No, il gatto non era mai piaciuto a Revil Draycott. Quella era una bestia troppo furba e intelligente e in ogni istante pareva volesse ricordargli il momento in cui lui aveva ucciso la moglie per poi gettarne il corpo nel lago senza fondo di Gilpin. La donna morendo gli aveva lanciato una maledizione, per cui il gatto l’avrebbe vendicata, se anche lui fosse stato ucciso. Una frase molto strana, ma più probabilmente il semplice delirio di una moribonda.
Ad ogni modo, a Draycott il gatto non piaceva affatto. La bestia lo seguiva dappertutto, nei campi, o sotto la tettoia quando si dedicava ai lavori della fattoria; gli si sedeva accanto mentre mungeva le mucche, gli si metteva esattamente di fronte ogni volta che lui si sedeva a tavola.
C’era qualcosa di misterioso nella devozione del gatto e pareva che in ogni momento ci fosse un fuoco verde che giocava nei grandi occhi della bestia, come se conoscesse il segreto di Draycott e aspettasse soltanto l’occasione per affondare malignamente gli artigli nelle carni dell’uomo.
All’apparenza non era un animale diverso da un normale gatto tigrato, con la coda gonfia e la testa grossa. Ma gli occhi erano diversi: enormi, ipnotici e accusatori.
Draycott tollerò per due anni la presenza del gatto, dopo aver accuratamente pianificato la "sparizione" della moglie ed esitava a ucciderlo per via della maledizione. Ma a un certo momento Draycott fu spinto ad agire, quando la creatura, azzannando un boccone che lui gli porgeva, gli infilò profondamente gli artigli nella mano destra.
L’uomo si alzò di scatto dal tavolo, fissando trucemente il sangue che usciva dal graffio. Fissò il gatto con i crudeli occhi grigi e la bestia si allontanò di corsa.
— Maledetto demonio dagli occhi verdi! — gridò furiosamente. — Perché accidenti lo hai fatto? Per Dio, ti faccio vedere io come vanno trattati quelli come te!
Il gatto si allontanò ancora di più con la coda tra le gambe e gli occhi fiammeggianti, ma non scappò via. Draycott si avvicinò e lo afferrò, poi attraversò il cortile e lo portò nel vicino granaio. Qui gettò la bestia in un sacco e legò l’imboccatura, incurante delle grida terrorizzate della povera creatura. Draycott, colto dal furore, si era dimenticato di finire il suo tè, e, gettato il sacco su di una spalla, aveva riattraversato il cortile per avviarsi verso i campi. Proseguì nel tramonto invernale a passo sicuro, ignorando i violenti movimenti all’interno del sacco che teneva con presa sicura. La sua mente era concentrata su un’unica meta, che da due anni non aveva più preso in considerazione: il lago di Gilpin, a circa due chilometri dalla sua fattoria, appena fuori dal villaggio di Little Benton. Una volta sepolto il gatto in quelle profondissime acque, la bestia non lo avrebbe più tormentato e sarebbe completamente scomparso, come sua moglie.
Finalmente raggiunse la località e poggiò il sacco per terra. I miagolii non lo commuovevano e Draycott fissò le tranquille luci del villaggio, oltre il quale si stendeva il grande orizzonte del Michigan. Era tutto tranquillo, tranne alcuni suoni che provenivano dal piccolo circo alla periferia di Little Benton, accampato in una delle sue visite periodiche. Sì, era tutto tranquillo e deserto.
Draycott abbassò infine lo sguardo sulle acque nere del lago che luccicavano in fondo alla scarpata di trenta metri. La gente diceva che una volta il lago era stato una miniera, ma altri affermavano che sprofondava nelle viscere dell’inferno. Stupide chiacchiere di paese, naturalmente, ma ad ogni modo era davvero un posto perfetto per seppellire cose che non dovevano poter essere rintracciate.
Draycott esitò solo un attimo, ricordando la maledizione della moglie. Se avesse ucciso il gatto...
Si strinse impaziente nelle spalle, si chinò a raccogliere un sasso e lo assicurò alla bocca del sacco, quindi afferrò l’intero fagotto e lo lanciò in aria e osservò la pietra che sprofondava tra le tenebre di quell’abisso cupo e malevolo. Il sacco scomparve in un gorgo di schiuma.
