Franco Alfano (Napoli, 8 marzo 1875 – Sanremo, 27 ottobre 1954) può essere considerato come uno degli ultimi rappresentanti della scuola verista italiana ed ebbe i suoi maggiori successi in campo teatrale, dove attenuò progressivamente l'enfasi verista per giungere a composizioni più meditate e complesse.
Il suo nome è tra l'altro legato al completamento, nel 1925-1926, dell'opera Turandot, rimasta incompiuta alla morte di Puccini.
Compositore attento alle novità musicali europee (Debussy e gli impressionisti francesi, Ravel, Strauss, Puccini), nelle sue opere dimostrò di avere ottime capacità di orchestrazione e inventività melodica fluente, qualità riconoscibili nelle sue opere più importanti, cioè Risurrezione, in cui si riflettevano la poetica e il carattere musicale del teatro "verista" e La leggenda di Sakuntala, il suo capolavoro, caratterizzato da una strumentazione scintillante ed estremamente raffinata, che avvolge in modo suggestivo un libretto di grande qualità poetica (aspetto, questo, che si ritrova in tutta la sua produzione operistica); tuttavia anche le opere meno conosciute hanno una certa importanza, perlomeno per la cura della veste strumentale, gli impasti coloristici e timbrici e la larga cantabilità.
La Seconda sinfonia, in do maggiore, fu eseguita la prima volta a Roma, all'Augusteo, sotto la direzione di B. Molinari, nel 1933. «Le opere strumentali dell'Alfano» dice il Della Corte (Ritratto di Franco Alfano, Paravia) «sono interamente sue e musicali», e questa della sinfonia «non è musica polemica né d'avanguardia né di ritorni. Non è musica alla moda; non porta maschera antica, né belletto moderno. Ed è musica d'oggi».
«L'Allegro vivo sembra cantare l'urgenza della vita, il vorticoso vento che rapisce e trascina, la vicenda or lieta or triste degli eventi, che il saggio, il probo, domina con la volontà e accetta o allontana o subisce. Nel corso della ripresa due misure d'Andante, breve parentesi nel corso delle veloci visioni, presentano la cellula d'un pensiero che più tardi gioverà. Il Largo è la meditazione di chi, in mezzo la via, ripensi al passato, scruti l'avvenire, interroghi il proprio cuore. Il peso degli eventi non è lieve, ma lo scoramento, appena si accenni, è fugato dall'ideale costante. Quasi un monologo, nel quale confluiscono immagini lontane e sempre care, nostalgie e speranze».
L'ultima parte afferma la «vittoria dell'anima » ed è «un canto di letizia: ma canto umano e dunque non di solitudine. Attorno a colui che ha creduto, lottato, vinto, s'affolla l'umanità ammirata e partecipe alla vittoria... Improvvisamente, nello sfolgorio del trionfo, il pensiero ricorre a un'ora ormai lontana. La cellula dell'Andante del primo tempo germina riflessioni. Un monito risuona quasi religiosamente. Più vivida la gioia inebbria poi le anime. Quasi un lieve ritmo di danza, agile e rapido, conduce alla trionfale conclusione del dramma e dell'opera».
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