Quando Roger Halsted presentò il proprio ospite quale personale consulente finanziario, i soci del Club dei Vedovi Neri, riuniti per la loro cena mensile, reagirono con uno stupefatto silenzio.
Halsted fece finta di nulla, e pilotò l'ospite nel giro di strette di mano.
"Come ho detto, questi è W. Bradford Hume, amici... Brad, ti presento Emmanuel Rubin, autore di libri gialli: ecco Mario Gonzalo, che non vede l'ora di farti il ritratto. James Drake, il quale sta tossendo sull'eterna sigaretta ed era un chimico prima di andare in pensione; questi è Geoffrey Avalon, avvocato abilitato, anche se non ho mai capito cosa facciano gli esponenti della sua categoria; e infine Thomas Trumbull, che lavora in una riservatissima sezione ministeriale... E questi è Henry, il nostro cameriere, anch'egli socio del club, il quale ti ha or ora portato il tuo aperitivo."
Hume accolse le singole presentazioni, sorridendo e con buona grazia. Prese il martini, con un cordiale cenno del capo a Henry, e intanto il gruppo dei Vedovi Neri era andato riprendendosi dall'iniziale stupore.
Rubin, occhi spalancati dietro gli spessi occhiali, non mancò comunque di chiedere: "Roger, ho sentito bene? Il signore è il tuo consulente finanziario?".
"Esattamente quello che ho detto" rispose Halsted, altezzosamente.
"Ti hanno dato un aumento di stipendio? Te l'hanno quintuplicato?"
Halsted replicò: "Non c'è bisogno, Manny, di farmi passare per un mendicante, solo perché insegno matematica alle medie. Ho la mia anzianità di servizio, sono di ruolo, con uno stipendio ragionevole. Né lauto né spropositato, ma ragionevole. Inoltre, anche Alice lavora e guadagna più di me, e dispongo di una piccola rendita lasciatami da mia madre, che Dio l'abbia in gloria - e così Brad amministra per mio conto qualche dollaro, e ottimamente, direi!".
Hume sorrise compiaciuto: "Non temano, signori, che io mi metta a suonare la grancassa per conquistare eventuali clienti. So benissimo che questa è una serata puramente conviviale".
"Puramente!" brontolò Trumbull.
Avalon si schiarì la gola: "Dovrei supporre, Mr. Hume, che esercitare la professione di consulente finanziario di questi tempi instabili renda la vita non poco stressante".
"Così è, Mr. Avalon, ma l'instabilità è sempre esistita, il che rende particolarmente difficile il compito di un consulente finanziario, dal quale ci si aspetta la premonizione del futuro... del futuro immediato, quanto meno."
"Quali azioni salgono? Quali ribassano?" mormorò Gonzalo. Il pittore stava già lavorando alla caricatura di Hume, partendo dall'abbondante chioma nera sotto cui disegnare una faccia quasi da cherubino.
"Quello senz'altro," riconobbe Hume "ma anche qualcosa di più. Si deve essere in grado di giudicare ciò che sarà redditizio come investimento a lungo termine, di prevedere e anticipare fluttuazioni delle tasse..."
Halsted lo interruppe, ponendogli una mano sul braccio. "Non parlarne, per adesso, Brad. Ti metteranno sotto torchio dopo la cena, e fino allora hai il diritto di rilassarti."
"Pienamente d'accordo" disse Hume. "Cosa ci riserva il menu stasera? O non dovrei chiederlo?"
"Perché non dovresti chiederlo? Henry, che abbiamo?"
Il viso liscio - a dispetto dei suoi sessant'anni - del cameriere si increspò leggermente. "Stasera avremo salmone alla griglia, Mr. Halsted, e credo che lo troverà speciale. La salsa d'aragosta è una ricetta segreta del nostro chef."
"E ci ha scelti come cavie, lui, eh?" bofonchiò rocamente Drake.
"Non ne resterà deluso, dottor Drake. Sarà preceduta da una zuppa di pesce alla portoghese, che forse lei troverà un tantino speziata."
"A me non disturberà affatto" assicurò Avalon, abbassando le folte sopracciglia che conferivano al suo viso un piacevole aspetto satanico.
Come poi risultò, Henry aveva perfettamente ragione. Dalla zuppa di pesce iniziale al dolce di cioccolato al rum, echeggiarono suoni di approvazione. Anche l'ostinata dichiarazione di Rubin, che l'"attuale smania del futuribile" fosse vuota di contenuti, non sollevò molta clamorosa opposizione.
"Non resta che retrocedere nel passato," asserì Rubin "e leggere le predizioni sul presente come propinateci dai ciarlatani di mezzo secolo fa. Troverete che essi vedevano un milione di cose che non sono successe, e non vedevano quasi nulla di ciò che in realtà successe."
Hume non perse sillaba della discussione che ne seguì, ma rimase muto.
Gonzalo disse con una evidente luce maliziosa negli occhi: "Il tuo buon amico, Asimov, è un anticipatore del futuro, eh?".
"Lui?" scattò Rubin, ogni pelo della rada barbetta pervaso da elettricità. "Lui descrive il futuro in quella che chiama fantascienza, ma le uniche previsioni che azzecca sono quelle clamorosamente ovvie per chicchessia. E non lo definirei mio amico. Gli do una mano di quando in quando nell'intreccio di un racconto, quando lui si è arenato."
Halsted si accarezzò lo stomaco con un sorriso soddisfatto, e fece tintinnare il bicchiere col cucchiaio che aveva in mano. "Signori, è il momento che Brad paghi lo scotto per questa cena squisita, affrontando l'interrogatorio. Manny, visto che hai un concetto tanto scarso del futuribile, vuoi fare da inquisitore? Ti pregherei soltanto di mantenerti a un elementare livello di cortesia verso chi è nostro gradito ospite."
Rubin grugnì. "Quando avrò bisogno di lezioni di comportamento, te lo farò sapere, Roger... Mr. Hume, in qual modo lei giustifica la sua esistenza?"
"Se si aspetta che io dica" rispose Hume "che la giustifico in quanto rendo ricco il prossimo attraverso abili investimenti, resterà deluso. La giustificazione deriva dalla mia capacità di conferenziere post-prandiale."
"Guarda, guarda! Quindi, lei si considera un bravo oratore?"
"Infatti. È da quindici anni che mi ci dedico, e ormai ho raggiunto un onorario standard di 7.500 dollari per un'ora di chiacchierata. Penso che dia la misura adeguata delle mie capacità."
Rubin si raschiò la gola, non trovando lo spunto per un'immediata risposta. Quindi domandò: "Perché si dedica a tale attività extra?".
Hume alzò le spalle. "Viaggiare non mi attrae in modo particolare. Voglio poter scegliere e selezionare... rifiutare di tenere una conferenza che mi risulti scomoda, indipendentemente dall'onorario. Riesco a, farlo in via ottimale se ho alle spalle un regolare lavoro che mi assicuri tranquillità finanziaria. Ecco perché non ho un agente. Gli impresari, chiamiamoli così, ti tengono sotto pressione... e si prendono il trenta per cento."
"Se non ha un agente," insisté Rubin "come si procura gli "ingaggi" quale conferenziere?"
"La voce corre. Se hai loquela facile e suadente, il mondo viene a bussare alla tua porta."
"Qual è la sua specializzazione?"
"Il futuribile, Mr. Rubin, cui lei non presta molto credito. Contrariamente ai suoi commenti sull'argomento, pare che oggi tutti si interessino a ciò che il futuro ci riserba. Qual è il futuro della cultura? Dei robot? Dei rapporti internazionali? Dell'esplorazione dello spazio? Di tutto un po', scelga lei, l'interesse è generale."
"E lei parla di tutto questo?"
"Sì."
"Quanti differenti tipi di allocuzioni si è preparati, lei?"
"Nemmeno uno. Se dovessi prepararli, dovrei trascurare il mio lavoro di mediatore in Borsa, e non posso permettermelo. Parlo a braccio, e non ho bisogno di preparazione. Citi l'argomento che le interessa, e io mi alzo, e ne parlo per un'ora. Però mi deve pagare l'onorario."
Intervenne Halsted: "Guardate che l'ho sentito parlare. È in gamba!".
Gonzalo domandò: "Ha avuto qualche esperienza strana nella sua carriera oratoria, Mr. Hume?".
"Strana?" Hume soppesò il termine, addossandosi allo schienale della sedia, con l'aria di chi si senta del tutto a suo agio. "Ho avuto qualche preambolo introduttivo da parte del solito esponente del comitato organizzatore, preambolo che non pensavo affatto divertente, anche se magari l'uditorio ci rideva. Una volta... Una volta uno mi scrisse contestando il mio onorario, dicendomi che era quattro volte la tariffa che avessero mai pagato a chicchessia. Risposi: "Io sono quattro volte più bravo di chicchessia - come minimo". Nel presentarmi, il tizio lesse quella corrispondenza, e l'uditorio - un convegno di ingegneri professionisti - di colpo si rese conto che stava per essere messo a bagno maria, quattro volte rispetto al normale, da un presuntuoso pallonaro. Quando mi alzai, sentivo il gelo dell'atmosfera, e mi ci volle mezz'ora e mezza conferenza per conquistare i miei ascoltatori.
"Un'altra volta, una donna mi presentò in un modo quanto mai pedestre, cui ho fatto il callo. Seguì un tiepido appluaso, e io mi alzai, allo scopo di iniziare subito dopo che l'applauso avesse raggiunto l'apice, e di esordire con l'uditorio già in autoipnosi in mio favore. Ma la presentatrice - possa un giorno trovare un posto particolare all'inferno - cominciò a gridare a certi ritardatari che c'erano sedie libere sul lato della sala. E andò avanti finché l'applauso morì, e io dovetti rivolgermi a un pubblico ormai inerte, che non riuscii a rianimare del tutto.
