venerdì 5 settembre 2025

Lewis Shiner: Il cerchio



Erano sei anni che si riunivano la sera di Halloween nel capanno di Walter, per leggere racconti di fantasmi. Alcune facce cambiavano d’ottobre in ottobre, ma Lesley non era mai mancata a quelle serate letterarie.
Quell’anno era venuta sola e, mentre parcheggiava la sua Datsun sul bordo della strada inghiaiata, non poteva impedirsi di pensare a Rob. L’ottobre precedente l’aveva portato con sé e quella notte avevano fatto l’amore per la prima volta. Ora erano quasi due mesi che non ne sapeva nulla e il pensiero di lui la faceva oscillare fra la pena e il senso di colpa.
Gli aghi di pino scricchiolavano sotto le sue scarpe, mentre scansava le gocce d’acqua che cadevano dai rami. L’aria era più fredda di quanto si fosse aspettata e penetrava facilmente attraverso la giacca leggera.
Salì gli scalini del portico e bussò alla porta. La moglie di Walter, Susan, venne ad aprire. — Entra, — disse. — Sei la prima.
— Fa freddo qua, — disse Lesley.
— Vero? Il tè è pronto. Siediti e te ne porterò una tazza.
Lesley si era appena sistemata accanto al caminetto che cominciarono ad arrivare gli altri, alla spicciolata. Alcuni avevano in mano un libro, altri un manoscritto, e la maggioranza portava vino o birra. Erano tutti scrittori, parecchi di professione, e ogni ottobre circa metà dei racconti erano scritti per l’occasione.
Lesley non se l’era sentita di dare il suo contributo quell’anno. In effetti, non si era sentita di fare praticamente nulla dopo la rottura col suo uomo. L’acredine di Rob l’aveva ferita nel profondo, e sperava molto che quella serata riuscisse a scrollarla dalla sua apatia.
Per questo, bisognava che tutto fosse come negli anni precedenti, quando i racconti erano terrificanti, le notti umide e tetre, ed essi finivano con l’essere così spaventati, a volte, che riprendevano la strada di casa soltanto alla luce del giorno.
Certo, allora erano più giovani. Adesso si stavano tutti avvicinando ai quaranta e sembravano avere più paura dei risultati elettorali e delle tasse che dei vampiri e dei licantropi.
Alle nove e mezza Walter si alzò e, secondo il cerimoniale, accese i candelabri sulla mensola del caminetto. Le altre luci vennero spente e Walter rimase immobile per un momento nella luce tremolante delle fiammelle. Aveva un po’ l’aria d’un contabile, con la giacca di maglia, i pantaloni ampi, gli occhiali dalla montatura di corno e i baffi spuntati con cura.
— Bene, — disse, schiarendosi la gola, — credo che ci siamo tutti. Prima di cominciare, però, c’è una cosa insolita di cui voglio parlarvi. La settimana scorsa ho ricevuto per posta questo plico. — Alzò una grossa busta in carta di Manila. — E di Rob Tranchin, dal Messico.
Lesley provò una fitta al cuore. — Cosa... — le scappò detto, — scrive che sta bene?
Sentì che tutti gli occhi si fissavano su di lei. Gli altri non avevano mai avuto simpatia per Rob, l’avevano accettato soltanto perché era il suo uomo. Mentre tutti loro nutrivano un profondo interesse per l’occulto, Rob non l’aveva mai preso sul serio e in diverse occasioni c’erano state liti piuttosto vivaci sull’argomento.
— Ehm, ecco, non so, — disse Walter. — C’era un biglietto, ma non diceva granché: solo che aveva scritto un racconto per noi e desiderava che qualcuno ne desse lettura durante il nostro, ehm, consesso di stasera. Non è molto lungo – gli ho dato una rapida occhiata – quindi, se nessuno ha niente in contrario, metterò nel mazzetto una carta anche per Rob, quando stabiliremo l’ordine degli interventi e, arrivato il suo turno, uno di noi leggerà il racconto.
Alle spalle di Lesley, Brian borbottò: — Speriamo che non sia un’altra delle sue sciocche tirate contro l’occulto, — ma non vi fu alcuna obiezione formale.
