come direbbero in questura, segnano il passo. Ci pensa il commissario Garzullo a spingerle avanti.
Ho capito. Mi tenga informato se c’è qualcosa di nuovo. Se poi ha bisogno di qualcosa sono a sua completa disposizione. Chissà che da tutta questa storia non salti fuori alla fine uno sceneggiato televisivo.

* * *

Ti ho nominato mio consulente ufficiale per il cinema. Molto onorato.
Prendo le chiavi del garage e sono subito da te.
Non è necessario. Voglio che mi parli del Centro Sperimentale negli anni in cui lo frequentava l’Appendino.
Cosa vuoi sapere esattamente.
Se tu dovessi fare un elenco dei fatti più clamorosi accaduti in quegli anni, quale metteresti per primo?
Be’, erano gli anni della normalizzazione. Tu sei troppo giovane per ricordare ma la cinematografia italiana allora dipendeva dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e sottosegretario alla presidenza era Giulio
Andreotti. Iniziava il declino della scuola neorealista ma i registi erano tutti di sinistra e questo ad Andreotti e ai suoi amici non andava giù.

Cominciarono la loro opera di demolizione proprio dal Centro Sperimentale e un giovane insegnante fu costretto a dimettersi e si uccise.

* * *

È un errore essere generosi con te: uno ti dà un dito e tu ti prendi il braccio. Non è molto elegante quello che sto per dirti ma te lo dico lo stesso: io sono il tuo capo servizio e ho il diritto e il dovere di sapere cosa fai e dove vai!
Forse che non siete contenti del mio lavoro? Siamo contentissimi!
Sei geloso dei miei successi!
Ma va a quel paese! Quando ti muovi rappresenti il giornale e noi abbiamo il diritto di sapere cosa hai intenzione di fare! Va bene, va bene, non c’è bisogno di arrabbiarsi per così poco! Le mie indagini sono a un punto morto e anche quelle del commissario Garzullo per quel che ne so. Bisogna far succedere qualcosa; mi piacerebbe tendere una trappola al truccatore, a
Osiride Rossi.
Secondo te è lui l’assassino? No, ma lui sa chi è.
E questa trappola?
Devo ancora pensarci. Poi devo chiedere l’aiuto del commissario Garzullo.

* * *

Lei! Con che coraggio…
Sono venuto a proporle un’alleanza. Non abbiamo bisogno del suo aiuto.
Ma siete fermi. Io so un paio di cose che lei non sa. Cioè?
Prima il patto: io le passo queste informazioni e le espongo la mia idea.
Se le piace mi fa partecipare alla cosa in modo che sono l’unico che può raccontarla sui giornali.
Chissà i suoi colleghi come saranno contenti…
* * *
Allora, questa trappola è scattata? Domani.
La polizia ci sta?
Hanno detto che non gli interessa.
Non mi farai mica qualche cazzata delle tue solite? Sta tranquillo, il buon nome del giornale sarà salvo.

* * *

Non ho niente da dire. Se ne vada. Mi hanno già rotto abbastanza le palle quelli della polizia su questa maledetta storia.
Aspetti un istante: lo sa che la pensione Tiberina esiste ancora?
Embè?
Lo sa chi la dirige adesso? La figlia della proprietaria di una volta. Si ricorda quella ragazzina impicciona, sempre tra i piedi? Be’, è lei.
Si tolga lei dai piedi: io non ricordo niente e poi ho da fare. Peccato, perché lei invece si ricorda benissimo di voi tre: di Mario Appendino, di
Severino Ottone e di lei, signor Rossi. E va bene, in quella pensione c’ero anch’io. E con questo? Perché non l’ha mai detto?
Nessuno me l’ha chiesto. E poi, che importanza può avere? La signora Donata
ha una memoria formidabile: pensi che si ricorda ancora che lei, signor
Rossi, andava sempre a frugare nel cestino della carta straccia per recuperare i fogli scritti che l’Appendino buttava dopo averli copiati in bella. Che cosa cercava su quei fogli signor Rossi?
Se è un ricatto ha sbagliato indirizzo.
Lo so, lo so, lei è un maestro in materia. Cosa vuole da me?
Un’imbeccata: io sono un giornalista e voglio fare un colpo con questa storia.
Stia attento che il colpo qualcuno non glielo faccia in testa. Chi per esempio? L’Appendino?
Io non ho fatto nomi.
Cosa c’era scritto su quei fogli che lei recuperava dal cestino?
Niente di speciale: sapevo che l’Appendino mandava tutti i mesi a un ufficio governativo un rapporto su quello che succedeva al Centro
Sperimentale…
Una spiata…
Più o meno. Io volevo soltanto controllare se parlava di me…
E l’ha scoperto?
No, Altrimenti non sarebbe uscito vivo dalle mie mani.

* * *

Senta lei è un giornalista intelligente e preparato; non mi verrà a dire spero che crede alle fandonie di quel Rossi? Come fa a sapere quello che mi
ha detto il Rossi?
Oh, lo immagino. Avrà rimestato nel fango, come il suo solito. Rossi è un altro che non può mandar giù il fatto che lui è rimasto al palo.
È senz’altro così.

Vede che anche lei è arrivato alle mie conclusioni? Cosa farà adesso?
Niente. La mia parte è finita. Ora tocca alla polizia scoprire il luogo dove il Rossi tiene nascosta la brutta copia del suo rapporto, quello con cui lei trent’anni fa denunciò l’insegnante che poi venne licenziato e si suicidò.

* * *

Aveva ragione, ha funzionato.
Si ricordi i patti. Deve raccontarmi tutto. In esclusiva.
È presto detto. Ci siamo appostati vicino alla casa del Rossi e abbiamo aspettato. Dopo un po’ è arrivato tutto trafelato l’Appendino, il Rossi gli ha aperto e l’ha fatto entrare in casa. Abbiamo sentito che litigavano ma non si capivano le parole. Poi silenzio. Abbiamo sfondato la porta e siamo arrivati appena in tempo: l’Appendíno teneva sotto il Rossi e stava cercando di scaricargli in gola uno spray di lacca per i capelli. Ma
è un vizio.
Tutto quadra: il Rossi ricattava l’Appendino facendogli credere di essere in possesso della brutta copia del suo rapporto e adesso che era diventato direttore voleva che facesse approvare un grosso appalto per dei suoi amici. L’Appendino, che intanto era tormentato anche dall’altro compagno della pensione Tiberina, il Severino Ottone, l’ha ammazzato con la lacca in modo che i sospetti ricadessero sul Rossi.
Ma con l’intervista l’ha scagionato!
Certo, per tenerlo sempre appeso a una corda e impedirgli di usare l’altro ricatto. L’equilibrio del terrore, insomma.

* * *

Senti, non penserai mica di andare avanti tutta la vita a non salutarmi.
Non mi piacciono i delatori.
Delatore! Che parola grossa! Ammetterai che non ti ho mai messo i bastoni tra le ruote.
Vorrei vedere! Però riferivi puntualmente tutte le mie mosse al dottor
Appendino!
Non era mica lui l’indiziato! E poi il giornale deve tenere buoni rapporti con tutti.
Il giornale o il capo servizio cronaca?
Se è per questo io mi sono sempre identificato con la testata.
Già.
Quale sarà la tua prossima vittima?
Ho chiesto al direttore di farmi cambiare aria, vado agli interni.
Peccato, saresti diventato un ottimo cronista. Sotto la tua guida.
L’hai detto.

Premio Gran Giallo Città di Cattolica 1982

 

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