"Poi c'è il presentatore umorista. Me ne capitò uno che parlò ben quindici minuti su vita, morte e miracoli del sottoscritto. Quindici minuti che cronometrai sul mio orologio. Ed era spassoso, realmente spassoso. Faceva sganasciare il pubblico, e non esigeva manco un penny, lui. Subentrandogli, mi resi conto che gli ascoltatori mi avrebbero considerato molto meno divertente - e a una tariffa esorbitante. Mentre andavo chiedendomi se non fosse il caso di rinunciare all'onorario e andarmene, il mio presentatore concluse dicendo: "Ma non voglio darvi l'impressione che Mr. Hume possa fare qualsiasi cosa. Mi risulta, guarda caso, che non ha mai cantato nel ruolo del Duca nel Rigoletto" e si mise a sedere tra un uragano di risate.
"Non sapeva, il brillante presentatore, che mi aveva servito l'uditorio su un piatto d'argento. Mi alzai, attesi che l'applauso di prammatica morisse del tutto, e, nel silenzio di tomba, attaccai, con la mia miglior voce da tenore: "Bella figlia dell'amore...", le prime note quale contributo del Duca al famoso Quartetto, e l'uditorio fu scosso dall'ilarità più scatenata che si possa immaginare. E lo ebbi in pugno.
"Mi è capitato di tenere una conferenza dodici ore prima che mi venisse un attacco cardiaco, e poi una successiva, dodici ore dopo l'attacco. Per fortuna, al momento, non m'ero reso conto che c'entravano capricci cardiaci. La seconda conferenza era davanti a un consesso di cardiologi, e nessuno di loro..."
Gonzalo interruppe: "Si fermi un momento. Si fermi!".
Hume si bloccò quasi di colpo, con aria sorpresa. "Prego?"
Gonzalo disse: "Le credo quando afferma di poter parlare per un'ora di seguito, estemporaneamente, senza preavviso. Lei però non ha capito la mia domanda".
"Mi scusi, ma non mi aveva chiesto se avessi avuto qualche esperienza strana?"
"Sì, ma non intendevo strana nel senso di divertente, umoristica. Mi riferivo a strambo, nel senso di... strano o enigmatico."
Hume si stropicciò il naso: "Non potrebbe spiegarsi meglio, Mr. Gonzalo?".
"Ecco, intendevo un qualche cosa che lei non potesse spiegare. Un puzzle. Un giallo."
Avalon percosse col palmo della mano il piano del tavolo. "Mario, propongo la tua espulsione da socio del club!"
"Non puoi!" replicò Gonzalo, irosamente. "Non vi sono restrizioni alle domande che poniamo."
"Tranne i canoni del buon gusto, in nome di Dio!"
"Cosa c'è di cattivo gusto nel chiedere un giallo? A me, i misteri piacciono. Se Mr. Hume non ne ha manco mezzo, cosa gli costa dirlo?" E Gonzalo si rivolse all'ospite, accigliandosi, e disse con voce consapevole dei propri diritti: "Allora, le è mai accaduto di trovarsi davanti a un qualche mistero, in relazione alla sua attività di conferenziere?". Poi si spazzolò con la mano le maniche della giacca di velluto rosso, quasi a togliere di mezzo ogni banale osservazione alla domanda.
Hume si era messo a sorridere, compiaciuto. "Ebbene, sì! In effetti, mi è successo. Strano che me l'abbia chiesto. Fu anni fa, naturalmente, ma un vero mistero. Non avemmo la minima idea di dove il tizio fosse finito. Volete che lo racconti?"
Gonzalo si alzò dalla sedia: "Io, senz'altro, ma sarò lieto di metterlo ai voti. C'è qualcuno tra i presenti che non desideri ascoltarlo?".
Nessuno aprì bocca, e quindi fu Avalon a rispondere per tutti: "D'accordo, Mario, ascoltiamo quanto Mr. Hume ha da dirci".
Gonzalo annuì con un enfatico cenno della testa. "Benissimo, allora. Mr. Hume, a lei la parola."
L'ospite disse pianamente: "Con piacere. Ma sarò interrotto a metà strada, oppure mi è concesso di andare a ruota libera?".
Di nuovo Avalon: "Stia tranquillo, Mr. Hume. Potrà parlare liberamente. Roger, quale anfitrione, avrà il controllo assoluto della conversazione, e, quando dirà "Parlate", noi parleremo, e quando dirà "Vietate le interruzioni", noi ammutoliremo. Vero, Roger?"
"Vero" confermò Halsted.
"Allora, comincio," disse Hume "e me ne assumo le conseguenze."
"La storia comincia" disse Hume "qualche anno fa, quando fui invitato a tenere una conferenza a Seattle. Naturalmente, sarei dovuto andarci in aereo, e volare non mi entusiasma. Mai mi ci avventuro volontariamente, certo non in gennaio. Inoltre, l'onorario offertomi era molto inferiore a quello che mi sarei aspettato. Così, per farla breve, dissi di no.
"E fu un bene che dicessi di no, perché, combinazione, il Nordovest era sommerso da una nebbia ostinata proprio il giorno in cui sarei arrivato. Anche presumendo un atterraggio indenne, pochissimi aerei sarebbero decollati da Seattle per almeno una settimana, e io sarei rimasto intrappolato laggiù. Cosa che mi avrebbe disturbato non poco, in quanto avevo da fare in sede, e anche il mio datore di lavoro non avrebbe visto di buon occhio un mio ritardo. La ditta non ha nulla in contrario che io faccia conferenze, visto che, in generale, ogni tanto le faccio un po' di pubblicità, e ritiene utile essere al corrente del futuribile. Comunque, una mia assenza di una settimana sarebbe stata un po' troppo.
"Tutto questo è, però, irrilevante. La cosa importante è che il signore all'altro capo del telefono non si arrese al mio no. Lui e i suoi associati, valendosi dei miracoli della moderna telecomunicazione, tornarono a contattarmi, col suggerimento che io rimanessi a New York e mi sottoponessi a una intervista televisiva di una ventina di minuti. L'intervista sarebbe stata registrata e poi messa in onda a Seattle per una audience presumibilmente ansiosa.
"L'onorario era sempre inferiore ai miei desideri, ma ero lusingato dalla loro insistenza. Tanto più che non sarei stato costretto a viaggiare. L'intervista avrebbe avuto luogo in un sito in centro città, a pochi passi dal mio appartamento, sempre che il tempo mi avesse consentito di andarci a piedi, conclusione per nulla scontata, essendo pieno inverno. Comunque, accettai.
"Il signore che mi invitava - non ne ricordo il nome, ma non ha importanza, quindi lo chiamerò Smith - intuì un residuo in me di scarso entusiasmo, e cercò di tranquillizzarmi: tutto sarebbe stato per me quanto più semplice possibile. Sarebbe venuto a prelevarmi in taxi alle 9 e 20 del mattino, per portarmi a destinazione per le nove e trenta. Il cameraman, incaricato delle riprese, si sarebbe trovato sul posto poco dopo le nove, e avrebbe organizzato e approntato tutto, per essere a mia disposizione non appena fossi arrivato.
"Per me, quello era un punto importante. Non era la prima volta che mi intervistavano alla televisione - con le telecamere piazzate, per esempio, in una stanza d'albergo - e posso dirvi che non c'è sistema più facile per essere condotti alla pazzia. La televisione esiste da quarant'anni, e i cameramen non hanno ancora trovato un sistema per disporre le luci in modo che il soggetto sia ben illuminato, senza ombre deflettenti.
Inoltre, tutti quanti i cameramen si considerano artisti, e, evidentemente, vige una sorta di legge che spinge gli artisti a non essere mai soddisfatti. Ogni regolazione qui mette fuori campo qualche cosa là. A loro occorrono ore per raggiungere un punto di quasi-soddisfazione, e poi, quando sei seduto e speri che sia finita e le riprese inizino, loro si accorgono, solo allora, che porti gli occhiali, e che detti occhiali scoccano un indesiderabile riflesso - e tutta la logorante fatica comincia da capo.
"Dissi: "È sicuro che il cameraman sia pronto, e che io non debba far altro che mettermi seduto?".
""Sicurissimo" rispose lui, il che tacitò i miei dubbi. Quasi.
"Venne il giorno. Smith arrivò a prelevarmi in taxi, puntuale, e partimmo. In tre minuti raggiungemmo il posto stabilito, e, mentre salivamo, Smith mi garantì: "Sarà pronto per noi al cento per cento!".
"Cercai di non esternare il mio cinismo. È mia convinzione che i cameramen non siano pronti per alcuna cosa, in alcun momento, per alcuno. "Bene" dissi.
"Salimmo dunque a uno dei piani superiori ed entrammo nell'ufficio qualche secondo dopo le nove e mezzo di quel mattino. Eravamo negli uffici di una grossissima azienda, di cui era socio importante un vecchio compagno d'arme di Smith. Poiché anche di costui non ricordo il nome, chiamiamolo Jones. La ditta ci aveva concesso l'uso di una sala conferenze.
"Smith disse giovialmente alla receptionist: "Salve, sono Smith e questi è Mr. Hume. Siamo qui per la registrazione in TV. Ritengo che il cameraman sia arrivato e abbia sistemato tutto".
"La ragazza rispose, con alquanta indifferenza: "Non ho visto alcun cameraman, signore".
""Cosa? Nessun cameraman?"
""No, signore."
"Smith si accigliò, ma decise di essere invincibilmente ottimista: "Non può essere" obbiettò. "Sta aspettando noi."
"Ma nessuno ci stava aspettando. Entrammo nella sala conferenze, che era nuda e vuota come un palcoscenico scespiriano.
""Lui dov'è?" chiesi.
