sabato 29 luglio 2023

John Russell Fearn: La campana del giudizio, 1960

 

Avevo notato l’avvicinarsi del temporale da qualche tempo. Durante il pomeriggio, mentre Enid Cleggy e io mangiavamo all’aperto su un tappeto di erba verde e di ranuncoli, il caldo era diventato un peso opprimente. Era diventato faticoso anche soltanto muoversi, quindi ci eravamo sdraiati a fissare il sonnacchioso cielo di giugno, osservando il lento e impercettibile addensarsi di nubi color fumo all’orizzonte meridionale.
Verso la fine del pomeriggio la calma era calata sul paesaggio ondulato di questa campagna meridionale inglese. Lontano le mucche stavano ritte con la schiena rivolta alle siepi e questo di per sé era significativo.
— Enid, sarà meglio che ci muoviamo — dissi alla fine ansiosamente. — Non abbiamo l’automobile e se vogliamo finire la giornata con i vestiti asciutti sarà meglio che ci affrettiamo verso l’autobus. E sono cinque chilometri. Andiamo!
Enid annuì e mi aiutò a raccogliere il necessario per il pic-nic in un paniere di vimini, poi portandolo tra di noi ci affrettammo attraverso il prato verso la fermata dell’autobus.
Comunque, malgrado questo finale improvviso, era stata una splendida giornata, una delle pochissime che ero in grado di permettermi a causa della vita impegnata della città. Anche Enid aveva fatto in modo di potermi accompagnare poiché, come direttrice di vendite di un negozio di abbigliamento di Londra, aveva poco tempo a disposizione.
Era una ragazza pratica, di bella presenza in un certo modo grave, con capelli biondi e penetranti occhi grigi. Non avevamo mai ammesso a chiare parole che eravamo innamorati. Era una cosa considerata scontata, come spesso accade tra persone impegnatissime, ma ero deciso a non lasciar passare molto tempo prima di chiederle di diventare mia moglie.
— Piove! — gridò improvvisamente tendendo in fuori la mano. Era vero e con grosse gocce. Le nubi del temporale erano passate dal grigio al violetto. Da lontano si sentiva un brontolio che annunciava l’inizio del temporale: in quel mentre si verificò una cosa strana. Durante tutta quella giornata d’estate ero stato enormemente felice ma con il primo rumoreggiare del tuono lontano mi accadde qualcosa.
Mi aggredì un’indescrivibile sensazione di presentimento angosciante. Dapprima non potei comprenderlo. Dopo tutto non avevo mai avuto paura dei temporali; in effetti non avevo paura di niente. Eppure...
— Che ti succede, Bob? — Mi chiese sorpresa Enid.
Sobbalzai e mi sforzai di sorridere. — Eh? Oh, niente. Mi sono sentito un po’ strano, come se... Lascia perdere — borbottai. — Probabilmente è la tensione elettrica prima dello scoppio del temporale.
— O quelle sardine — rifletté lei. — Avevo dei dubbi su di loro fin dal primo momento. Dico che dobbiamo affrettarci — aggiunse ansiosa. — La pioggia aumenta e indossiamo soltanto abiti leggeri.
Ci mettemmo a correre mentre la pioggia cadeva forte. Improvvisamente stava sibilando tutt’intorno a noi, ribollendo sulla secca erba bruciata, sollevando una miasma di vapore fluttuante sopra le vallata oltre la quale correva questa campagna ondulata. Più proseguivamo, più ero sicuro che non avremmo mai raggiunto la fermata dell’autobus, e tanto meno la nostra casa, senza essere bagnati fino al midollo. Anche se ci fossimo riparati sotto qualcuno degli alberi che punteggiavano il prato, l’acqua non ci avrebbe risparmiato.
— Che ne dici dell’abbazia di Kelby? — suggerii. — È solo a un chilometro, in quell’avvallamento laggiù. È sempre aperta. Potremmo ripararci.
Lei esitò e sapevo perché. C’era una leggenda sull’abbazia di Kelby... ma dopo tutto corrono leggende su tutte le abbazie, più o meno, e specialmente su una come Kelby, vecchia di oltre cinquecento anni.
— Sarebbe un rifugio — continuai ansiosamente. — Questo sembra un temporale del diavolo e qui fuori potremmo lasciarci la pelle.
— Va bene — assentì riluttante. — Francamente non mi sono mai sentita a mio agio nelle chiese da quando mio zio morì improvvisamente in una di esse dodici anni fa.
Non era il momento di discutere su questo, così ci affrettammo il più possibile tra il fango e l’erba bagnata. Mentre andavamo, il tuono risuonò proprio sopra di noi accompagnato da un lampo. Fu un lampo terribile che immerse la campagna sotto la tempesta di una luce azzurra brillante.