Draycott restò un momento immobile con un ghigno appoggiato ai calcagni e attese finché il ribollire dell’acqua cessò e il lago ridivenne placido. Quando l’uomo si rialzò in piedi era ormai quasi buio. Tutto era ancora tranquillo e nell’aria si percepiva la minaccia di pioggia. Dalle acque si levava un putrido miasma. Draycott provò un piccolissimo brivido e improvvisamente quel silenzio gli fece paura, per cui si volse e ritornò sui suoi passi, verso casa.
Stranamente, a ogni passo, immaginava il gatto, ne vedeva gli occhi nelle spire nebbiose che si levavano dal terreno e gli pareva di udire i miagolii accusatori in lontananza.
— Brutta bestia maledetta — mormorò pesantemente, passandosi una mano sul mento non rasato. — Cattivo come la tua padrona. Divertente pensare che tutti e due sono adesso in fondo al lago. — Rimuginò a lungo quell’idea, assaporando la vendetta e finalmente giunse alla fattoria.
Quella notte dormì male e fu contento di potersi alzare quando giunsero le primissime luci della fredda mattinata. Si preparò una magra colazione, ma per ragioni che non riuscì a definire gli era impossibile scacciare dalla mente il ricordo di quella bestia.
L’animale era scomparso in fretta, in silenzio. Solo un piccolo ribollire di schiuma. Come era successo a sua moglie, scomparsi entrambi per sempre, impossibili da ritrovare. Nessun corpo... nessuna prova. Era stato astuto! Lei adesso si era ricongiunta al suo amato gatto, dall’altra sponda dell’eternità...
Draycott si ritrovò con la bocca aperta, a seguire le sue fantasie. Improvvisamente si rese conto di aver ripercorso strade di odio e di violenza ormai dimenticate e cercò di riscuotersi e di dedicarsi ai consueti lavori della campagna.
Quel mattino tutto pareva diverso. Tutti quelli che incontrava pareva sapessero dei suoi problemi e quando a sera ritornò a casa, su di lui era calato un umore cupo e malevolo. Era solo. I due aiutanti quel giorno erano via e Draycott si preparò in silenzio una cena solitaria.
Mentre mangiava lentamente alla luce della lampada a olio, Draycott posò gli occhi nel punto in cui sempre si metteva il gatto durante i pasti. Vedeva ancora con la mente quei grandi occhi accusatori, gli unici occhi che lo avessero visto mentre uccideva la moglie, per poi trascinarla nel cuore della notte verso il lago. L’animale lo aveva seguito da presso ed era stato l’unico silenzioso testimone del delitto. Pensò che probabilmente lo avrebbe affogato già allora, se non fosse stato per le minacce di morte della moglie.
Ehi, che fine avevano fatto? Ridacchiò biecamente. Il gatto era morto e ancora non gli era successo niente. Chiaro che le parole di lei non erano altro che il delirio di chi è alle soglie dell’eternità.
Be’, comunque non ci sarebbe stato niente di male a dare un’altra occhiata al lago per mettersi il cuore in pace. Non era completamente certo che laggiù tutto fosse a posto.
— Sto inseguendo un’idea folle — si disse grugnendo, ma si alzò e accese una lanterna antivento. — Sarebbe tempo che pensassi a me stesso, invece di comportarmi come un maledetto stupido.
Si infilò l’incerata, afferrò la lampada e uscì. Cadeva una pioggia leggera e i campi al di là della fattoria erano inzuppati e cedevoli. Si spinse avanti deciso, solo in un mondo freddo e acquoso. Le sue sensazioni si annullarono, la mascella era tesa, gli occhi scrutavano avanti deliberatamente puntati in direzione del lago.
Finalmente giunse al lago, appoggiò la lampada su di una roccia e fissò pensoso l’acqua immobile e puzzolente. Sospirò leggermente, perché non c’era niente di insolito e l’inconscia attesa di qualcosa di soprannaturale era andata delusa.
Dopo molto tempo decise di tornare indietro, soddisfatto, invece si fermò di colpo. La lampada antivento quasi gli cadde dalle mani per la paura e i suoi occhi sgranati fissarono il sentiero molle di pioggia, appena visibile ai suoi piedi: lì, ben definite, c’erano le impronte delle zampe di un animale, una bestia che aveva lasciato grandi impronte complete di artigli... e le tracce uscivano dal lago.