Walter prese un asso, un due, un tre, e così via, fino all’otto, da un mazzo di carte, le mescolò e ne fece scegliere una a ognuno dei presenti. Brian pescò l’asso e lesse Gioco pesante di Ray Bradbury. Seguì Walter, con un racconto nuovo che aveva appena venduto, anch’esso ispirato al soprannaturale, e il gelo parve insinuarsi nella stanza attraverso la finestra. Lesley aveva scelto un racconto di Beaumont, che diede i brividi perfino a lei.
Poi fu la volta di Susan, una donna dai lisci capelli biondi, e dalla pelle candida, che sembrava cerea come quella di una morta nella luce tremula delle candele. Tutti si mossero nervosamente quando finì e Lesley pensò con gioia che stava davvero accadendo di nuovo. Ce l’abbiamo fatta, si disse. Si erano così “montati” che avrebbero potuto credere a qualsiasi cosa.
— È il turno di Rob, — disse Walter con calma. — Qualcuno vuole fare gli onori?
Poiché nessuno parlò, Lesley disse: — Io.
Lo sto ancora sostenendo, pensò, prendendo la busta da Walter. Poi, senza volerlo, aggiunse: qualcuno deve pur farlo. Povero, infantile Rob, con i suoi capricci e i suoi sogni grandiosi. Per quanto tempo avrebbe continuato a tormentarli?
Tolse il racconto dalla busta. Era scritto a mano su una carta scabra, simile a pergamena. Lesley riconobbe quelle zampe di gallina, malgrado lo strano inchiostro d’un marrone rossastro. Diede un’occhiata all’orologio da polso, poi riportò lo sguardo sul manoscritto. — È intitolato Il Cerchio, — annunciò.
Cominciò a leggere.
— Erano sei anni che la sera di Halloween si riunivano nel capanno sul lago, per leggere racconti di fantasmi.
Lesley alzò gli occhi. Quell’esordio l’innervosiva e osservò lo stesso disagio sui volti un po’ in ombra degli altri.
— Qualche faccia variava d’ottobre in ottobre, ma il nucleo restava lo stesso. Avevano un mucchio di cose in comune: sperimentavano i loro giochetti l’uno sull’altro, andavano al cinema insieme, a volte si scambiavano i compagni di letto.
Lesley sentì il rossore partire dal collo. Avrebbe dovuto immaginare che Rob avrebbe architettato qualcosa del genere, per metterla in imbarazzo. Era stato così geloso dei pochi racconti che lei aveva venduto, e quando aveva tentato di dargli qualche consiglio era andato su tutte le furie. Quello era stato il loro primo litigio e Rob aveva continuato a tornarci sopra, ogni volta più amaro, finché aveva preso la strada del Messico.
Bene, sono io che leggo questo racconto, si disse, e se diventa troppo personale non ho che da smettere.
— Di concerto, — lesse, — avevano deciso che il soprannaturale era un tema adatto per i racconti di Halloween, e praticamente per nient’altro. Quindi, nella loro infinita insipienza (che essi consideravano saggezza), non erano preparati a ciò che avvenne quella sera del 31 ottobre.
— Qualche giorno prima, il capo della combriccola ricevette per posta un racconto. Era scritto da un uomo che aveva conosciuto, senza mai considerarlo veramente un amico. Dati i suoi pregiudizi, non riconobbe il potere insito nella carta e nell’inchiostro di cui quell’uomo si era servito. Quindi accettò la sfida di leggere il racconto a voce alta, la sera di Halloween.
— Si riunirono dunque nel capanno sul lago, si spaventarono l’un l’altro con le prime narrazioni, poi cominciarono a leggere lo scritto dell’uomo che non era più con loro. Appena questa lettura cominciò, una bruma pesante si raccolse intorno al capanno.
— Era come una nebbia, ma così spessa che potevi quasi toccarla, schiacciarla tra il pollice e l’indice. Portava l’odore salmastro d’un oceano che non c’era e, dovunque si posava, il mondo cessava di esistere.
Lesley si sentiva la bocca secca. Fu mentre si piegava in avanti per prendere la sua tazza di tè che lanciò un’occhiata verso la finestra.