Ancora provai con il lampo quella sensazione di indicibile orrore. Era una sensazione terribile come se la mia anima fosse stata momentaneamente immersa nel più profondo Pozzo dei Dannati. Non dissi niente a Enid in proposito: era già abbastanza allarmata dalla furia del temporale.
Facemmo di corsa come campioni velocisti gli ultimi cinquecento metri con il paniere del pic-nic tra di noi. Ormai si era alzato il vento e con la sua furia piegava gli olmi nelle prime tenebre del crepuscolo. Per due volte, mentre completavamo il percorso, il lampo serpeggiò nel cielo nero e il tuono fece tremare il terreno. Poi attraverso la foschia della pioggia apparve la poderosa mole semidistrutta dell’abbazia di Kelby, con la sua porta sempre aperta.
Corremmo lungo la scalinata ed entrammo nell’interno tranquillo e cupo. La pace cadde su di noi immediatamente come un mantello. Ci fermammo un attimo: mettemmo giù il paniere e ci voltammo a guardare la pioggia che ruscellava sui gradini consumati. Ringraziammo Dio in quel momento per l’abbazia di Kelby, con le sue porte sempre aperte ai devoti che potevano cercare soccorso nei suoi recinti venerati per un breve conforto alla vita materiale.
Enid fece un sorriso di sollievo.
— Be’, almeno siamo fuori da quel temporale: può essere una buona occasione per dare un’occhiata a questo posto. L’ho visto molte volte all’esterno, ma temo di non essere stata abbastanza interessata, o abbastanza religiosa per visitarne l’interno. Vediamo, questa è la parte moderna, non è vero? Questo porticato? E questa è l’antica abbazia restaurata, con le autentiche rovine laggiù in fondo. Ehm, posso benissimo cominciare a redimermi. Vieni?
Per qualche ragione le sue parole suonarono fredde e mondane in questo luogo possente. Questa era una delle cose che non avevo mai potuto approfondire in Enid. Da qualche parte del profondo del suo carattere serpeggiava una vena di freddo, gelido cinismo. Balzava in superficie ogni volta che lei si trovava di fronte a qualcosa di sacro. Eppure sapendo che lei aveva dovuto farsi da sola strada nel mondo, che possedeva tutte le sofisticazioni che una moderna città poteva instillare in lei, avevo sempre ignorato questa sfaccettatura del suo carattere. Dopo tutto non sono un santo nemmeno io.
Voltandoci guardammo nella chiesa. Al momento era immersa nel crepuscolo della tempesta ma improvvisamente ci fu un altro lampo e ci diede un’istantanea azzurrina di enormi finestre dai vetri colorati, di mastodontici pilastri di pietra, di santi scolpiti, di banchi vuoti, di stalli del coro e dell’altare.
Enid rabbrividì improvvisamente.
— Fa freddo — disse. — Tutte le chiese sono fredde, specialmente quelle antiche come questa. E poi sono tutta bagnata.
Strizzò i polsini delle maniche e l’orlo della gonna impazientemente, e rabbrividì ancora quando una folata di vento entrò dalla porta aperta. Alla fine, spinta dalla curiosità, si diresse lungo la navata nel vuoto assoluto della chiesa. Mi incamminai dietro di lei, la seguii oltre l’imponente altare, attraverso un corridoio e nel chiostro. Qui tuttavia un lato era esposto alla tempesta, e ci affrettammo a ritirarci. Ma non nella chiesa. Aprimmo una porta di quercia ed entrammo rapidamente in quella che ritenevamo fosse un’anticamera.
Tuttavia era una specie di cripta, oppure un archivio, perché le cripte di solito sono sotto terra. Certamente era vecchia, con pareti spesse, e polverosa. I lampi di luce saettavano e si abbattevano violentemente sull’unica finestra bifora illuminando una tavola di abete, una sedia di legno di quercia e scaffali su scaffali pieni di libri ammuffiti.
— Sembrerebbe una specie di sala di lettura dei monaci — decisi alla fine. Poi facendomi avanti diedi un’occhiata ai libri sugli scaffali. Alla luce dei lampi osservai alcuni dei titoli e scoprii che erano latini. Per il resto sembravano solo incartamenti dell’abbazia, senza dubbio pieni di gemme storiche.
— Qual è la leggenda a proposito di questa abbazia? — chiese Enid a un certo punto vedendomi accanto e continuando a sfregarsi le mani per riscaldarsi. — È qualcosa che riguarda una campana? Ne ho sentito parlare ma non ricordo bene... Probabilmente sono soltanto chiacchiere.
