Genova 27-X-1782 - Nizza 27-V-1840
Apprese il violino nella più tenera età, e a tredici anni fu mandato dal padre a Parma per perfezionarsi con Ghiretti nella composizione; nel 1797 incominciava la carriera di concertista, che interruppe tra il 1801 e il 1804 per ritirarsi a vivere presso una dama dell'aristocrazia fiorentina, perfezionandosi
nel frattempo nel violino e nella chitarra, strumento di cui fu pure grande virtuoso. Infine, dal 1808 si dedicò interamente al concertismo, e fece sbalordire i pubblici di tutta Europa in un'interminabile serie di tournées; fu a Livorno, Venezia, Milano e in tutte le principali città d'Italia, e nel 1828 incominciò a farsi acclamare anche a Vienna e in altri paesi dell'oriente europeo, nel 1831 a Londra e a Parigi, stabilendosi infine in una villa presso Parma e trasferendosi nel 1839 a Nizza, in cerca di un clima migliore: ma non riuscì a vincere il suo male, e soggiacque alla tisi.
Solo nel 1845 i suoi resti poterono essere tumulati in Italia.
Ultimo di una serie gloriosa di violinisti virtuosi che comprende Locatelli, Tartini, Pugnani e Viotti, Paganini raccolse la ricchissima eredità della scuola italiana creando le basi del violinismo trascendentale moderno, che da lui prende le mosse cosi come alle radici del pianismo contemporaneo sta la scuola di Liszt. Lo strumento nelle sue mani non ebbe più misteri, ed egli seppe ricavarne sonorità e possibilità che ancor oggi costituiscono un punto d'arrivo anche per i concertisti più agguerriti.
Ma sarebbe errato confinare Paganini tra i virtuosi disconoscendone le doti di compositore, che egli ebbe e in misura veramente notevole. La sua tecnica trascendentale serve a dar veste sonora a un pensiero musicale ben individuato, in cui un temperamento intimamente romantico trova sfocio con una chiara ed equilibrata cantabilità. Anche nella produzione concertistica,
oltre che nelle intramontabili composizioni per violino solo, Paganini prodiga uno slancio e una ricchezza d'invenzione che rispecchiano tutta la sua personalità ardente e generosa, tanto che i suoi concerti conservano una posizione di grande importanza nel panorama della letteratura violinistica.
Concerto No. 1 in D Major per violino e orchestra op. 6
La tonalità originale di questo Concerto era mi bemolle, mentre la parte del violino era scritta in re: bisognava dunque che il violino solista fosse accordato un semitono sopra rispetto all'orchestra. Nelle intenzioni di Paganini, ciò doveva servire a rendere più teso e brillante il suono dello strumento solista. Oggi il Concerto viene eseguito normalmente in re maggiore, e bisogna dire che con questo non perde nulla della sua straordinaria brillantezza di timbro.
Come sempre in Paganini, la scrittura del solista è di un virtuosismo trascendentale, piena di innovazioni e di ardimenti tecnici quali prima d'allora sarebbero stati impensabili su uno strumento come il violino. L'andamento del discorso musicale è ispirato a una semplice melodiosità, ed ha un che dell'improvvisazione, impressione rafforzata dalla preminenza assoluta del
solista sull'orchestra. Quest'ultima si limita a un ruolo di accompagnamento
discreto, e sarebbe vano ricercare una struttura simile a quella del concerto beethoveniano, imperniata sui contrasti e sulla dialettica tra il corpo orchestrale e lo strumento solo. Tuttavia non bisogna nemmeno pensare che si
tratti di un'opera tutta esteriore e priva di un nerbo musicale: perché Paganini non è solo un grande virtuoso, ma anche un musicista di razza, e inconfondibile rimane il profilo delle sue linee.
II primo tempo è un "Allegro maestoso," in cui melodie piene di lirismo si alternano a iperbolici passaggi tecnici; segue un "Adagio" in si minore - che secondo Paganini voleva rappresentare l'accorata preghiera di un prigioniero - e infine un rondò "Allegro spiritoso" dove effettivamente la sostanza musicale passa in seconda linea di fronte alla tecnica sbalorditiva, che vede il solista impegnato in passaggi di estrema varietà timbrica, con una variazione incessante e sorprendente dei più diversi e difficili colpi d'arco, doppi armonici, scale e arpeggi di ogni genere, che arrivano a sfiorare registri acutissimi, prima d'allora praticamente ignorati nella pratica violinistica.
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