— Oh, mio Dio... — bisbigliò.
Dietro il vetro c’era una massa compatta di bianco.
Tutti fissavano la nebbia. Guy e la sua nuova ragazza, Dana, prima seduti sotto la finestra, si erano spostati al centro della stanza. — Ma cos’è quella roba? — chiese Dana. Nella sua voce c’era un tremito che agghiacciò Lesley.
— La chiamano nebbia, — disse Brian in tono beffardo. — Non l’avevi mai vista? — Si avviò verso la porta. — Guarda, te la mostro.
— Non... — cominciò Lesley, ma la gola le si chiuse prima che potesse finire la frase.
Le labbra umide e i capelli untuosi di Brian brillavano alla luce delle candele. — Cosa vi succede? Perché siete così spaventati?
Spalancò la porta.
La nebbia era come una parete d’ovatta. Il limite, dove c’era stata la porta, sembrava tagliato col rasoio, tanto era liscio. Nemmeno un filo tentava d’insinuarsi oltre la soglia.
— Visto? — disse Brian, affondandovi un braccio. — Nebbia. — Lesley vide il suo naso arricciarsi, poi lo sentì anche lei: un odore salmastro d’oceano in bassa marea, simile a quello d’un pesce morto.
— Cribbio, — disse Brian. Fece un passo oltre la soglia, perse l’equilibrio e si sorresse afferrandosi agli stipiti. — Cosa diavolo...?
Arretrò, poi si stese sul pavimento e allungò un braccio nella nebbia. — Non c’è niente qui, — annunciò.
— Non mi piace questa faccenda, — disse Lesley, ma nessuno la stava ascoltando.
— Niente portico, — continuò Brian, niente terreno solido. Niente.
Con movimenti quasi impercettibili, tutti cominciarono a spostarsi più vicini al caminetto.
— Chiudi la porta, — disse Walter con calma, e Brian ubbidì. — Lesley, qual è la frase successiva del racconto?
— Con la nebbia venne il suono del vento. Urlava, ululava, ma l’aria era immobile e la nebbia posava fitta e greve sul capanno.
Ed ecco il suono.
Cominciò come un fischio basso, per poi gemere e gridare in crescendo. Sembrava più che un vento un coro di voci umane, spaventate e torturate fino alla follia.
— Basta! — urlò Susan. — Basta! Per piacere, fatelo smettere! — Walter l’abbracciò, stringendo il suo capo contro il proprio petto. La donna cominciò a singhiozzare piano.
Ora formavano un cerchio (e Il Cerchio era il titolo del racconto), seduti sul pavimento davanti al caminetto con le ginocchia che quasi si toccavano, ognuno cercando sui volti degli altri un segno di comprensione.
— Cos’è questo suono? — chiese Dana. Urlava, quasi, per farsi sentire. — Da dove viene?
Lesley e Walter si scambiarono un’occhiata, poi lo sguardo di Lesley si fissò sul pavimento.
— È quel racconto non è vero? — continuò Dana, la voce così acuta che cominciava a incrinarsi. — Non è vero?
— Non può essere altrimenti, — rispose Walter. Parlava così piano che lo si udì a stento sopra l’ululare del vento. — Rob deve aver trovato qualcosa in Messico. Un modo di vendicarsi di noi.
— Tutto questo non sta succedendo, — disse Brian. — No. Non è possibile.
— Sta succedendo, Brian, — disse Walter, alzando la voce. — Fingere che non sia reale non serve a niente. — Susan gemette e Walter la strinse più forte. — Sentite, tutti abbiamo letto storie come questa. Alcuni di noi ne hanno anche scritte. Ricordate come c’irritavamo quando i personaggi si rifiutavano di accettare la realtà? Quanto ci metteremo noi ad ammettere quello che sta succedendo qui?
— D’accordo, — disse Brian. — È reale. Cosa facciamo, allora?
Lesley osservò: — La carta e l’inchiostro. Rob diceva che sono speciali. All’inizio del racconto.
— Perché non ci limitiamo a bruciarlo? — disse Brian.
— Avremmo dovuto farlo per prima cosa. — Come in risposta, il boato del vento divenne assordante.