— La leggenda — dissi — parla di una gigantesca campana che si mette a suonare quando si deve verificare una morte in questa chiesa. La morte succede sempre in questa abbazia. L’ultima volta che ha suonato fu dodici anni fa, mi pare.
Enid aggrottò la fronte.
— Ma sicuramente ogni domenica suoneranno le campane?!
— Quelle ordinarie sì, ma questa della leggenda è una campana solitaria in un proprio campanile eretto per qualche ragione speciale quando questa abbazia venne costruita. C’erano in origine quattro campane sul campanile speciale. Poi tre furono rimosse e ne rimase una sola. Era chiamata, e lo è ancora, la Campana del Giudizio.
— Beh, mi sembri una guida turistica — scherzò Enid. — Comunque mi sembrano un cumulo di sciocchezze.
Si voltò sprezzante e fece scorrere gli occhi sugli incartamenti. Fu mentre lei li guardava e un lampo si accendeva con intensa luminosità che l’enorme sensazione di malignità mi sommerse ancora. Era come se una Presenza senza nome, una Entità incredibilmente malvagia e senza Dio, tentasse di sopraffarmi e di schiacciarmi. Qui, nel venerato isolamento dell’abbazia, dove anche il tuono era attutito dalle spesse pareti, l’effetto era infinitamente più amplificato di quanto lo fosse stato all’esterno.
Un impulso irresistibile mi fece afferrare il braccio di Enid mentre lo allungava verso lo scaffale.
La mia stretta fu così forte che si voltò con un grido. — Scusa — mormorai, mentre la sensazione mi abbandonava ancora una volta. — Non capisco che cosa mi sia accaduto... una specie di sensazione maligna. Forse è questa chiesa e la tempesta...
— È più probabile che sia la chiesa — rispose laconicamente. — È abbastanza tetra da mettere malinconia a chiunque. Per qualche ragione questi posti non mi fanno mai sentire santa: soltanto irritata e risentita. Mi chiedo perché debbano essere deprimenti e minacciose?
Meditò brevemente su questo, poi ritornando allo scaffale prese un incartamento. Era come se lo avesse fatto con una mano che non era sua. Fu un movimento deciso, tanto che lei stessa sembrò sorpresa poiché rimase a guardare nella luce tenue l’oggetto incredibilmente antico che aveva in mano.
— Ma perché diavolo ho scelto questa roba? — domandò. — Volevo prendere quei libri sullo scaffale anteriore per passare il tempo e invece ho... — alzò le spalle. — Diamo un’occhiata comunque.
Gettò l’incartamento sul tavolo e si alzò una nuvola di polvere.
Nello stesso istante sopra l’abbazia scoppiò un tuono spaventoso accompagnato da un lampo che ci avvolse per un momento in un livore azzurro. Per la sua intensità mi sentii venir meno e i capelli mi si rizzarono per un secondo o due.
— Pare che sia proprio qui sopra — mormorai — e per quanto ne so questa abbazia è la sola costruzione per chilometri. Non sarà meglio uscire?
Enid guardò la finestra lungo la quale la pioggia ruscellava come una cascata. — No di certo. Ho già l’impressione che mi prenderò una polmonite nello stato in cui sono. Non voglio rischiare altro.
Tornò di nuovo all’incartamento e lo aprì. Con le dita snelle sfogliò le pagine di pergamena impolverata. L’inchiostro, anche se sbiadito, era ancora leggibile, e il testo era per la maggior parte in inglese antico. Guardai al di sopra della sua spalla, trattenendo un vago desiderio di strappare l’incartamento dalle sue mani e gettarlo fuori nella tempesta. Una idea sciocca, dite? Forse sì, se la si considerava obiettivamente, ma non potete avere idea delle forze che agivano sopra di me (e per quel che ne sapevo anche sopra Enid) in quella chiesa circondata dalla tempesta.
Perché per esempio aveva deciso di aprire l’incartamento proprio alla pagina intestata L’antica leggenda dell’abbazia Kelby?
— Be’, non è fortuna questa? — disse Enid cinicamente. — Ci stavamo chiedendo di quella antica storia di vecchie comari... ed eccola tutta qui! Ma, Signore, che scrittura impossibile!
Cominciò a leggere lentamente a voce alta... «e così narra la leggenda che il santo monaco Dranwold fu ucciso dalla mano dell’assassino che strisciò...»
Enid s’interruppe e sospirò. — Be’, chiunque abbia scritto questa roba non venderebbe a una rivista moderna.
— Per amor del Cielo Enid, piantala con le tue dannate chiacchiere blasfeme! — esplosi. — Piantala!
