martedì 14 gennaio 2025

MONDADORI n.19 - Alfred Edward Woodley Mason: La belva

 



Si può affermare con un certo fondamento di verità che le avventure
capitano agli avventurosi; ma avvenimenti strani possono accadere a
chiunque.
Nessuno, per esempio, possedeva un carattere più tranquillo del tenente
colonnello in pensione Johnny Stirland. Sbarcato a Thabeikyin, in
Birmania, aveva abbandonato il fiume proseguendo oltre le montagne
attraverso la giungla, fino alle miniere di rubini di Mogok, per il semplice
e romantico desiderio di acquistare una pietra preziosa per una donna. Ora,
in quel luogo remoto, dopo appena sei ore di permanenza, gli accadde il
primo incidente strano, il primo di una lunga serie, che sarebbe poi
continuata attraverso l'oceano, per terminare nelle luminose e febbrili
metropoli moderne.
Giunse alla "Casa dei Viaggiatori", situata sul declivio al disopra della
città, verso mezzogiorno, consumò la sua colazione, e poi, con un sigaro di
Birmania in bocca, si distese su una poltrona a sdraio per godersi una
tranquilla siesta. Era invece destino che non dovesse aver pace.
Come se fossero usciti di sottoterra, piombarono a un tratto nella
veranda tre indigeni, i quali si accoccolarono ai suoi piedi, e gli
presentarono dei vassoi carichi di piccole pietre: schegge di zaffiri e di
rubini, frammenti di ametiste e topazi, tormaline quasi invisibili; i rifiuti
delle miniere di rubini.
Stirland rifiutò le loro offerte, dapprima cortesemente, e poi con
violenza, ma essi non si dettero per vinti; l'ostinazione era la loro vera
mercanzia; si limitarono quindi a ritirarsi nel giardino, dove si
acquattarono uno di fianco all'altro, pazienti come corvi intorno a una
vittima non ancora morta.
Stirland richiuse gli occhi, ma ecco che di nuovo si udì stridere il
chiavistello del cancello posto all'estremo limite del giardino, e un ufficiale
in uniforme, robusto nella persona, con un viso inespressivo e due baffetti
impertinenti, s'incamminò per il sentiero che si snodava tra le ben tenute
aiuole di fiori, sali i gradini che conducevano alla veranda e salutò.
— Vi chiedo scusa di presentarmi da me, signore — disse scandendo le
parole — sono il capitano Thorne, soprintendente di polizia del distretto.
Il colonnello Stirland si alzò, aggrottando le ciglia. Presagiva una
seccatura.
— È molto gentile da parte vostra essere venuto a trovarmi — disse. —
Volete accomodarvi... benché a dire il vero il padrone di casa siate
piuttosto voi che io, qui.
— Affatto — disse il capitano, che tuttavia sedette. Seguì un silenzio
interrotto da Stirland che cavò di tasca un portasigarette.
— Posso offrirvene una?
— Vi ringrazio; se permettete fumerò la mia pipa.
Il colonnello represse a stento un sospiro. Incominciò a calcolare quante
sigarette si potevano fumare per ogni pipata; una intanto, certamente,
mentre la pipa veniva riempita e accesa. Il capitano Thorne non contava
più di trentacinque anni, ma aveva i movimenti lenti e accurati dei vecchi.
— Siete passato per Bhamo due giorni fa — disse alla fine.
— Ho attraversato le colline di Yunnan — rispose Stirland.
I due uomini tornarono silenziosi. Thorne si mise a guardare il giardino.
La responsabilità gli gravava le spalle come uno zaino — anche Stirland se
ne poteva accorgere — come uno zaino portato da un uomo in pieno
assetto di marcia. Volse lentamente lo sguardo dal giardino e portandolo
sul viso di Stirland, tentò nuovamente.
— Avete percorsa a piedi la Cina per due mesi.
— È vero.
— Lo avete raccontato ad un mio collega di Bhamo.
— Infatti.
— Molto tempo fa.
— Non credo di aver fatto nulla di male — rispose Stirland in tono
blando.
— No certamente — fece Thorne con serietà.
Tacquero di nuovo e di nuovo gli occhi di Thorne si volsero verso il
giardino, mentre egli rimuginava altre domande difficili, senza che nulla
trasparisse dal suo viso. Per lui, tutte le questioni erano difficili e andavano
affrontate con circospezione. Era venuto da Stirland perché aveva bisogno
del suo aiuto, ma non era nel suo carattere di aprirsi prima di aver
sottoposto l'altro a un vero processo.
— Andavate a caccia? — gli chiese.
— Quando mi capitava. Avevo infatti con me un fucile e un Mannlicher
da caccia.
Thorne evidentemente era deluso.
— Forse il vostro scopo era di fare dei rilievi topografici?
— Ne ho fatto qualcuno per mio piacere — rispose Stirland — ma senza
nessun incarico.
Il sovrintendente era completamente avvilito; ma volle tentare ancora
un'ultima domanda, per accertarsi definitivamente che quello non era
l'uomo di cui aveva bisogno.
Fischiettò un poco, sdraiato sulla sua poltrona, e poi azzardò:
— Colonnello Stirland, mi perdonereste una domanda forse indiscreta?
Il colonnello Stirland fissò con occhi freddi ed acuti il suo ospite
imbarazzato e rispose con calma:
— Difficilmente.
— Eppure ve la farò egualmente — disse l'altro con ostinazione. — Non
è in certo qual modo una pazzia che un uomo giovane come voi, nella
vostra posizione sociale, col vostro aspetto, indubbiamente ricco, che può
godere di tutti i piaceri che la fine della guerra gli ha messo a portata di
mano, se ne vada in giro per il mondo a piedi, con uno o due servi indigeni
e con una scorta che anche un mercantuccio birmano disprezzerebbe?
La domanda era infatti indiscreta, ma venne fatta senza nessuna cattiva
intenzione. Thorne si era espresso in tono timido e diffidente; pure il viso
abbronzato di Stirland si fece di fiamma.


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