— No, — fece Walter. Aspettò che il frastuono diminuisse e aggiunse: — Ponete che lo bruciamo e restiamo intrappolati in questa situazione, cosa potremmo fare dopo? Se solo sapessimo come finisce.
— Questo è abbastanza facile, — disse Brian, e prese i fogli dalle dita irrequiete di Lesley.
— No! — gridò Walter, piegandosi di scatto in avanti, ma Brian aveva già aperto il manoscritto all’ultima pagina.
— Moriamo tutti, — disse, restituendo il racconto a Lesley.
— Lo stile è mediocre, ma piuttosto terrificante. — Il suo tono leggero mancò del tutto lo scopo. L’urlo del vento era così forte da far pensare a Lesley che avrebbe schiantato il capanno.
— Qualcuno ha qualche idea? — domandò Walter.
— Io dico di bruciarlo, — ripeté Brian. — Cosa potrebbe succedere?
— Riscriviamolo, — disse Lesley.
— Cosa? — chiese Walter. Lesley si rese conto che il fracasso aveva inghiottito le sue parole.
— Riscriviamo il racconto! — gridò. — Cambiando il finale!
— Questo mi piace, — disse Walter. — Guy?
Questi si strinse nelle spalle. — Vale la pena di tentare. Qualcuno ha una penna?
— No, — disse Lesley. — Non credo che servirebbe.
— Perché?
— Credo, — disse, — che sia scritto col sangue.
Sapeva che toccava a lei. L’idea era sua, sua la responsabilità. Prima che qualcuno degli altri potesse fermarla, prese dalla borsetta una spilla di sicurezza e se la ficcò nell’indice della mano sinistra.
Girò la punta nella goccia di sangue, tentando poi di tracciare una X attraverso la parte inferiore della pagina che aveva cominciato a leggere. Non vi riuscì. Allora usò semplicemente il dito, ripetendo l’operazione sulle ultime due pagine.
— Ora, — disse, — cosa devo scrivere?
Tutti si guardarono, mentre quel vento fantasma sbraitava contro di loro.
— Che ne dite di: «Tutto tornò alla normalità»? — propose Guy.
— Cos’è la normalità? — chiese Brian.
— Non ha torto, — ammise Walter. — Forse dobbiamo essere un poco più specifici.
— Non troppo specifici, — disse Lesley. — Ho una provvista limitata di sangue.
Nessuno rise.
— Okay, — fece Walter. — Qualcuno sa che ore erano quando Lesley ha cominciato a leggere?
— Io ho guardato l’orologio, — rispose Lesley. — Erano le undici e diciotto.
— Bene. Che ve ne pare di: «Tutto tornò com’era alle ventitré e diciotto di quella sera»?
Cenni di approvazione tutt’intorno. — Vai così, Lesley, — disse Guy.
Questa volta Lesley doveva usare la spilla. Fu un lavoro lento, ma alla fine riuscì a scarabocchiare quelle parole in fondo alla pagina.
Il vento continuò a urlare.
— Leggilo a voce alta, — disse Walter.
Le mani di Lesley tremavano. Via, si disse, non hai poi perso tanto sangue. Ma sapeva che non era per questo. Se, dopo aver pronunciato quelle parole, non fosse successo nulla? Non poteva sopportare quell’orribile, pauroso ululato ancora per molto.
Dal fondo della mente un pensiero sinistro cominciò a tormentarla. Quali erano le cose agghiaccianti che, secondo il racconto, dovevano accadere alle persone riunite in quel capanno?
Fa’ che funzioni, pregò. Fa’ che ogni cosa torni com’era... esattamente com’era prima che iniziasse quest’incubo.
— Tutto, — lesse, con una voce tremante che superava a stento il ruggito del vento, — tornò ad essere com’era stato alle ventitré e diciotto di quella sera.
Cadde il silenzio.
La notte era chiara e fredda, l’acqua gocciolava dagli alberi sullo strato d’aghi di pino che ricopriva il terreno.
Lesley diede un’occhiata all’orologio da polso. Erano le undici e diciotto.
— È intitolato Il Cerchio — annunciò.
E cominciò a leggere.


 

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