Lei mi fissò con aria attonita.
Quelle parole mi erano sfuggite da sole e mentre le pronunciavo il senso di orrore che mi attanagliava si era attenuato come se quelle aspre parole lo avessero esorcizzato, qualunque cosa fosse.
— Ma a chi — disse Enid amaramente — credi di parlare?
— A te naturalmente! Che diritto hai di prendere in giro i venerabili documenti di questo luogo? Non ti rendi conto di che cosa tratta quell’incartamento? Racconta la morte di un monaco, di un religioso, di un sant’uomo che fu ucciso da un assassino. Questo non è un soggetto da prendere alla leggera.
Vidi le sue labbra tremare come se volesse darmi una secca risposta. Poi si rilassò e alzò leggermente le spalle.
— La tempesta ti ha preso la mano, Bob. Nondimeno, senza voler essere blasfema, questa roba è assurda per il nostro raziocinio moderno. Sembra che...
Si fermò, con gli occhi fissi su quell’antica pagina. Non credo di aver mai visto una simile espressione su un volto umano. Era orrore oltre ogni descrizione. Ed era così assorta che nemmeno un altro terribile lampo riuscì a farle batter ciglio.
— Enid, Enid, cos’hai? — gridai afferrandola. — In nome di Dio che stai fissando così?
Si portò lentamente la mano alla bocca inorridita. Poi con grande sforzo sembrò riprendere il controllo di sé. Indicò la pagina evidenziando una sola riga alla fine della leggenda: «... e così la Campana del Giudizio suonerà per ogni discendente di Dranwold. L’assassino il cui nome è Cleggy...»
— Cleggy! — esclamai. — Scritto all’antica, ma questo è il tuo cognome, Enid.
— Sì — mormorò. — Sì, lo è.
Mi guardò con uno sguardo assente per qualche minuto. Il suo volto si era imperlato di sudore in quei pochi momenti paralizzanti. Ora, con la mano che tremava visibilmente, chiuse l’incartamento e si appoggiò tremante al tavolo.
— Non capisco — ansimò con il petto che si alzava e si abbassava violentemente. — Non capisco... mi sento confusa qui dentro... oppressa. Ti rendi conto di quello che dice questo incartamento? — gridò.
— Mi rendo conto che per una coincidenza l’assassino del monaco aveva il tuo stesso cognome... — osservai. — Ma dopo tutto Enid, questo è verosimile. Cleggy è un nome comune.
— No, non lo è — ribatté con voce atona. — Clegg lo è, e anche Clegger... entrambi sono cognomi di origine antica. Ma non Cleggy. Questo è decisamente insolito... significa — finì lottando per controllarsi — che quel Cleggy era probabilmente un mio antenato.
— È ridicolo — cominciai a dire; poi mi fermai. Era proprio così ridicolo dopo tutto? Ricordai le mie strane emozioni, quel senso di paura strisciante che aveva continuato ad assalirmi. Soprattutto ricordai che lei aveva preso quell’incartamento quasi automaticamente e lo aveva aperto immediatamente alla pagina desiderata...
Ci fissammo in volto mentre un lampo si accendeva di nuovo.
— Supponiamo — disse alla fine lentamente Enid — che sia vero? Che questo assassino sia un mio antenato. Questo cosa fa di me?
— Soltanto quella che sei — ribattei quasi rudemente. — Una ragazza moderna in un mondo moderno. Non è possibile che qualcosa che è accaduto secoli fa possa coinvolgerti ora...
Lei esitò, poi si volse ancora una volta all’incartamento. Lesse lentamente, nervosamente, traducendo in lingua moderna mentre leggeva.
«... il monaco Dranwold era in preghiera davanti all’altare. L’assassino Cleggy giunse furtivamente dalla zona del transetto e lo pugnalò alla schiena... e la sua morte sarà vendicata in eterno: questa fu la maledizione di Dranwold in punto di morte...»
— E la sua morte sarà vendicata in eterno — ripeté Enid lentamente.
— Tutti i miei antenati e parenti, per quel che posso ricordare, sono morti misteriosamente... Bob! — La sua voce era alterata per un improvviso isterismo. — Bob, dobbiamo andarcene da qui in fretta. Sono convinta che non sia stato un caso a condurci qui.
Stavo cominciando a pensare la stessa cosa. Era possibile, mi chiedevo, che la forza degli eventi, una forza totalmente al di sopra della nostra comprensione, ci avesse guidati al pic-nic, ci avesse intrappolati nella tempesta e poi ci avesse diretto – o almeno avesse diretto Enid – verso questa abbazia? Era possibile che ci fosse uno spirito di tremenda perfidia in libertà in questa tempesta, che tentasse di raggiungere la ragazza, discendente di un assassino senza Dio? Quella sensazione d’insopportabile malvagità che avevo sentito era stata provocata in qualche modo da lei, la moderna equivalente di Cleggy? Rabbrividii leggermente.
