La sera del 2 aprile, alle otto e tre quarti, c'era pochissima gente sullapiattaforma n. 21 della stazione di Liverpool Street, forse perché talepiattaforma è la più fuori di mano e la meno frequentata di quella stazionecapolinea. Peraltro il primo capostazione era lì presente con un ispettore diservizio. Un uomo bruno, con un lungo soprabito da viaggio e un cappellofloscio e con una valigetta a mano di pelle marrone, sulla quale spiccava inlettere nere il nome di John P. Dunster, se ne stava a pochi passi didistanza, fumando un sigaro e apparentemente assorto nella lettura deinumerosi avvisi che decoravano la parete sudicia dall'altro lato diquell'unico binario. Sopra un carrello carico di una sola valigia, stavanoseduti due facchini. Nessun altro viaggiatore era in vista, nessun bagaglio.Infatti, secondo l'orario, per parecchio tempo nessun treno doveva partire oarrivare su quella linea. Giù, all'altra estremità della piattaforma, la sbarradi legno veniva aperta e un altro facchino si avvicinava, trascinandorumorosamente un carrello su cui erano caricate alcune valigie. Dietro ilcarrello veniva un giovanotto alto, vestito di grigio e col cappello di paglia.L'ispettore lo osservò con curiosità.— Direi che ha sbagliato strada — disse. Il capostazione assentì.— Mi pare quel giovanotto che ha perso il treno in coincidenza con lanave — osservò. — Forse viene qui a chiedere chiarimenti.Il giovanotto in questione si avvicinava rapidamente. Aveva le manisprofondate nelle tasche e la fronte corrugata. Quando fu a pochi passi,notata la figura del signor John Dunster, fece un cenno al facchino diattenderlo, e, attraversata la piattaforma, gli si accostò, dicendogli:— Permette che le dica una parola, signore?John Dunster si volse a guardare il suo interlocutore. Si volse senzafretta, anzi con una certa calma che pareva deliberata, e il suo sguardoimprovvisamente brillò di una vivacità penetrante. Era ben vestito, conl'accuratezza che caratterizza di solito i viaggiatori americani. Di etàapparentemente giovane, completamente sbarbato, con delle larghe spalle,aveva un aspetto forte e vigoroso, di uomo energico, pieno di vita, pronto atutto e disposto a tutto.— Lei è il signor John Dunster? — chiese il giovanotto.— C'è qui il mio biglietto da visita, signore — rispose l'altro, facendodondolare la valigetta. — Il mio nome è infatti John Dunster.L'espressione del giovanotto non era molto simpatica. Alla sua aria dimusoneria si aggiungeva ora il nervosismo di chi si accinge a un'impresaingrata.— Se permette, vorrei chiederle un favore — continuò. — Se non puòfarmelo, la prego di dirmelo senz'altro e me ne andrò subito. Sono direttoall'Aja e avrei dovuto prendere il treno in coincidenza con la nave, partitamezz'ora fa. Avevo già fissato il posto e mi avevano assicurato che il trenonon si sarebbe mosso prima di dieci minuti buoni, dovendo attendere ilcarico postale . Scesi sulla piattaforma per comperare dei giornali e mifermai a discorrere con un amico. O mi sono fermato più a lungo di quantopensassi, o hanno fatto più presto di quanto credessero a caricare la posta,fatto sta che quando tornai il treno era già in moto. E non mi permisero disaltare nel vagone come avrei potuto fare benissimo, se quello stupidoispettore non fosse stato là a trattenermi.— Sono molto severi in questo paese, lo so — ammise Dunster, senzamutare espressione. — Continui pure, la prego.— Ho notato che anche lei è arrivato in ritardo. Mentre stavoprotestando con l'ispettore, ho sentito che lei parlava con il capostazione.Poi mi sono informato e ho saputo che ha ordinato un treno speciale perHarwich.John Dunster non rispose, ma i suoi occhi intelligenti e penetrantiscrutavano quel giovanotto dall'aspetto immusonito ma apparentementeinnocuo.— Sono entrato nell'ufficio del capostazione — continuò costui —sperando di persuaderlo a lasciarmi salire col personale del suo treno, mami hanno fatto un mondo di difficoltà; quindi ho pensato che fosse megliovenire direttamente da lei. Mi permette di salire nel suo scompartimento oin qualunque altro posto del suo treno, fino ad Harwich?Dunster lì per lì evitò di rispondere direttamente. Aveva l'aria di chi, cono senza ragione, trova sgradevole la domanda che gli viene rivolta.— Le preme molto fare la traversata stanotte? — domandò.— Moltissimo — ammise il giovane con calore. — Non avrei davverodovuto perdere il treno. Devo essere all'Aja domani.John Dunster si girò lievemente.— Di quale natura sono gli affari urgenti che la chiamano all'Aja? —chiese.Il giovane esitò.— Temo — disse in tono acre — che lei forse non li troverà di moltaimportanza. Devo prendere parte alle gare di golf.— Gare di golf all'Aja? — ripeté Dunster con tono leggermente mutato.— Come si chiama lei?— Gerald Fentolin.Dunster rimase un momento perplesso. Egli possedeva una straordinariamemoria e in quel momento si accorse di ricorrere a essa con un certosforzo. Fentolin! Quel nome gli rievocava vagamente qualche cosa da cuidoveva guardarsi. Con la fronte aggrottata rimase pensoso senza trovarerisposta. Poi, tutto a un tratto sorrise, e mettendosi sotto la luce di unfanale, spiegò un giornale che teneva in tasca e lo sfogliò, finché trovò lacronaca sportiva. Là, in uno dei primi articoli, vide il nome che pochiistanti prima aveva attirato per caso il suo sguardo.
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