Draycott non seppe calcolare quanto tempo rimase immobile, sconvolto dall’inattesa visione che a lungo paralizzò il suo corpo e la sua anima, ma alla fine gli occhi abbandonarono la contemplazione delle orme e si fissarono di nuovo sul lago. Draycott sollevò tremante una mano verso il labbro inferiore.
— No, no, non può essere! — gridò raucamente. — Non è possibile che tu sia venuto fuori dal lago! Non potevi farlo!
Draycott rimase in silenzio e tremava tanto violentemente che per qualche istante dovette appoggiarsi a una roccia. Il silenzio terribile lo circondò e la sua mente terrorizzata e impazzita colorò il silenzio con incredibili fantasie. Quasi avrebbe giurato di aver sentito la voce della moglie, debole e lontane, che si alzava dall’abisso melmoso e lo accusava e lo derideva trionfante, ben sapendo che il suo amato gatto era acquattato nell’ombra pronto a scattare, a strappare le carni dell’uomo per vendicarsi delle cose terribili che lui aveva fatto.
Draycott si sentiva debole dalla paura, ma alla fine si sforzò ad avanzare barcollando lungo il sentiero, ma lo abbandonò immediatamente e le tracce del felino svanirono nell’erba bagnata e piegata dalla pioggia. Adesso il terrore lo aveva preso allo stomaco e l’uomo avanzò quasi di corsa, convinto che qualche spaventoso mostro lo stesse aspettando e alla fine sarebbe emerso dal lago per afferrarlo.
In quel momento, mentre correva, Draycott si rese conto di qualcos’altro. Non era l’eco dei suoi passi sul prato fangoso, ma un rumore risucchiante e deciso di qualcosa poco dietro alle sue spalle. Se l’uomo si fermava, il rumore si interrompeva e lo lasciava solo in un vuoto orrendo e terribile.
Draycott voltò il viso spaventato per guardare dietro di sé, ma non riuscì a vedere niente. Si mosse di nuovo, più lentamente, senza guardare dove andava e improvvisamente si ritrovò per terra, con la faccia nel fango e la lampada antivento frantumata al suo fianco.
— Chi... chi è là? — gridò rauco, cercando di risollevarsi in piedi. — Perché mi insegui? Chi sei?
Nessuno rispose, tranne un rospo che gracchiò ai suoi piedi facendo sobbalzare il suo cuore più forte che mai. L’uomo restò per un intero minuto a osservare la nebbia buia che lo penetrava fino all’osso, poi gli giunse alle orecchie un gemito basso e raggelante come il guaito di un cucciolo bastonato. In quell’attimo la sua mente ritornò ai lamenti disperati del gatto quando lo aveva spinto nel sacco.
— Tu! — gridò ormai senza voce. — Sei uscito dal lago... da morto! Adesso sei grosso il triplo di prima! Mi aspettavi nel buio...
Draycott si voltò dall’altra parte e prese a correre alla cieca attraverso l’abisso, mentre il cuore gli batteva fortemente nel petto fino a quando credette di sprofondare nell’eternità. Adesso i passi vellutati erano più rapidi, decisi a raggiungerlo, trascinando con loro qualcosa che l’uomo non riusciva a vedere, ma che la sua mente sconvolta riconosceva come l’abnorme incarnazione dell’innocuo animale che lui aveva affogato. La maledizione della moglie morta stava diventando realtà...
Quando raggiunse la sua abitazione, Draycott era in uno stato pietoso, ricoperto di fango, inzuppato di pioggia e di sudore, con le mani tremanti al punto da non riuscire ad aprire la porta. Si gettò contro il battente e cercò di trovare dei fiammiferi... tremava violentemente, mentre osservava la fiamma gialla che gettava un alone ambrato.
Adesso il silenzio si era addensato attorno alla fattoria... un silenzio gonfio e allusivo che aveva le stigmate di un disastro imminente. Draycott si accorse che si muoveva in punta di piedi, nel timore di disturbare il silenzio; mentre se la toglieva, l’incerata fece un rumore frusciante, inopportuno in quel momento.