— Sì, andiamo — decisi di colpo. — In questo posto stanno accadendo cose che sono al di là della nostra comprensione. Vieni.
Ci affrettammo a tornare, attraverso i chiostri sforzati dalla pioggia, nei recessi spettrali della chiesa, proseguimmo oltre i banchi silenziosi fino al portale dove giaceva ancora il nostro canestro. Qui, fuori dalla porta principale, ci fermammo.
La tempesta sembrava essersi scatenata con furia demoniaca proprio sopra questo edificio antico. La pioggia si insinuava attraverso la porta aperta a torrenti sibilanti; i fulmini si accendevano e crepitavano nel diluvio; lo scoppio e il rombo dei tuoni scuoteva l’abbazia fino alle fondamenta.
— Non è possibile uscire là in mezzo — mormorai — proprio non possiamo. Soccomberemmo prima di aver compiuto una dozzina di passi.
— Bob — sussurrò Enid — è come se gli elementi fossero impazziti sopra questo punto. Non sembra una tempesta come tutte le altre... Bob, sono spaventata! — Mi afferrò strettamente il braccio e sentii la sua mano tremare.
— Calmati — le dissi, benché anch’io non mi sentissi troppo eroico. — È solo una violenta tempesta estiva, ecco tutto... Passerà in poco tempo. Poi ci muoveremo di nuovo. Ci rimane ancora un sacco di tempo — aggiunsi guardando il mio orologio. — Sono soltanto le sei.
— Le sei — ripeté cupamente — ed è buio come a mezzanotte.
Ritornò ancora nella chiesa, con passo agitato, guardò verso la navata. Poi, mentre un lampo la illuminava, emise un terribile urlo, tanto che mi girai su me stesso con il cuore impazzito.
— Che cosa diavolo... — domandai raggiungendola.
— Io... io l’ho visto! — balbettò. — L’ho visto là, davanti all’altare! Oh, mio Dio, l’ho visto!
— Visto chi? — domandai guardando la zona illuminata dai lampi senza vedere niente di strano.
— Dranwold, il monaco, inginocchiato davanti all’altare..
Era così prostrata dalla paura che riusciva a stento a reggersi in piedi. L’afferrai e la strinsi a me. Evitava di girare lo sguardo verso la chiesa, mentre continuavo a sostenerla, con il suo volto premuto contro la mia spalla. Eppure, mentre guardavo oltre la navata alla luce dei lampi che illuminavano il posto, non riuscii a vedere niente d’insolito, certamente nulla che sembrasse una figura inginocchiata.
— Non c’è niente laggiù — le dissi gentilmente — assolutamente niente. È stata la tua immaginazione, ombre provocate dal lampo, immagino. I tuoi nervi sono andati a pezzi per la tempesta e la leggenda. Tutto qui.
Lentamente si sforzò di guardare ancora, poi voltò la testa di scatto.
— È là. Inginocchiato — insistette. — Con tonaca e cappuccio! Non chiedermi di guardare ancora. Non oso...
Questa volta non contraddissi la sua asserzione. C’era qualcosa di molto reale, molto terribile, che lei vedeva e io no. Involontariamente pensai alla leggenda dell’incartamento. Influenza ereditaria? L’assassino Cleggy che agiva attraverso lei?
Poi mi ritornò quell’opprimente sensazione di malvagità e mi ritrassi da lei. Fu tanto se riuscii a mantenere la mia stretta su Enid. Avrei voluto gettarla lontano da me con ripugnanza, come se fosse lei la causa delle mie sensazioni.
— Ora è andato via — fece poco dopo raddrizzandosi. — Sì, è sparito. — Guardò a occhi spalancati lungo la navata, fino al lontano altare illuminato dai lampi. — Forse... forse era soltanto un’ombra.
Il modo in cui lo disse mi convinse che non ci credeva. Sapeva di aver visto qualcosa che l’aveva lasciata piuttosto scossa.
— Forse è meglio tornare alla nostra cripta — osservai.
Lei fece cenno di sì e tornammo verso la penombra tra lampi e tuoni, oltre il tratto di chiostro sferzato dalla pioggia, dentro al nostro rifugio. E qui ci aspettava la cosa più incredibile. L’incartamento che era stato lasciato sul tavolo aperto alla pagina della leggenda, non c’era più. Automaticamente i nostri occhi si volsero allo scaffale. Era tornato al suo posto tra gli altri incartamenti.