""Non lo so" rispose Smith.
"Venne giù l'amico di Smith, Jones, che mi strinse la mano, e domandò a Smith: "Dov'è il cameraman?". ""Non lo so" ripeté Smith.
"Io dissi: "Meglio chiamare il suo ufficio".
"Smith disse: "L'emittente è a Indianapolis".
"Al che replicai, alquanto sconcertato: "Ma non c'erano altri cameramen a New York? Perché farne venire uno da Indianapolis?".
"Smith si strinse nelle spalle: "È una stazione televisiva con cui lavoriamo sempre".
"Jones indicò un telefono in un angolo. Disse a Smith: "Premi qualsiasi pulsante della fila in basso, che non sia acceso, poi schiaccia l'8 e aspetta il segnale di linea, schiaccia l'l, forma il prefisso e il numero che ti serve".
"Attesi pazientemente. È sorprendente. Di solito, se c'è una cosa che mi esaspera, è dover aspettare. Ogni altro contrattempo mi lascia imperturbato, mi lascia serafico. Tutti sanno che carattere accomodante è il mio. Ma se qualcuno ritarda di qualche secondo a un appuntamento ben concordato, ecco che comincio a incupirmi. Se il ritardo supera i cinque minuti, mi esce il fumo dalle orecchie. Ma il tempo passava, ed era ormai quasi il momento in cui avevo calcolato di aver concluso l'intervista, e del cameraman non c'era ombra, e io non mi sentivo per nulla innervosito. C'era un mistero in quella non-presenza, e ne ero incuriosito non poco.
"Reduce dal telefono, Smith riferì: "È partito ieri, e il suo direttore afferma che aveva l'indirizzo esatto e che tutto era come doveva essere. Per di più, mi ha garantito, il direttore, che il cameraman assegnatoci è soprannominato `Vecchio Affidabile'. Uno che ha lavorato in tutto il mondo e non ha mai sforato un appuntamento".
""Questo lo ha sforato" feci io. "Se è partito ieri, oggi dove dovrebbe essere?"
""In un albergo" rispose Smith. "Ci avrà pernottato!"
""Siamo sicuri che ci sia mai arrivato?"
"Nuova telefonata, dopo di che Smith annunciò: "Si è registrato ieri sera".
""Bene, allora" interloquì Jones. "Ha preso un taxi, e l'autista lo ha subito inquadrato come un 'provinciale' e lo ha portato qui facendo il giro da Yonkers. I tassisti sono noti per fare cose del genere."
""È impossibile" ribatté Smith con acuita irritazione. "Il cameraman ha preso alloggio al New York Hilton. Non è qui, nelle immediate vicinanze?"
""Il New York Hilton?" si stupì Jones. "Sì. Sul marciapiede di fronte. Non c'è che attraversare la 54a Strada."
""Già. Quindi, aveva forse bisogno di prendere un taxi?"
""Penso di no. L'albergo è al numero 1335 della Sesta, e noi siamo al 1345 sempre della Sesta. Neanche il più fesso dei fessi avrebbe preso un taxi per percorrere dieci numeri civici della stessa strada, e questo tizio ha viaggiato in tutto il mondo ed è chiamato il 'Vecchio Affidabile'?"
"Sentii il cinismo salirmi sino alle narici, e riassunsi: "Quindi il `Vecchio Affidabile' è qui nella metropoli. È andato a far quattro passi, ieri sera, ha fatto un fischio e si è rimorchiato in camera una compiacente ragazza, e adesso dorme concedendosi il riposo del guerriero".
"Smith assunse un'aria indignata: "La prego! Il suo direttore dice che l'uomo ha quarantotto anni. Non è un giovane stallone".
""Ma non è neanche sulla via del disarmo" commentai. "Io sono più anziano di lui, e potrei facilmente cadere in tentazione. Voglio dire, me ne astengo, ma potrei, se lo volessi."
""Be', lui non è il tipo di farlo, avendo un appuntamento da rispettare il mattino dopo. È un professionista!"
""D'accordo" ammisi. "Lei, quindi, mi costringe a chiedermi se non gli sia venuto un attacco cardiaco nel cuore della notte; se, in questo preciso momento, non stia su quel letto d'albergo, morente, o forse già morto."
"Smith e Jones si scambiarono un'occhiata, entrambi a disagio. Smith domandò all'amico, con voce incerta: "Pensi che dovremmo chiamare la polizia?".
""Non prima" rispose l'altro "che quelli dell'albergo vadano a vedere nella stanza che lui occupava.
"E fu Jones, questa volta, ad andare al telefono. Parlò concitato, poi riappese il ricevitore. Per un po' restammo tutti e tre in silenzio, preoccupati.
"Poi Smith disse: "E se lui fosse venuto qui in questo palazzo, e non lo avessero lasciato entrare? Immagino che qui le misure di sicurezza siano rigide. Magari lui, in questo momento, è giù nell'atrio come un'anima persa".
""La sorveglianza è rigida, certo" disse Jones. "Ma ieri sera gli è stato dato un pass. Non dovrebbe aver avuto alcuna difficoltà a salire."
""Forse il tesserino lasciapassare non gli è mai finito in mano" puntualizzai io, l'eterno pessimista "e lui non si è nemmeno presentato giù in portineria."
""Manderò qualcuno a controllare giù nell'atrio" disse Jones.
"Intanto il telefono aveva preso a squillare. Jones corse a rispondere, parlò brevemente, e tornò a noi per precisarci: "Il poliziotto dell'albergo è entrato nella stanza. Il bagaglio c'è, ma lui no. Come non c'è alcuna telecamera o altra attrezzatura per le riprese. Quindi, l'uomo è uscito con i suoi ferri del mestiere".
""E dov'è, allora?" chiesi.
"Nessuna risposta, naturalmente. Jones rifletté un attimo, poi disse: "Immagino che abbiano guardato anche in bagno".
"Smith alzò le spalle: "C'è da supporre che un poliziotto d'albergo conosca il proprio mestiere".
"Era ormai quasi un'ora che ero lì, e dall'atrio fu comunicato che non c'era segno alcuno di un cameraman che si aggirasse nell'atrio. Ovviamente, se avesse avuto dietro l'attrezzatura per le riprese, lo avrebbero senz'altro notato. Tutto sommato, il sorvegliante del piano terra non aveva visto entrare, con o senza pass, alcuno con simile attrezzatura.".
"Domandai: "Hanno controllato se ha firmato per ottenere l'accesso?".
"Jones scosse la testa: "Se aveva il pass, non occorreva che firmasse. Lo avrebbero lasciato entrare, automaticamente".
"Nuova ipotesi di Smith. "E se fosse uscito dall'ascensore al piano sbagliato? Adesso sarebbe in giro per i corridoi a cercare una sala conferenze che a quel piano non esiste."
"Jones sbirciò l'orologio che aveva al polso. "Doveva essere qui un'ora e mezzo fa. Come potrebbe gironzolare da un'ora e mezzo su un piano che non sia il nostro? Non c'è pianerottolo in questo palazzo che non sia presidiato dai sorveglianti. Mai lo avrebbero lasciato girare a vuoto, esplorando le maniglie delle porte! E poi, lui avrebbe chiesto. Sapeva il nome della ditta. Dirò di più: sapeva anche il piano giusto."
"Seguì un altro silenzio pesante, che tutti e tre affrontammo consultando a turno l'orologio. Alla fine, Jones brontolò: "Scusate un attimo" e uscì. Fu di ritorno dopo tre minuti, e disse: "Ho appena parlato con Josie...".
""Chi è questa Josie?" domandai.
""La receptionist. Giura che nessun cameraman è venuto. Anzi, che nessuno, nessuno è entrato che non fosse del personale della ditta, tranne tu, Smith, e lei, Mr. Hume."
""È stata alla sua scrivania per tutto il tempo?" chiese Smith.
""La ragazza dice di sì."
""Cioè, non è andata a incipriarsi il naso o altro? Mai?"
""Lo esclude tassativamente. Dice che era al suo posto di lavoro, e bene attenta, per tutta la mattina, e dice che nessuno poteva entrare senza che lei lo vedesse."
"Volli insistere: "C'è da fidarsi della ragazza?".
"Jones mi guardò, brusco: "Possiamo crederle. Lavora da noi da quasi cinque anni, e se afferma che nessuno è entrato, nessuno è entrato!".
"Ancora Smith: "E allora, lui dov'è? Come può essersi perduto semplicemente attraversando una strada?".
""Abbiamo eliminato qualsiasi possibilità," feci io "tranne l'eventualità che sia stato vittima di un incidente, proprio attraversando la strada."
"Inorridito, Smith ipotizzò: "Che magari sia stato investito da una macchina?".
""È risaputo che può accadere" rimarcai.
""In tal caso," disse Jones "si sarebbe trattato di una cosa non da poco. Essendo un professionista, ci avrebbe informati o avrebbe avvertito in sede, a Indianapolis. Anche se il suo stato fisico non glielo avesse permesso, avrebbe chiesto a qualcuno di avvisarci."
""Sempre che fosse stato cosciente. O ancora vivo" aggiunsi.
""Però" ribatté Jones. "Se ci fosse stato un incidente grave in strada, proprio fuori dal nostro ingresso, giù nell'atrio lo avrebbero saputo."
""Qualcuno lo ha chiesto giù da basso?" volli sapere.
"Jones esitò due secondi, e chiamò l'atrio al telefono. Non ci volle molto. Scosse la testa. "Nessuno dell'atrio sa di alcun incidente."
""Sentiamo la polizia" si affrettò ad aggiungere Smith. "Loro dovrebbero avere avuto la segnalazione."
