martedì 20 agosto 2024

MONDADORI n. 3 - Robert Louis Stevenson: Il club dei suicidi


Durante la sua permanenza a Londra, il raffinato principe Florizel di Boemia conquistò l’affetto di persone d’ogni categoria, grazie ai modi seducenti e a un’oculata generosità. Da quanto si sapeva di lui, che era solo una piccola parte delle sue azioni effettive, risultava essere uomo d’eccezione. In normali circostanze di temperamento tranquillo, e avvezzo a prendere il mondo con la filosofia d’un campagnolo, il principe di Boemia mostrava tuttavia la sua propensione per un regime di vita più avventuroso ed eccentrico di quello al quale la sua nascita l’aveva destinato. Di tanto in tanto, se era giù di tono, se nessun teatro londinese dava una commedia divertente e se la stagione rendeva impraticabili quegli sport all’aperto, dove primeggiava su qualsiasi rivale, chiamava a rapporto il suo confidente e Grande Scudiero, colonnello Geraldine, ordinandogli di tenersi pronto per una battuta serale. Il Grande Scudiero era un giovane ufficiale dal carattere gagliardo, temerario persino. Salutava la novità con gioia e s’affrettava a prepararsi. La continua pratica e le multiformi esperienze di vita gli avevano dato una singolare destrezza nel travestimento; poteva conformare non solo il volto e il portamento ma la voce e quasi i pensieri a quelli di gente d’ogni rango, carattere o Paese; in tal modo distoglieva l’attenzione dal principe e talvolta otteneva per entrambi l’ammissione in singolari compagnie. Le autorità civili non penetrarono mai nei segreti di queste avventure; l’imperturbabile coraggio dell’uno e la rapidità inventiva e la cavalleresca devozione dell’altro li avevano salvati da una serie di pericolose situazioni; e col passare del tempo, la loro fiducia reciproca via via cresceva.
Una sera di marzo, una raffica tagliente di nevischio li condusse dentro una rivenditoria di ostriche nelle immediate vicinanze di Leicester Square. Il colonnello Geraldine era vestito e truccato per impersonare un esponente del mondo della stampa in ristrettezze economiche; quanto al principe, aveva, come al solito, camuffato il suo aspetto con l’aggiunta d’un paio di sopracciglioni appiccicati con la colla e di falsi mustacchi. Questi gli conferivano un’aria ispida e come stazzonata dalle intemperie, il che, per una persona della sua grazia, rappresentava il più impenetrabile dei travestimenti. Così equipaggiati, il condottiero e il suo seguito centellinarono il loro brandy e soda con tranquillità.
Il locale era pieno di avventori, uomini e donne; ma, sebbene più d’uno si mostrasse incline ad attaccar discorso coi nostri temerari, nessuno prometteva di risultare interessante a una conoscenza meno superficiale. Non c’erano che la feccia di Londra e tutta la risaputa gamma della volgarità; il principe s’era già abbandonato a uno sbadiglio e aveva cominciato ad annoiarsi dell’intera faccenda, quando i battenti della porta a molla vennero aperti con una spinta violenta e nella rivendita entrò un giovanotto, seguito da una coppia di commessi. Ciascun commesso portava un grande vassoio di paste alla crema, sotto un coperchio che tolse subito; e il giovanotto fece il giro della compagnia, insistendo con esagerata gentilezza che tutti accettassero quei pasticcini. Talora la sua offerta era accolta con allegria, talaltra rifiutata con risolutezza, o persino bruscamente. In questo secondo caso, il nuovo venuto si mangiava la sua pasta, in mezzo a commenti più o meno frizzanti.
Finalmente, si accostò al principe Florizel. — Signore — disse con un profondo inchino, porgendo al medesimo tempo la pasta con l’indice e il pollice, — volete far onore a una persona che vi è del tutto estranea? Posso rispondere della qualità della pasticceria, dato che ne ho mangiate due dozzine più tre dalle cinque fino adesso.
— È nella mia natura — replicò il principe, — guardare non tanto alla natura del dono quanto allo spirito con cui è fatto.
— Lo spirito, signore — ribatté il giovanotto con un altro inchino, — è di scherno.
— Scherno! — ripeté Florizel. — E chi vi proponete di schernire?
— Non sono qui per esporre la mia filosofia — rispose l’altro, — ma per distribuire queste paste alla crema. Se vi dico che nel ridicolo della faccenda includo di tutto cuore me stesso, spero consideriate salve le ragioni dell’onore e vogliate compiacermi. Altrimenti, mi costringerete a mangiarmi la ventottesima, e confesso d’essere stanco di questo esercizio.
 

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