— Deve averlo fatto l’ombra che ho visto, il monaco — disse Enid con voce rauca. — Solo lui può averlo fatto.
— Buon Dio, Enid, ti rendi conto di quello che stai dicendo? — gridai. — Stai suggerendo che una potenza sovrannaturale ha rimesso l’incartamento sullo scaffale.
— Sì — rispose furiosamente. — Oh, lo so che i fantasmi sono fantasie, che gli spettri non esistono... Questo va bene in città, ma qui c’è qualcosa di differente, un’enorme e maligna potenza scatenata nella tempesta. Che tenta di raggiungermi. Io sento che tenta! Io lo so! Bob tu mi devi aiutare!
— Ma contro che cosa? — gridai. — Come può un uomo tentare di combattere l’impalpabile?
— Tu devi aiutarmi a essere forte — implorò disperatamente; e fu orribile per me vedere come tutte le sovrastrutture artificiali del mondo le fossero state strappate.
— Questa tempesta non è naturale: ora posso sentirlo. In essa c’è la lotta eterna tra il bene e il male; la battaglia degli spiriti da lungo tempo morti agli occhi mortali, ancora concentrata su questa abbazia, la battaglia del monaco Dranwold contro il mio antenato Cleggy. Io so che è la verità. Non chiedermi come lo so... Forse l’istinto, la coscienza ereditaria ravvivata da forze occulte. Ma è là.
Lentamente, alla luce della sua dichiarazione, cominciai a capire anche le mie emozioni. Se davvero un antagonismo morto da lungo tempo si stava scatenando nella furia selvaggia della tempesta, era ugualmente possibile, come avevo già vagamente compreso, che lo spirito di Cleggy rivivesse grazie a Enid. E il suo potere maligno stava facendo il possibile per proteggere se stesso, per proteggere lei. Quindi era questa la forza che aveva tentato di sopraffarmi. Mi aveva spinto a impedirle di leggere quell’incartamento perché la verità su Cleggy non fosse mai conosciuta. Ecco tutto. Un’empia reincarnazione in cui gli stessi elementi avevano una parte.
— È l’eterno grido di vendetta — disse Enid con voce atona — che echeggia attraverso i secoli. E io sono la pedina.
Si rilassò di nuovo contro il duro tavolo, in un certo qual modo più calma ora che aveva evidenziata l’implicazione psicologica della situazione in cui si trovava. Rimanemmo a lungo in silenzio, con i volti scolpiti dall’incessante scoccare dei lampi, mentre ci guardavamo negli occhi.
— Forse — osservai con uno sforzo — se ci arrischiamo a uscire, potremmo allontanarci da questa tempesta. Sembra essere concentrata soltanto qui sopra.
— Non possiamo andar via — ribatté scuotendo la testa ostinatamente. — Non te ne sei ancora reso conto? Ci ha portato niente di più o di meno di una coercizione psicologica. La stessa coercizione che ci ha spinti a fare un pic-nic vicino all’abbazia, le stesse forze maligne che hanno provocato la tempesta. Siamo venuti qui... e ora...
Mi sforzai di tirarmi fuori da quelle sabbie mobili di cose inesplicabili. Afferrai Enid e la scossi violentemente.
— Enid, ti rendi conto di quello che stai dicendo? — gridai al di sopra del rombo dei tuoni. — Ti rendi conto in quali ridicole dimensioni abbiamo permesso che vagasse la nostra immaginazione? A una tempesta d’estate abbiamo dato spiegazioni occulte; in un’ombra noi troviamo... o almeno, tu trovi, un monaco morto da secoli... Siamo un uomo e una donna di oggi che si sono rifugiati in un’abbazia. La sola coincidenza di un nome non può, non deve, avere come conseguenza la totale sconfitta del nostro equilibrio mentale! È soltanto un attacco di nervi!
— No, Bob. — Il suo volto era grigio cenere. — È la verità. Ci sono troppi elementi perché sia soltanto una coincidenza.

* * *
Improvvisamente si fermò, le parole le morirono sulle labbra. Per un brevissimo momento il rombo del tuono cessò e ci fu una calma sepolcrale, opprimente. Sferzò i nostri nervi tesi come una frusta... Poi, da questo enorme innaturale silenzio, giunse un suono, il profondo solenne rintocco di una campana proveniente da qualche parte sopra le nostre teste. Una volta, due volte, tre volte suscitando echi con i suoi vibranti purissimi rintocchi.
— La Campana del Giudizio! — Quasi non mi accorsi di aver pronunciato le parole.
— No! No! No! — urlò Enid. — Non posso sopportarla, non posso...