"Jones parve poco propenso a telefonare alla polizia, poi si rassegnò. Ci volle più tempo, ma il risultato fu identico. "La polizia" disse "non ha alcuna segnalazione di incidenti di sorta avvenuti stamattina, tra la 54a Strada e la Sesta Avenue."
"Smith ripeté il ritornello: "Allora, lui dov'è?".
"Mi alzai. "Signori, non so dove sia, ma non posso aspettare oltre. Ho altri impegni, altro lavoro da fare. Sono spiacente, ma devo andare, ora. Comunque, gradirei molto sapere la risposta a questo mistero. Se mai doveste trovarla, siate tanto gentili da telefonarmi, e allora sarò lieto di tornare qui per la registrazione dell'intervista."
"E presi congedo... Non era trascorsa un'ora, e Smith mi telefonò per spiegarmi l'arcano. Una settimana dopo, tornai e l'intervista ebbe luogo. Ecco il suo mistero, Mr. Gonzalo."
I Vedovi Neri rimirarono dubbiosi il loro ospite. Parlò a nome di tutti Halsted: "È realmente successo così, Brad? O hai voluto menarci per il naso e farti quattro risate alle nostre spalle?".
"No, no" rispose Hume. "È tutto vero. Ogni parola; giuramento di boy-scout. Accadde esattamente come vi ho raccontato."
"Be', allora, dicci cos'era capitato al cameraman."
Hume scosse il capo, sorridendo. "Volevate un mistero, e ve l'ho fornito. Ditemi voi cos'era successo. Avete i fatti. Vi darò due indizi. Nessuno stava mentendo. Non era una messinscena di alcun genere. Il secondo indizio è che non si tratta di una tragedia. Il cameraman non era stato affatto investito, rapito o altro. Vivo e vegeto. Allora, dov'era?"
Gonzalo arrischiò: "Aveva avuto una temporanea crisi di amnesia che lo aveva portato a girovagare senza meta?".
"No" rispose Hume. "Ho detto che era vivo e vegeto, in ottima forma. Fisicamente e mentalmente."
"Cominciamo a stabilire una cosa" disse Avalon con una certa petulanza. "In realtà non sapevate realmente se l'uomo fosse in albergo - o a New York. Nessuno lo vide quella mattina. Il pass gli era stato mandato la sera prima, ma scommetto che gli era stato lasciato al banco dell'albergo. Chi sa chi poteva essere stato nella sua stanza?"
"Qualcuno che aveva firmato il registro dell'albergo col nome del cameraman" rispose Hume.
"Poteva farlo chiunque ne conoscesse il nome" insisté Avalon. "C'era una prenotazione del cameraman all'albergo, e qualcuno lo sapeva. Quel qualcuno riuscì a far tardare in qualche modo il cameraman, si registrò a suo nome, e ottenne una camera per una notte in un hotel di classe, a spese di un altro. Quelli dell'albergo trovarono il bagaglio la mattina, quando il nostro impostore se n'era già andato per i fatti suoi. Non trovarono alcuna attrezzatura per riprese in TV. Il che potrebbe voler dire, anzitutto, che tale attrezzatura non c'era mai stata."
Hume domandò: "Perché qualcuno avrebbe dovuto far questo?".
"Non lo so" rispose Avalon. "Potrei inventarne di motivi, almeno venti forse, ma non potrei provarne alcuno."
Ci provò Trumbull: "Uno che stava scappando aveva bisogno di un nome falso e di una stanza sicura proprio quella notte... una spia".
E Drake, di rincalzo, con un tono chiaramente non serio: "Un attentatore. Gli occorreva una stanza ove piazzare la bomba".
"Signori!" ammonì Hume, lisciandosi all'indietro la folta capigliatura. "State inventando le cose. Ammetto che non ci venne mai in mente di rintracciare il fattorino d'albergo che portò il bagaglio del cameraman su in camera. Ma anche se l'avessimo fatto, quel fattorino ci avrebbe detto d'aver portato certe carabattole che potevano identificarsi come attrezzature televisive. No, è certo in modo assoluto che fu il nostro evanescente tecnico a registrarsi in albergo."
"In tal caso" disse Rubin "era proprio lui a darsi alla pazza gioia. Che so, una ragazza da vedere, una faccenda di quattrini che gli stava a cuore, o qualche cosa d'altro da fare nella grande metropoli. Quando scese nell'atrio dell'albergo, prese il suo materiale, montò su un taxi e se ne andò. Forse pensava di sbrigarsela e tornare dopo una mezz'ora, e che voi lo avreste aspettato senza protestare troppo. Magari, invece, gli ci vollero due ore, perché aveva sottovalutato il traffico di New York, o gli era capitato qualche contrattempo con conseguente ritardo."
"Non credo che avrebbe fatto una cosa del genere" replicò Hume "Per il "Vecchio Affidabile", il lavoro sarebbe venuto per primo."
Seguì un lungo, indispettito silenzio. Facce imbronciate e labbra contratte per tutti. Tale fu l'impressione di Hume, finché non notò l'eccezione.
Disse: "Henry è l'unico che sta sorridendo... Henry, di cosa stai sogghignando?".
"Mi perdoni, signore" rispose quello. "Non è per mancanza di rispetto, ma lei ha detto che non ci fu tragedia, e non posso fare a meno di pensare che si trattò di una farsa, ed ecco che mi è venuto da sorridere."
Avalon interloquì, col suo rombo baritonale: "Hai una soluzione, Henry? Se ce l'hai, catechizzaci!".
"Ho il vostro permesso, signori?" volle sapere Henry.
Il coro fu immediato e unanime.
Henry disse: "Mr. Hume ha sottolineato in modo esplicito che il cameraman era un uomo fidato, un vecchio professionista che aveva girato il mondo e, presumibilmente, sempre scrupoloso ed efficiente. Visto che non lo avevano trovato morto nella stanza d'albergo, visto che la polizia non aveva ricevuto alcun rapporto su incidenti, possiamo solo presumere che egli, quella mattina, fosse uscito per andare all'appuntamento, avesse attraversato la strada, raggiungendo il palazzo di uffici precisatogli, e, localizzata la sala delle conferenze, avesse piazzato la sua attrezzatura televisiva".
"No" obbiettò Avalon. "La receptionist giura che lui non era mai entrato nella sala, e Mr. Hume ci ha detto che la ragazza non mentiva. Il che vuol dire... Mr. Hume, mi perdoni la domanda che sono costretto a rivolgerle. La soluzione è semplicemente una faccenda di ricerca? Quando lei ci ha assicurato che la receptionist non aveva mentito, devo ritenere che non è stato lei, Mr. Hume, a mentire?"
"Non ho mentito" assicurò Hume, senza scomporsi.
"In questo caso, Henry," concluse Avalon "la tua ipotesi è errata."
"Forse no, Mr. Avalon" replicò Henry. "Secondo le intese, Mr. Hume doveva arrivare alle nove e trenta della mattina, mentre il cameraman lo avrebbe preceduto di una mezz'ora, per essere pronto per le nove e trenta. È esatto, Mr. Hume?"
"Esatto."
"E la receptionist sarebbe stata una receptionist davvero singolare se fosse arrivata al suo posto di lavoro prima delle ore nove, cioè l'ora di apertura degli uffici. Il cameraman, però, era così scrupoloso, efficiente professionista, da rendere probabile che arrivasse alle otto e mezzo. Ciò spiegherebbe perché la receptionist non l'ha visto. Inoltre, direi che nell'atrio subentrò, alle ore nove, il nuovo turno di sorveglianza, ed ecco perché nessuno del nuovo turno del piano terra vide entrare il nostro uomo."
"E la porta della sala sarebbe rimasta chiusa a chiave" ribatté Avalon "e lui avrebbe dovuto aspettare la ragazza della reception."
"Lo crede davvero, signore? Sappiamo che l'edificio era sede di una grossa ditta di consulenze legali, quindi con molti avvocati che vi avevano lo studio. Almeno uno di essi poteva essere al lavoro in anticipo rispetto all'orario di apertura. E poteva, quindi, aprire al cameraman, controllarne il pass, farlo entrare, e tornare poi al proprio lavoro, dimenticando la faccenda."
Di nuovo Avalon: "E, dopo, che accadde al cameraman? È caduto in un buco del pavimento? Dove era? Nessuno lo vide".
"Mr. Hume," chiese Henry "posso chiederle ancora una cosa?"
"Dica pure, Henry."
"Considerando che era una grossa azienda legale, è da escludere che l'edificio possedesse più di una sala conferenze?"
Hume rovesciò la testa all'indietro, e rise di puro compiacimento: "Due, risultò che ne aveva due, Henry. Due!".
"Lo immaginavo" confermò Henry. "L'avvocato che fece entrare il nostro uomo lo condusse nella sala sbagliata. Il cameraman aspettò in una sala, e lei lo attese nell'altra, per tutta la mattina, senza neanche sapere dove fosse l'altra."
"No" si oppose Avalon. "Come sarebbe stato possibile? Il cameraman non sarebbe venuto fuori a chiedere: "Dove sono gli altri?".
"Se vogliamo, lo fece" rispose Hume, soffocando l'ilarità. "Si servì del telefono della sua sala per chiedere lumi a Jones. Rispose la segretaria di Jones e gli disse che Jones era fuori ufficio - il che era vero, in quanto lui era nella nostra sala conferenze a chiedersi dove fosse finito il cameraman. Questi fece presente alla segretaria che doveva registrare un'intervista, e la segretaria gli assicurò che lo avrebbe riferito a Jones non appena fosse rientrato. Ma Jones non rientrò se non dopo che io me n'ero andato... Come c'è arrivato, Henry?"
"Nel solito modo. Una volta che lei e gli altri due signori in sala conferenze, e i miei soci Vedovi Neri, per di più, avevate tolto di mezzo tutto il complesso di ragionevoli ipotesi, l'unica cosa rimasta era un che di estremamente semplice, e mi sono limitato a farlo presente."