Draycott si avvicinò al caminetto e cercò di smuovere le braci per riattizzarle, ma inutilmente e allora si gettò accanto alla grata nera, al buio e cercò di riprendersi.
La sua mente era in fiamme, mentre i ricordi della moglie e del gatto pulsavano alternativamente nel suo cervello. Il lago, le orme del gatto ingigantito, il guaito nella nebbia, i passi leggeri che lo avevano seguito da presso... nel suo cervello tutte queste cose erano ingigantite e gettavano un gelido paralizzante nelle sue giunture e nei tendini.
Si irrigidì improvvisamente. Ancora quel lamento! Lo sentì chiaramente nel silenzio là fuori, il gemito di una bestia sola e rabbiosa. Si alzò tremando e afferrò un fucile appeso alla parete, ma sapeva bene che sarebbe stato inutile contro la reincarnazione di un essere già morto.
A piccoli passi, Draycott si avvicinò alla finestra continuando a tremare e tirò da parte le tende sbiadite. Ciò che vide fu per lui uno shock sia fisico che mentale. Appena visibile alla luce oscillante della lampada a olio c’era il muso del gatto affogato, un muso incredibilmente grosso e feroce, il pelo incollato alla testa, come se fosse appena emerso dall’acqua senza fondo del lago.
Draycott fissò lo sguardo stupito sulle zanne orribili, prostrato per lo spavento nel vedere quei denti snudati in un ghigno di crudele vendetta.
E quegli occhi... dorati e cattivi che spiccavano in mezzo a quella testa di pelo sozzo. La luce li faceva apparire verdi e luminosi... Draycott cadde all’indietro, sconvolto dallo spavento, cercando di afferrarsi al tavolo.
Dopo qualche momento Draycott si riprese e barricò la porta con la pesante sbarra di legno, poi afferrò ancora tremante il fucile, ma da fuori si sentì grattare ferocemente alla porta, mentre si alzava un miagolio basso e ringhioso.
— Non puoi tornare! — gridò follemente Draycott. — Evelyn, moglie mia, se sei qui da qualche parte, richiama quel tuo maledetto gatto! Posso sopportare tutto, ma non questa mostruosa reincarnazione della creatura che ho distrutto! Ti prego... ti prego. Ascoltami! Avevi ragione quando dicevi che il tuo gatto ti avrebbe vendicata! Lo ammetto! Portatelo via!
Come risposta ai suoi lamenti, cadde nuovamente il silenzio. Là fuori non c’era alcun rumore. Poco per volta Draycott cominciò a riprendersi e poco per volta si convinse che la moglie morta da tempo lo avesse ascoltato e avesse richiamato l’orribile reincarnazione nel mistico inferno da cui era emersa.
Draycott si rilassò un poco e sollevò cautamente la pesante sbarra di legno che sprangava la porta... l’aprì molto lentamente. Ma in quel preciso istante qualcosa scaturì dall’oscurità, accompagnato da un penetrante grido. Un corpo immenso, con i terribili artigli snudati, si lanciò all’indietro e colpì Draycott esattamente al centro del petto, gettandolo all’indietro senza alcuna possibilità di difesa.
— Evelyn — gridò impazzito, lottando disperatamente. — Evelyn! Richiama il tuo gatto! Richiamalo...!
Le parole gli si gelarono in gola mentre le braccia gli si facevano rigide, senza la forza necessaria per difendersi dagli abissi che si spalancavano tra quelle zanne che si stavano chiudendo su di lui.
Il giorno dopo il Little Benton Times riportava un articolo breve ma significativo. Diceva: Il signor Revil Draycott, ben noto fattore di Little Benton, ha trovato la morte la notte scorsa in tragiche circostanze. Una tigre fuggita dal circo di Little Benton era stata inutilmente cercata per tutta la giornata di ieri, ma la nebbia aveva reso vana la caccia. Alla fine si sono scoperte le tracce della belva al lago di Gilpin e l’animale veniva successivamente trovato alla fattoria del signor Draycott. Sfortunatamente il signor Draycott è rimasto ucciso nel tentativo di difendersi dalla tigre, che era stata attratta dalla presenza del bestiame.
Adesso la tigre è tornata al circo e la morte del signor Draycott ha lasciato un gran vuoto in tutti coloro che lo hanno conosciuto.
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