Si precipitò verso l’ingresso della cripta mentre un altro rintocco risuonava nel lugubre silenzio. Poi il tuono rombò ancora mentre la campana continuava a rintoccare senza sosta, implacabile benché, per quanto ne sapevamo noi, non ci fosse alcuna mano umana ad azionarla.
— Enid! — gridai raucamente, poi corsi dietro alla sua figura in fuga. Sembrava essere impazzita per la paura. Una volta rientrata nella chiesa corse ciecamente lungo la navata laterale tra le panche, ovviamente diretta al portico e alla porta esterna.
— Enid! — urlai ancora, ma lei non mi ascoltava.
Poi mi avvicinai; lei si fermò a metà della chiesa e alzò le mani come per scacciare qualche mostruosa oscena visione. Si girò, chiaramente visibile alla luce dei lampi, e ritornò di corsa verso l’altare come se dietro di lei ci fosse Lucifero in persona.
— Il monaco Dranwold — urlò. — Dietro di me! Mi sta afferrando... No... no!
Risuonarono gli echi delle sue grida, le urla dei dannati. Io ero paralizzato dall’orrore del dramma che si svolgeva, l’inseguimento di una ragazza inerme da parte di qualcosa che non potevo nemmeno vedere.
Inciampando e ansando, la vidi alla fine in ginocchio davanti all’altare.
— Pietà! — implorò inerme. — In nome di Dio, pietà!
Improvvisamente ritornai in me e balzai avanti, deciso ad afferrarla con la forza e a portarla fuori da quel dannato buco: ma proprio in quel momento balenò una saetta come non ne avevo mai vedute.
Uno zig zag accecante di luce passò nettamente attraverso la grande finestra a vetri colorati a fianco dell’altare, frantumandola istantaneamente. Per un brevissimo attimo vidi Enid accucciata e paralizzata dal terrore proprio dove secoli prima era stato pugnalato Dranwold mentre pregava. Poi quel terribile fulmine si abbatté su Enid.
Il terribile choc mi fece barcollare, inerme, con le orecchie assordate dal più empio dei rintocchi. Il tuono, il clangore della Campana del Giudizio, il rumore della pietra che si spaccava e l’urlo di morte di Enid tutti fusi insieme.
Nauseato, mezzo accecato dal lampo, corsi avanti barcollando, presi il suo corpo tra le braccia. Era una visione terribile quella che mi apparve. Metà del suo corpo era carbonizzato fino alle ossa!
— Enid! — urlai. — Enid!
L’assurdità di gridare a questo povero corpo morto e annerito, mi colpì. La distesi di nuovo e balzai in piedi con i pugni stretti. Quale disumana diavoleria stava accadendo qui?
— Demonio! — urlai. — Demonio! Dovunque tu sia vieni fuori e affrontami! Vieni fuori! Io dico...
Silenzio. Assoluto silenzio. I rintocchi della campana gigantesca ora erano cessati: anche il tuono sembrava miracolosamente spento in lontananza. Gli accecanti lampi avevano cominciato a perdere la loro forza: attraverso la finestra sfondata vidi una striscia di sereno nel violetto delle nubi della tempesta.
— È un trucco — sputai la parola. — Uno sporco trucco! Qualche pazzo fuggito dal manicomio è qui e ha ucciso Enid.
Ritengo, dalle cose che dissi, che fossi mezzo impazzito di dolore e di paura. Ricordo che andai avanti e indietro cercando il modo di arrivare al campanile e alla fine lo trovai. Antichi scalini di pietra. Li salii a tre alla volta, aprii la porta, che non era chiusa a chiave ed entrai. Era vuoto, le corde oscillavano al fresco vento che entrava dalle finestre aperte. A che cosa stavo pensando? La Campana del Giudizio aveva un suo campanile. Naturalmente. Mi girai e andai verso la porta che si trovava a quell’altezza nell’abbazia. Era chiusa a chiave. Picchiai su di essa con le mani escoriate e sanguinanti.
— Diavolo dei diavoli, vieni fuori! — tuonai. — Vieni fuori, non mi puoi sfuggire!
Bussai e scalciai e urlai finché il mio cuore parve prossimo a scoppiare per la fatica e l’isterismo. Deglutii e ricaddi indietro contro la parete, con la testa che mi girava. Poi mi irrigidii sentendo un suono di passi sulla scalinata di pietra. Attesi, con le dita curvate come artigli.
I passi si avvicinarono, lenti e decisi. Si fermarono improvvisamente... Eppure non era un visitatore dell’altro mondo quello su cui posai lo sguardo, non era un essere demoniaco né un monaco in cappuccio e sudario, ma un uomo con il cappello floscio e un impermeabile gocciolante. Avanzò lentamente verso di me e vidi che il suo volto era molto pallido e tirato.