Halsted fece finta di nulla, e pilotò l'ospite nel giro di strette di mano.
"Come ho detto, questi è W. Bradford Hume, amici... Brad, ti presento Emmanuel Rubin, autore di libri gialli: ecco Mario Gonzalo, che non vede l'ora di farti il ritratto. James Drake, il quale sta tossendo sull'eterna sigaretta ed era un chimico prima di andare in pensione; questi è Geoffrey Avalon, avvocato abilitato, anche se non ho mai capito cosa facciano gli esponenti della sua categoria; e infine Thomas Trumbull, che lavora in una riservatissima sezione ministeriale... E questi è Henry, il nostro cameriere, anch'egli socio del club, il quale ti ha or ora portato il tuo aperitivo."
Hume accolse le singole presentazioni, sorridendo e con buona grazia. Prese il martini, con un cordiale cenno del capo a Henry, e intanto il gruppo dei Vedovi Neri era andato riprendendosi dall'iniziale stupore.
Rubin, occhi spalancati dietro gli spessi occhiali, non mancò comunque di chiedere: "Roger, ho sentito bene? Il signore è il tuo consulente finanziario?".
"Esattamente quello che ho detto" rispose Halsted, altezzosamente.
"Ti hanno dato un aumento di stipendio? Te l'hanno quintuplicato?"
Halsted replicò: "Non c'è bisogno, Manny, di farmi passare per un mendicante, solo perché insegno matematica alle medie. Ho la mia anzianità di servizio, sono di ruolo, con uno stipendio ragionevole. Né lauto né spropositato, ma ragionevole. Inoltre, anche Alice lavora e guadagna più di me, e dispongo di una piccola rendita lasciatami da mia madre, che Dio l'abbia in gloria - e così Brad amministra per mio conto qualche dollaro, e ottimamente, direi!".
Hume sorrise compiaciuto: "Non temano, signori, che io mi metta a suonare la grancassa per conquistare eventuali clienti. So benissimo che questa è una serata puramente conviviale".
"Puramente!" brontolò Trumbull.
Avalon si schiarì la gola: "Dovrei supporre, Mr. Hume, che esercitare la professione di consulente finanziario di questi tempi instabili renda la vita non poco stressante".
"Così è, Mr. Avalon, ma l'instabilità è sempre esistita, il che rende particolarmente difficile il compito di un consulente finanziario, dal quale ci si aspetta la premonizione del futuro... del futuro immediato, quanto meno."
"Quali azioni salgono? Quali ribassano?" mormorò Gonzalo. Il pittore stava già lavorando alla caricatura di Hume, partendo dall'abbondante chioma nera sotto cui disegnare una faccia quasi da cherubino.
"Quello senz'altro," riconobbe Hume "ma anche qualcosa di più. Si deve essere in grado di giudicare ciò che sarà redditizio come investimento a lungo termine, di prevedere e anticipare fluttuazioni delle tasse..."
Halsted lo interruppe, ponendogli una mano sul braccio. "Non parlarne, per adesso, Brad. Ti metteranno sotto torchio dopo la cena, e fino allora hai il diritto di rilassarti."
"Pienamente d'accordo" disse Hume. "Cosa ci riserva il menu stasera? O non dovrei chiederlo?"
"Perché non dovresti chiederlo? Henry, che abbiamo?"
Il viso liscio - a dispetto dei suoi sessant'anni - del cameriere si increspò leggermente. "Stasera avremo salmone alla griglia, Mr. Halsted, e credo che lo troverà speciale. La salsa d'aragosta è una ricetta segreta del nostro chef."
"E ci ha scelti come cavie, lui, eh?" bofonchiò rocamente Drake.
"Non ne resterà deluso, dottor Drake. Sarà preceduta da una zuppa di pesce alla portoghese, che forse lei troverà un tantino speziata."
"A me non disturberà affatto" assicurò Avalon, abbassando le folte sopracciglia che conferivano al suo viso un piacevole aspetto satanico.
Come poi risultò, Henry aveva perfettamente ragione. Dalla zuppa di pesce iniziale al dolce di cioccolato al rum, echeggiarono suoni di approvazione. Anche l'ostinata dichiarazione di Rubin, che l'"attuale smania del futuribile" fosse vuota di contenuti, non sollevò molta clamorosa opposizione.
"Non resta che retrocedere nel passato," asserì Rubin "e leggere le predizioni sul presente come propinateci dai ciarlatani di mezzo secolo fa. Troverete che essi vedevano un milione di cose che non sono successe, e non vedevano quasi nulla di ciò che in realtà successe."
Hume non perse sillaba della discussione che ne seguì, ma rimase muto.
Gonzalo disse con una evidente luce maliziosa negli occhi: "Il tuo buon amico, Asimov, è un anticipatore del futuro, eh?".
"Lui?" scattò Rubin, ogni pelo della rada barbetta pervaso da elettricità. "Lui descrive il futuro in quella che chiama fantascienza, ma le uniche previsioni che azzecca sono quelle clamorosamente ovvie per chicchessia. E non lo definirei mio amico. Gli do una mano di quando in quando nell'intreccio di un racconto, quando lui si è arenato."
Halsted si accarezzò lo stomaco con un sorriso soddisfatto, e fece tintinnare il bicchiere col cucchiaio che aveva in mano. "Signori, è il momento che Brad paghi lo scotto per questa cena squisita, affrontando l'interrogatorio. Manny, visto che hai un concetto tanto scarso del futuribile, vuoi fare da inquisitore? Ti pregherei soltanto di mantenerti a un elementare livello di cortesia verso chi è nostro gradito ospite."
Rubin grugnì. "Quando avrò bisogno di lezioni di comportamento, te lo farò sapere, Roger... Mr. Hume, in qual modo lei giustifica la sua esistenza?"
"Se si aspetta che io dica" rispose Hume "che la giustifico in quanto rendo ricco il prossimo attraverso abili investimenti, resterà deluso. La giustificazione deriva dalla mia capacità di conferenziere post-prandiale."
"Guarda, guarda! Quindi, lei si considera un bravo oratore?"
"Infatti. È da quindici anni che mi ci dedico, e ormai ho raggiunto un onorario standard di 7.500 dollari per un'ora di chiacchierata. Penso che dia la misura adeguata delle mie capacità."
Rubin si raschiò la gola, non trovando lo spunto per un'immediata risposta. Quindi domandò: "Perché si dedica a tale attività extra?".
Hume alzò le spalle. "Viaggiare non mi attrae in modo particolare. Voglio poter scegliere e selezionare... rifiutare di tenere una conferenza che mi risulti scomoda, indipendentemente dall'onorario. Riesco a, farlo in via ottimale se ho alle spalle un regolare lavoro che mi assicuri tranquillità finanziaria. Ecco perché non ho un agente. Gli impresari, chiamiamoli così, ti tengono sotto pressione... e si prendono il trenta per cento."
"Se non ha un agente," insisté Rubin "come si procura gli "ingaggi" quale conferenziere?"
"La voce corre. Se hai loquela facile e suadente, il mondo viene a bussare alla tua porta."
"Qual è la sua specializzazione?"
"Il futuribile, Mr. Rubin, cui lei non presta molto credito. Contrariamente ai suoi commenti sull'argomento, pare che oggi tutti si interessino a ciò che il futuro ci riserba. Qual è il futuro della cultura? Dei robot? Dei rapporti internazionali? Dell'esplorazione dello spazio? Di tutto un po', scelga lei, l'interesse è generale."
"E lei parla di tutto questo?"
"Sì."
"Quanti differenti tipi di allocuzioni si è preparati, lei?"
"Nemmeno uno. Se dovessi prepararli, dovrei trascurare il mio lavoro di mediatore in Borsa, e non posso permettermelo. Parlo a braccio, e non ho bisogno di preparazione. Citi l'argomento che le interessa, e io mi alzo, e ne parlo per un'ora. Però mi deve pagare l'onorario."
Intervenne Halsted: "Guardate che l'ho sentito parlare. È in gamba!".
Gonzalo domandò: "Ha avuto qualche esperienza strana nella sua carriera oratoria, Mr. Hume?".
"Strana?" Hume soppesò il termine, addossandosi allo schienale della sedia, con l'aria di chi si senta del tutto a suo agio. "Ho avuto qualche preambolo introduttivo da parte del solito esponente del comitato organizzatore, preambolo che non pensavo affatto divertente, anche se magari l'uditorio ci rideva. Una volta... Una volta uno mi scrisse contestando il mio onorario, dicendomi che era quattro volte la tariffa che avessero mai pagato a chicchessia. Risposi: "Io sono quattro volte più bravo di chicchessia - come minimo". Nel presentarmi, il tizio lesse quella corrispondenza, e l'uditorio - un convegno di ingegneri professionisti - di colpo si rese conto che stava per essere messo a bagno maria, quattro volte rispetto al normale, da un presuntuoso pallonaro. Quando mi alzai, sentivo il gelo dell'atmosfera, e mi ci volle mezz'ora e mezza conferenza per conquistare i miei ascoltatori.
"Un'altra volta, una donna mi presentò in un modo quanto mai pedestre, cui ho fatto il callo. Seguì un tiepido appluaso, e io mi alzai, allo scopo di iniziare subito dopo che l'applauso avesse raggiunto l'apice, e di esordire con l'uditorio già in autoipnosi in mio favore. Ma la presentatrice - possa un giorno trovare un posto particolare all'inferno - cominciò a gridare a certi ritardatari che c'erano sedie libere sul lato della sala. E andò avanti finché l'applauso morì, e io dovetti rivolgermi a un pubblico ormai inerte, che non riuscii a rianimare del tutto.