— Buon uomo, che cosa state facendo qui? — mi chiese stupito. Poi il suo volto si rattristò un poco. — Ma credo di poterlo indovinare. Quella povera ragazza laggiù, accanto all’altare, è stata colpita dal fulmine?
— O è stato il fulmine o c’è qualche specie di trucco diabolico in questo posto — gli dissi. — Chi diavolo siete, comunque?
— Sono David Bolton — rispose calmo — vicario di questa abbazia. Ho sentito i rintocchi della Campana del Giudizio. Ma del resto — alzò leggermente le spalle — me lo aspettavo quando ho visto che la tempesta era scoppiata di nuovo.
— Di nuovo? — gli feci eco stupito. — Ce n’è stata un’altra prima?
— Sì, dodici anni fa. — La sua voce era molto calma. — Quella volta un uomo morì in circostanze molto simili a quelle della ragazza là sotto. L’abbazia venne colpita dal fulmine mentre lui e un gruppo di amici vi si erano riparati. Rimase vittima della scarica elettrica. Il suo nome era... Roland Cleggy.
Fissai il vicario con la bocca aperta. Ricordavo che Enid aveva detto che suo zio era morto in una chiesa dodici anni prima. A quel tempo lei era troppo giovane per apprendere le esatte circostanze e...
— Quella ragazza — chiese il vicario — si chiamava anche lei Cleggy?
Annuii stupidamente.
— Già — mormorò — sarà sempre così fino a che tutti i discendenti del maledetto Cleggy saranno annientati. Cinque di loro sono morti proprio in questa abbazia nel corso dei secoli. Altri moriranno qui, attirati da una potenza occulta, a meno che questa ragazza non sia l’ultima della stirpe. Non possiamo trattare cose del genere, amico mio. Sono le forze dell’Oscurità. Il monaco Dranwold quando morì scagliò una maledizione di vendetta eterna sul suo assassino e i suoi successori. La maledizione ha sempre colpito. Scoppia sempre la tempesta, una terribile tempesta in cui l’anima di Cleggy e la maledizione di Dranwold sono ancora in lotta. Ma è sempre un Cleggy che perde.
Posò una mano gentile sul mio braccio.
— Dalle memorie delle antiche morti posso immaginare che cosa deve essere accaduto. Voi siete stati indirizzati da potenze invisibili alla cripta dove ci sono gli incartamenti dell’abbazia. Là la ragazza ha letto la leggenda. Poi, forse, lei ha immaginato di aver visto il fantasma dello stesso Dranwold che pregava all’altare. Infine, quando lei è stata abbattuta dove lo stesso Dranwold è morto, la tempesta si è calmata e la campana ha cessato di suonare.
— Non è vero! Non è vero niente! — gridai improvvisamente.
— È vero — dichiarò con calma. — Implacabilmente vero, ma in una dimensione che né voi né io potremmo mai comprendere da qui all’Eternità.
— Qualcosa di umano ha azionato quella dannata campana — gridai. — Non era una delle campane ordinarie, aveva un suono differente... Io dico che Enid Cleggy è stata assassinata, forse il fulmine era un lampo di magnesio o qualcosa d’altro. Io voglio vedere l’interno del campanile della Campana del Giudizio. È l’ultimo nascondiglio e la porta è chiusa a chiave.
Lui sorrise gravemente. — La potenza che ha rimesso l’incartamento sullo scaffale ha suonato la campana — rispose.
— Cosa sapete dell’incartamento? — gli chiesi.
— Lo so perché è sempre accaduto nello stesso modo. Tuttavia il vostro desiderio sarà esaudito. Solo un momento.
Scese e prese una grossa chiave, ritornò e la girò nella serratura della porta. La porta si aprì. Ma anche questo, l’ultimo possibile nascondiglio, era vuoto.
— Per il mondo — affermò il vicario — la signorina Cleggy è morta a causa di un fulmine. Ma noi sappiamo che è stata la vendetta a colpirla. Sottolineo questo punto perché vi sappiate regolare all’inchiesta. Vedete, nessuno crederebbe alla verità.
In questo secondo mi resi conto di quanto avesse ragione; capii cosa aveva voluto dire quando aveva affermato che la stessa potenza aveva rimesso a posto l’incartamento.
Perché non c’era alcuna campana.
Mi voltai attonito e riuscii a dire:
— Non c’è campana?
— Non c’è mai stata nessuna campana — ribatté il vicario. — Nessuno sa dove suoni veramente e chi l’aziona.

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