"Poi c'è il presentatore umorista. Me ne capitò uno che parlò ben quindici minuti su vita, morte e miracoli del sottoscritto. Quindici minuti che cronometrai sul mio orologio. Ed era spassoso, realmente spassoso. Faceva sganasciare il pubblico, e non esigeva manco un penny, lui. Subentrandogli, mi resi conto che gli ascoltatori mi avrebbero considerato molto meno divertente - e a una tariffa esorbitante. Mentre andavo chiedendomi se non fosse il caso di rinunciare all'onorario e andarmene, il mio presentatore concluse dicendo: "Ma non voglio darvi l'impressione che Mr. Hume possa fare qualsiasi cosa. Mi risulta, guarda caso, che non ha mai cantato nel ruolo del Duca nel Rigoletto" e si mise a sedere tra un uragano di risate.
"Non sapeva, il brillante presentatore, che mi aveva servito l'uditorio su un piatto d'argento. Mi alzai, attesi che l'applauso di prammatica morisse del tutto, e, nel silenzio di tomba, attaccai, con la mia miglior voce da tenore: "Bella figlia dell'amore...", le prime note quale contributo del Duca al famoso Quartetto, e l'uditorio fu scosso dall'ilarità più scatenata che si possa immaginare. E lo ebbi in pugno.
"Mi è capitato di tenere una conferenza dodici ore prima che mi venisse un attacco cardiaco, e poi una successiva, dodici ore dopo l'attacco. Per fortuna, al momento, non m'ero reso conto che c'entravano capricci cardiaci. La seconda conferenza era davanti a un consesso di cardiologi, e nessuno di loro..."
Gonzalo interruppe: "Si fermi un momento. Si fermi!".
Hume si bloccò quasi di colpo, con aria sorpresa. "Prego?"
Gonzalo disse: "Le credo quando afferma di poter parlare per un'ora di seguito, estemporaneamente, senza preavviso. Lei però non ha capito la mia domanda".
"Mi scusi, ma non mi aveva chiesto se avessi avuto qualche esperienza strana?"
"Sì, ma non intendevo strana nel senso di divertente, umoristica. Mi riferivo a strambo, nel senso di... strano o enigmatico."
Hume si stropicciò il naso: "Non potrebbe spiegarsi meglio, Mr. Gonzalo?".
"Ecco, intendevo un qualche cosa che lei non potesse spiegare. Un puzzle. Un giallo."
Avalon percosse col palmo della mano il piano del tavolo. "Mario, propongo la tua espulsione da socio del club!"
"Non puoi!" replicò Gonzalo, irosamente. "Non vi sono restrizioni alle domande che poniamo."
"Tranne i canoni del buon gusto, in nome di Dio!"
"Cosa c'è di cattivo gusto nel chiedere un giallo? A me, i misteri piacciono. Se Mr. Hume non ne ha manco mezzo, cosa gli costa dirlo?" E Gonzalo si rivolse all'ospite, accigliandosi, e disse con voce consapevole dei propri diritti: "Allora, le è mai accaduto di trovarsi davanti a un qualche mistero, in relazione alla sua attività di conferenziere?". Poi si spazzolò con la mano le maniche della giacca di velluto rosso, quasi a togliere di mezzo ogni banale osservazione alla domanda.
Hume si era messo a sorridere, compiaciuto. "Ebbene, sì! In effetti, mi è successo. Strano che me l'abbia chiesto. Fu anni fa, naturalmente, ma un vero mistero. Non avemmo la minima idea di dove il tizio fosse finito. Volete che lo racconti?"
Gonzalo si alzò dalla sedia: "Io, senz'altro, ma sarò lieto di metterlo ai voti. C'è qualcuno tra i presenti che non desideri ascoltarlo?".
Nessuno aprì bocca, e quindi fu Avalon a rispondere per tutti: "D'accordo, Mario, ascoltiamo quanto Mr. Hume ha da dirci".
Gonzalo annuì con un enfatico cenno della testa. "Benissimo, allora. Mr. Hume, a lei la parola."
L'ospite disse pianamente: "Con piacere. Ma sarò interrotto a metà strada, oppure mi è concesso di andare a ruota libera?".
Di nuovo Avalon: "Stia tranquillo, Mr. Hume. Potrà parlare liberamente. Roger, quale anfitrione, avrà il controllo assoluto della conversazione, e, quando dirà "Parlate", noi parleremo, e quando dirà "Vietate le interruzioni", noi ammutoliremo. Vero, Roger?"
"Vero" confermò Halsted.
"Allora, comincio," disse Hume "e me ne assumo le conseguenze."
"La storia comincia" disse Hume "qualche anno fa, quando fui invitato a tenere una conferenza a Seattle. Naturalmente, sarei dovuto andarci in aereo, e volare non mi entusiasma. Mai mi ci avventuro volontariamente, certo non in gennaio. Inoltre, l'onorario offertomi era molto inferiore a quello che mi sarei aspettato. Così, per farla breve, dissi di no.
"E fu un bene che dicessi di no, perché, combinazione, il Nordovest era sommerso da una nebbia ostinata proprio il giorno in cui sarei arrivato. Anche presumendo un atterraggio indenne, pochissimi aerei sarebbero decollati da Seattle per almeno una settimana, e io sarei rimasto intrappolato laggiù. Cosa che mi avrebbe disturbato non poco, in quanto avevo da fare in sede, e anche il mio datore di lavoro non avrebbe visto di buon occhio un mio ritardo. La ditta non ha nulla in contrario che io faccia conferenze, visto che, in generale, ogni tanto le faccio un po' di pubblicità, e ritiene utile essere al corrente del futuribile. Comunque, una mia assenza di una settimana sarebbe stata un po' troppo.
"Tutto questo è, però, irrilevante. La cosa importante è che il signore all'altro capo del telefono non si arrese al mio no. Lui e i suoi associati, valendosi dei miracoli della moderna telecomunicazione, tornarono a contattarmi, col suggerimento che io rimanessi a New York e mi sottoponessi a una intervista televisiva di una ventina di minuti. L'intervista sarebbe stata registrata e poi messa in onda a Seattle per una audience presumibilmente ansiosa.
"L'onorario era sempre inferiore ai miei desideri, ma ero lusingato dalla loro insistenza. Tanto più che non sarei stato costretto a viaggiare. L'intervista avrebbe avuto luogo in un sito in centro città, a pochi passi dal mio appartamento, sempre che il tempo mi avesse consentito di andarci a piedi, conclusione per nulla scontata, essendo pieno inverno. Comunque, accettai.
"Il signore che mi invitava - non ne ricordo il nome, ma non ha importanza, quindi lo chiamerò Smith - intuì un residuo in me di scarso entusiasmo, e cercò di tranquillizzarmi: tutto sarebbe stato per me quanto più semplice possibile. Sarebbe venuto a prelevarmi in taxi alle 9 e 20 del mattino, per portarmi a destinazione per le nove e trenta. Il cameraman, incaricato delle riprese, si sarebbe trovato sul posto poco dopo le nove, e avrebbe organizzato e approntato tutto, per essere a mia disposizione non appena fossi arrivato.
"Per me, quello era un punto importante. Non era la prima volta che mi intervistavano alla televisione - con le telecamere piazzate, per esempio, in una stanza d'albergo - e posso dirvi che non c'è sistema più facile per essere condotti alla pazzia. La televisione esiste da quarant'anni, e i cameramen non hanno ancora trovato un sistema per disporre le luci in modo che il soggetto sia ben illuminato, senza ombre deflettenti.
Inoltre, tutti quanti i cameramen si considerano artisti, e, evidentemente, vige una sorta di legge che spinge gli artisti a non essere mai soddisfatti. Ogni regolazione qui mette fuori campo qualche cosa là. A loro occorrono ore per raggiungere un punto di quasi-soddisfazione, e poi, quando sei seduto e speri che sia finita e le riprese inizino, loro si accorgono, solo allora, che porti gli occhiali, e che detti occhiali scoccano un indesiderabile riflesso - e tutta la logorante fatica comincia da capo.
"Dissi: "È sicuro che il cameraman sia pronto, e che io non debba far altro che mettermi seduto?".
""Sicurissimo" rispose lui, il che tacitò i miei dubbi. Quasi.
"Venne il giorno. Smith arrivò a prelevarmi in taxi, puntuale, e partimmo. In tre minuti raggiungemmo il posto stabilito, e, mentre salivamo, Smith mi garantì: "Sarà pronto per noi al cento per cento!".
"Cercai di non esternare il mio cinismo. È mia convinzione che i cameramen non siano pronti per alcuna cosa, in alcun momento, per alcuno. "Bene" dissi.
"Salimmo dunque a uno dei piani superiori ed entrammo nell'ufficio qualche secondo dopo le nove e mezzo di quel mattino. Eravamo negli uffici di una grossissima azienda, di cui era socio importante un vecchio compagno d'arme di Smith. Poiché anche di costui non ricordo il nome, chiamiamolo Jones. La ditta ci aveva concesso l'uso di una sala conferenze.
"Smith disse giovialmente alla receptionist: "Salve, sono Smith e questi è Mr. Hume. Siamo qui per la registrazione in TV. Ritengo che il cameraman sia arrivato e abbia sistemato tutto".
"La ragazza rispose, con alquanta indifferenza: "Non ho visto alcun cameraman, signore".
""Cosa? Nessun cameraman?"
""No, signore."
"Smith si accigliò, ma decise di essere invincibilmente ottimista: "Non può essere" obbiettò. "Sta aspettando noi."
"Ma nessuno ci stava aspettando. Entrammo nella sala conferenze, che era nuda e vuota come un palcoscenico scespiriano.
""Lui dov'è?" chiesi.
""Non lo so" rispose Smith.
"Venne giù l'amico di Smith, Jones, che mi strinse la mano, e domandò a Smith: "Dov'è il cameraman?". ""Non lo so" ripeté Smith.
"Io dissi: "Meglio chiamare il suo ufficio".
"Smith disse: "L'emittente è a Indianapolis".
"Al che replicai, alquanto sconcertato: "Ma non c'erano altri cameramen a New York? Perché farne venire uno da Indianapolis?".
"Smith si strinse nelle spalle: "È una stazione televisiva con cui lavoriamo sempre".
"Jones indicò un telefono in un angolo. Disse a Smith: "Premi qualsiasi pulsante della fila in basso, che non sia acceso, poi schiaccia l'8 e aspetta il segnale di linea, schiaccia l'l, forma il prefisso e il numero che ti serve".
"Attesi pazientemente. È sorprendente. Di solito, se c'è una cosa che mi esaspera, è dover aspettare. Ogni altro contrattempo mi lascia imperturbato, mi lascia serafico. Tutti sanno che carattere accomodante è il mio. Ma se qualcuno ritarda di qualche secondo a un appuntamento ben concordato, ecco che comincio a incupirmi. Se il ritardo supera i cinque minuti, mi esce il fumo dalle orecchie. Ma il tempo passava, ed era ormai quasi il momento in cui avevo calcolato di aver concluso l'intervista, e del cameraman non c'era ombra, e io non mi sentivo per nulla innervosito. C'era un mistero in quella non-presenza, e ne ero incuriosito non poco.
"Reduce dal telefono, Smith riferì: "È partito ieri, e il suo direttore afferma che aveva l'indirizzo esatto e che tutto era come doveva essere. Per di più, mi ha garantito, il direttore, che il cameraman assegnatoci è soprannominato `Vecchio Affidabile'. Uno che ha lavorato in tutto il mondo e non ha mai sforato un appuntamento".
""Questo lo ha sforato" feci io. "Se è partito ieri, oggi dove dovrebbe essere?"
""In un albergo" rispose Smith. "Ci avrà pernottato!"
""Siamo sicuri che ci sia mai arrivato?"
"Nuova telefonata, dopo di che Smith annunciò: "Si è registrato ieri sera".
""Bene, allora" interloquì Jones. "Ha preso un taxi, e l'autista lo ha subito inquadrato come un 'provinciale' e lo ha portato qui facendo il giro da Yonkers. I tassisti sono noti per fare cose del genere."
""È impossibile" ribatté Smith con acuita irritazione. "Il cameraman ha preso alloggio al New York Hilton. Non è qui, nelle immediate vicinanze?"
""Il New York Hilton?" si stupì Jones. "Sì. Sul marciapiede di fronte. Non c'è che attraversare la 54a Strada."
""Già. Quindi, aveva forse bisogno di prendere un taxi?"
""Penso di no. L'albergo è al numero 1335 della Sesta, e noi siamo al 1345 sempre della Sesta. Neanche il più fesso dei fessi avrebbe preso un taxi per percorrere dieci numeri civici della stessa strada, e questo tizio ha viaggiato in tutto il mondo ed è chiamato il 'Vecchio Affidabile'?"
"Sentii il cinismo salirmi sino alle narici, e riassunsi: "Quindi il `Vecchio Affidabile' è qui nella metropoli. È andato a far quattro passi, ieri sera, ha fatto un fischio e si è rimorchiato in camera una compiacente ragazza, e adesso dorme concedendosi il riposo del guerriero".
"Smith assunse un'aria indignata: "La prego! Il suo direttore dice che l'uomo ha quarantotto anni. Non è un giovane stallone".
""Ma non è neanche sulla via del disarmo" commentai. "Io sono più anziano di lui, e potrei facilmente cadere in tentazione. Voglio dire, me ne astengo, ma potrei, se lo volessi."
""Be', lui non è il tipo di farlo, avendo un appuntamento da rispettare il mattino dopo. È un professionista!"
""D'accordo" ammisi. "Lei, quindi, mi costringe a chiedermi se non gli sia venuto un attacco cardiaco nel cuore della notte; se, in questo preciso momento, non stia su quel letto d'albergo, morente, o forse già morto."
"Smith e Jones si scambiarono un'occhiata, entrambi a disagio. Smith domandò all'amico, con voce incerta: "Pensi che dovremmo chiamare la polizia?".
""Non prima" rispose l'altro "che quelli dell'albergo vadano a vedere nella stanza che lui occupava.
"E fu Jones, questa volta, ad andare al telefono. Parlò concitato, poi riappese il ricevitore. Per un po' restammo tutti e tre in silenzio, preoccupati.
"Poi Smith disse: "E se lui fosse venuto qui in questo palazzo, e non lo avessero lasciato entrare? Immagino che qui le misure di sicurezza siano rigide. Magari lui, in questo momento, è giù nell'atrio come un'anima persa".
""La sorveglianza è rigida, certo" disse Jones. "Ma ieri sera gli è stato dato un pass. Non dovrebbe aver avuto alcuna difficoltà a salire."
""Forse il tesserino lasciapassare non gli è mai finito in mano" puntualizzai io, l'eterno pessimista "e lui non si è nemmeno presentato giù in portineria."
""Manderò qualcuno a controllare giù nell'atrio" disse Jones.
"Intanto il telefono aveva preso a squillare. Jones corse a rispondere, parlò brevemente, e tornò a noi per precisarci: "Il poliziotto dell'albergo è entrato nella stanza. Il bagaglio c'è, ma lui no. Come non c'è alcuna telecamera o altra attrezzatura per le riprese. Quindi, l'uomo è uscito con i suoi ferri del mestiere".
""E dov'è, allora?" chiesi.
"Nessuna risposta, naturalmente. Jones rifletté un attimo, poi disse: "Immagino che abbiano guardato anche in bagno".
"Smith alzò le spalle: "C'è da supporre che un poliziotto d'albergo conosca il proprio mestiere".
"Era ormai quasi un'ora che ero lì, e dall'atrio fu comunicato che non c'era segno alcuno di un cameraman che si aggirasse nell'atrio. Ovviamente, se avesse avuto dietro l'attrezzatura per le riprese, lo avrebbero senz'altro notato. Tutto sommato, il sorvegliante del piano terra non aveva visto entrare, con o senza pass, alcuno con simile attrezzatura.".
"Domandai: "Hanno controllato se ha firmato per ottenere l'accesso?".
"Jones scosse la testa: "Se aveva il pass, non occorreva che firmasse. Lo avrebbero lasciato entrare, automaticamente".
"Nuova ipotesi di Smith. "E se fosse uscito dall'ascensore al piano sbagliato? Adesso sarebbe in giro per i corridoi a cercare una sala conferenze che a quel piano non esiste."
"Jones sbirciò l'orologio che aveva al polso. "Doveva essere qui un'ora e mezzo fa. Come potrebbe gironzolare da un'ora e mezzo su un piano che non sia il nostro? Non c'è pianerottolo in questo palazzo che non sia presidiato dai sorveglianti. Mai lo avrebbero lasciato girare a vuoto, esplorando le maniglie delle porte! E poi, lui avrebbe chiesto. Sapeva il nome della ditta. Dirò di più: sapeva anche il piano giusto."
"Seguì un altro silenzio pesante, che tutti e tre affrontammo consultando a turno l'orologio. Alla fine, Jones brontolò: "Scusate un attimo" e uscì. Fu di ritorno dopo tre minuti, e disse: "Ho appena parlato con Josie...".
""Chi è questa Josie?" domandai.
""La receptionist. Giura che nessun cameraman è venuto. Anzi, che nessuno, nessuno è entrato che non fosse del personale della ditta, tranne tu, Smith, e lei, Mr. Hume."
""È stata alla sua scrivania per tutto il tempo?" chiese Smith.
""La ragazza dice di sì."
""Cioè, non è andata a incipriarsi il naso o altro? Mai?"
""Lo esclude tassativamente. Dice che era al suo posto di lavoro, e bene attenta, per tutta la mattina, e dice che nessuno poteva entrare senza che lei lo vedesse."
"Volli insistere: "C'è da fidarsi della ragazza?".
"Jones mi guardò, brusco: "Possiamo crederle. Lavora da noi da quasi cinque anni, e se afferma che nessuno è entrato, nessuno è entrato!".
"Ancora Smith: "E allora, lui dov'è? Come può essersi perduto semplicemente attraversando una strada?".
""Abbiamo eliminato qualsiasi possibilità," feci io "tranne l'eventualità che sia stato vittima di un incidente, proprio attraversando la strada."
"Inorridito, Smith ipotizzò: "Che magari sia stato investito da una macchina?".
""È risaputo che può accadere" rimarcai.
""In tal caso," disse Jones "si sarebbe trattato di una cosa non da poco. Essendo un professionista, ci avrebbe informati o avrebbe avvertito in sede, a Indianapolis. Anche se il suo stato fisico non glielo avesse permesso, avrebbe chiesto a qualcuno di avvisarci."
""Sempre che fosse stato cosciente. O ancora vivo" aggiunsi.
""Però" ribatté Jones. "Se ci fosse stato un incidente grave in strada, proprio fuori dal nostro ingresso, giù nell'atrio lo avrebbero saputo."
""Qualcuno lo ha chiesto giù da basso?" volli sapere.
"Jones esitò due secondi, e chiamò l'atrio al telefono. Non ci volle molto. Scosse la testa. "Nessuno dell'atrio sa di alcun incidente."
""Sentiamo la polizia" si affrettò ad aggiungere Smith. "Loro dovrebbero avere avuto la segnalazione."
"Jones parve poco propenso a telefonare alla polizia, poi si rassegnò. Ci volle più tempo, ma il risultato fu identico. "La polizia" disse "non ha alcuna segnalazione di incidenti di sorta avvenuti stamattina, tra la 54a Strada e la Sesta Avenue."
"Smith ripeté il ritornello: "Allora, lui dov'è?".
"Mi alzai. "Signori, non so dove sia, ma non posso aspettare oltre. Ho altri impegni, altro lavoro da fare. Sono spiacente, ma devo andare, ora. Comunque, gradirei molto sapere la risposta a questo mistero. Se mai doveste trovarla, siate tanto gentili da telefonarmi, e allora sarò lieto di tornare qui per la registrazione dell'intervista."
"E presi congedo... Non era trascorsa un'ora, e Smith mi telefonò per spiegarmi l'arcano. Una settimana dopo, tornai e l'intervista ebbe luogo. Ecco il suo mistero, Mr. Gonzalo."
I Vedovi Neri rimirarono dubbiosi il loro ospite. Parlò a nome di tutti Halsted: "È realmente successo così, Brad? O hai voluto menarci per il naso e farti quattro risate alle nostre spalle?".
"No, no" rispose Hume. "È tutto vero. Ogni parola; giuramento di boy-scout. Accadde esattamente come vi ho raccontato."
"Be', allora, dicci cos'era capitato al cameraman."
Hume scosse il capo, sorridendo. "Volevate un mistero, e ve l'ho fornito. Ditemi voi cos'era successo. Avete i fatti. Vi darò due indizi. Nessuno stava mentendo. Non era una messinscena di alcun genere. Il secondo indizio è che non si tratta di una tragedia. Il cameraman non era stato affatto investito, rapito o altro. Vivo e vegeto. Allora, dov'era?"
Gonzalo arrischiò: "Aveva avuto una temporanea crisi di amnesia che lo aveva portato a girovagare senza meta?".
"No" rispose Hume. "Ho detto che era vivo e vegeto, in ottima forma. Fisicamente e mentalmente."
"Cominciamo a stabilire una cosa" disse Avalon con una certa petulanza. "In realtà non sapevate realmente se l'uomo fosse in albergo - o a New York. Nessuno lo vide quella mattina. Il pass gli era stato mandato la sera prima, ma scommetto che gli era stato lasciato al banco dell'albergo. Chi sa chi poteva essere stato nella sua stanza?"
"Qualcuno che aveva firmato il registro dell'albergo col nome del cameraman" rispose Hume.
"Poteva farlo chiunque ne conoscesse il nome" insisté Avalon. "C'era una prenotazione del cameraman all'albergo, e qualcuno lo sapeva. Quel qualcuno riuscì a far tardare in qualche modo il cameraman, si registrò a suo nome, e ottenne una camera per una notte in un hotel di classe, a spese di un altro. Quelli dell'albergo trovarono il bagaglio la mattina, quando il nostro impostore se n'era già andato per i fatti suoi. Non trovarono alcuna attrezzatura per riprese in TV. Il che potrebbe voler dire, anzitutto, che tale attrezzatura non c'era mai stata."
Hume domandò: "Perché qualcuno avrebbe dovuto far questo?".
"Non lo so" rispose Avalon. "Potrei inventarne di motivi, almeno venti forse, ma non potrei provarne alcuno."
Ci provò Trumbull: "Uno che stava scappando aveva bisogno di un nome falso e di una stanza sicura proprio quella notte... una spia".
E Drake, di rincalzo, con un tono chiaramente non serio: "Un attentatore. Gli occorreva una stanza ove piazzare la bomba".
"Signori!" ammonì Hume, lisciandosi all'indietro la folta capigliatura. "State inventando le cose. Ammetto che non ci venne mai in mente di rintracciare il fattorino d'albergo che portò il bagaglio del cameraman su in camera. Ma anche se l'avessimo fatto, quel fattorino ci avrebbe detto d'aver portato certe carabattole che potevano identificarsi come attrezzature televisive. No, è certo in modo assoluto che fu il nostro evanescente tecnico a registrarsi in albergo."
"In tal caso" disse Rubin "era proprio lui a darsi alla pazza gioia. Che so, una ragazza da vedere, una faccenda di quattrini che gli stava a cuore, o qualche cosa d'altro da fare nella grande metropoli. Quando scese nell'atrio dell'albergo, prese il suo materiale, montò su un taxi e se ne andò. Forse pensava di sbrigarsela e tornare dopo una mezz'ora, e che voi lo avreste aspettato senza protestare troppo. Magari, invece, gli ci vollero due ore, perché aveva sottovalutato il traffico di New York, o gli era capitato qualche contrattempo con conseguente ritardo."
"Non credo che avrebbe fatto una cosa del genere" replicò Hume "Per il "Vecchio Affidabile", il lavoro sarebbe venuto per primo."
Seguì un lungo, indispettito silenzio. Facce imbronciate e labbra contratte per tutti. Tale fu l'impressione di Hume, finché non notò l'eccezione.
Disse: "Henry è l'unico che sta sorridendo... Henry, di cosa stai sogghignando?".
"Mi perdoni, signore" rispose quello. "Non è per mancanza di rispetto, ma lei ha detto che non ci fu tragedia, e non posso fare a meno di pensare che si trattò di una farsa, ed ecco che mi è venuto da sorridere."
Avalon interloquì, col suo rombo baritonale: "Hai una soluzione, Henry? Se ce l'hai, catechizzaci!".
"Ho il vostro permesso, signori?" volle sapere Henry.
Il coro fu immediato e unanime.
Henry disse: "Mr. Hume ha sottolineato in modo esplicito che il cameraman era un uomo fidato, un vecchio professionista che aveva girato il mondo e, presumibilmente, sempre scrupoloso ed efficiente. Visto che non lo avevano trovato morto nella stanza d'albergo, visto che la polizia non aveva ricevuto alcun rapporto su incidenti, possiamo solo presumere che egli, quella mattina, fosse uscito per andare all'appuntamento, avesse attraversato la strada, raggiungendo il palazzo di uffici precisatogli, e, localizzata la sala delle conferenze, avesse piazzato la sua attrezzatura televisiva".
"No" obbiettò Avalon. "La receptionist giura che lui non era mai entrato nella sala, e Mr. Hume ci ha detto che la ragazza non mentiva. Il che vuol dire... Mr. Hume, mi perdoni la domanda che sono costretto a rivolgerle. La soluzione è semplicemente una faccenda di ricerca? Quando lei ci ha assicurato che la receptionist non aveva mentito, devo ritenere che non è stato lei, Mr. Hume, a mentire?"
"Non ho mentito" assicurò Hume, senza scomporsi.
"In questo caso, Henry," concluse Avalon "la tua ipotesi è errata."
"Forse no, Mr. Avalon" replicò Henry. "Secondo le intese, Mr. Hume doveva arrivare alle nove e trenta della mattina, mentre il cameraman lo avrebbe preceduto di una mezz'ora, per essere pronto per le nove e trenta. È esatto, Mr. Hume?"
"Esatto."
"E la receptionist sarebbe stata una receptionist davvero singolare se fosse arrivata al suo posto di lavoro prima delle ore nove, cioè l'ora di apertura degli uffici. Il cameraman, però, era così scrupoloso, efficiente professionista, da rendere probabile che arrivasse alle otto e mezzo. Ciò spiegherebbe perché la receptionist non l'ha visto. Inoltre, direi che nell'atrio subentrò, alle ore nove, il nuovo turno di sorveglianza, ed ecco perché nessuno del nuovo turno del piano terra vide entrare il nostro uomo."
"E la porta della sala sarebbe rimasta chiusa a chiave" ribatté Avalon "e lui avrebbe dovuto aspettare la ragazza della reception."
"Lo crede davvero, signore? Sappiamo che l'edificio era sede di una grossa ditta di consulenze legali, quindi con molti avvocati che vi avevano lo studio. Almeno uno di essi poteva essere al lavoro in anticipo rispetto all'orario di apertura. E poteva, quindi, aprire al cameraman, controllarne il pass, farlo entrare, e tornare poi al proprio lavoro, dimenticando la faccenda."
Di nuovo Avalon: "E, dopo, che accadde al cameraman? È caduto in un buco del pavimento? Dove era? Nessuno lo vide".
"Mr. Hume," chiese Henry "posso chiederle ancora una cosa?"
"Dica pure, Henry."
"Considerando che era una grossa azienda legale, è da escludere che l'edificio possedesse più di una sala conferenze?"
Hume rovesciò la testa all'indietro, e rise di puro compiacimento: "Due, risultò che ne aveva due, Henry. Due!".
"Lo immaginavo" confermò Henry. "L'avvocato che fece entrare il nostro uomo lo condusse nella sala sbagliata. Il cameraman aspettò in una sala, e lei lo attese nell'altra, per tutta la mattina, senza neanche sapere dove fosse l'altra."
"No" si oppose Avalon. "Come sarebbe stato possibile? Il cameraman non sarebbe venuto fuori a chiedere: "Dove sono gli altri?".
"Se vogliamo, lo fece" rispose Hume, soffocando l'ilarità. "Si servì del telefono della sua sala per chiedere lumi a Jones. Rispose la segretaria di Jones e gli disse che Jones era fuori ufficio - il che era vero, in quanto lui era nella nostra sala conferenze a chiedersi dove fosse finito il cameraman. Questi fece presente alla segretaria che doveva registrare un'intervista, e la segretaria gli assicurò che lo avrebbe riferito a Jones non appena fosse rientrato. Ma Jones non rientrò se non dopo che io me n'ero andato... Come c'è arrivato, Henry?"
"Nel solito modo. Una volta che lei e gli altri due signori in sala conferenze, e i miei soci Vedovi Neri, per di più, avevate tolto di mezzo tutto il complesso di ragionevoli ipotesi, l'unica cosa rimasta era un che di estremamente semplice, e mi sono limitato a farlo presente."
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