giovedì 25 luglio 2024

Davide De Nicolao: L'agente Scotty


I

Aspettavo da quattro ore – quattro lunghissime ore, se fossi rimasto sveglio – ma mi appisolai e non sentii la porta che si apriva. Quello che mi svegliò fu l’inconfondibile odore di una Marlboro che bruciava.
Mi alzai dalla poltrona dove avevo dormito sino a pochi attimi prima, bevvi un lungo sorso di rum per farmi coraggio e mi incamminai verso l’altra stanza. Entrai con una certa prudenza, come si addice a uno del mio ramo, e notai la giacca appoggiata alla spalliera del letto e ordinatamente ripiegata. Dalla parte destra del letto.
La sigaretta si consumava lentamente nel posacenere. Prima quel posacenere era appartenuto a una camera d’albergo; ora era di mia proprietà come l’asciugamano del bagno e tante altre piccole cose sparse qua e là.
Cosa ci faceva la giacca a destra quando la puttana – be’, sì, stavo aspettando proprio una puttana – sapeva bene di doverla mettere a sinistra?
E poi lei dov’era? Avrebbe già dovuto essere nuda sul letto con un programma abbastanza interessante da farsi perdonare le quattro ore di ritardo. Sì, doveva proprio essere un servizio speciale e al solito prezzo.
I miei vizi me li pagavo. Tutti. Le sigarette, il rum e quindi anche le donne. Rapporti sessualmente eccellenti e nessuna grana.
Comunque anche le ragazze con il bollino del prezzo sanno parlare; almeno questa lo sapeva. Qualche volta la facevo venire da me soltanto per parlarle di qualche mio problema e lei sapeva sempre darmi i consigli più azzeccati.
La cicca aveva ormai vissuto la sua corta vita. Mi avviai verso la sigaretta per spegnerla e quando alzai il capo (il portacenere lo tengo a terra) vidi – riflessa dallo specchio del bagno – la mia pistola.
Quand’ero in casa tenevo la mia dolce metà nell’armadietto dei medicinali.
Non mi era mai, fortunatamente, capitato che mi si impedisse, come ultima cosa, di farmela addosso in pace e nessuno aveva mai avuto il tempo di raccontarlo in giro, né di usare il bagno dopo di me.
La mia automatica stava ora nelle mani di Violetta. In poche parole la puttana sembrava estasiata a vedere un oggetto che poteva benissimo essere considerato fallico.
Mi avventurai lentamente nella stanza; una femmina con una pistola in mano
è pericolosa come un alcolizzato al volante di una Porches. Appena mi vide aprì le mani come a dire “non volevo” e l’arma iniziò a cadere. Certe scene si vivono al rallentatore. Mi tuffai a terra come un giocatore di baseball nell’ultima partita di campionato, quando deve salvare la squadra dalla retrocessione, allungai le mani e la presa mi salvò dal passaggio di categoria.
Passai una tra le notti più indimenticabili della mia vita. La mattina lei se ne andò dimenticando i soldi sul tavolo.
E quella fu l’ultima volta che la vidi, dieci anni fa.

II

Dovevo pensarci prima di aprire che alle due di notte – anzi erano quasi le tre – non poteva che essere la mia dolce Violetta. Dopo dieci anni. Era da allora che non pagavo più una donna per la semplice ragione che andare a letto con le altre – sapendo che nessuna poteva essere come Violetta – mi faceva passare la voglia.
Da tre anni ero ufficialmente in pensione anticipata dopo un fiasco clamoroso. Avevo solo quarantotto anni e da quello che si diceva nell’ambiente mi scolavo tanto rum da fare invidia a ogni giamaicano.

In realtà, lo sapevo bene, all’età pensionabile non ci sarei mai arrivato anche se la mia rete viaggiava sempre perfetta.. In quanto al bere mi ero convinto a diluire il bicchiere serale con della cola. In poche parole ero un travestito, se si può usare il termine nel mio caso.
Lei si accomodò nella solita poltrona, mentre io cominciavo a recitare la solita commedia. Mi versai una dose esageratamente abbondante di quel nettare ch’ero ormai ridotto a bere solo quando avevo visite.
L’appartamento – per tenerlo in un disordine costante – era diviso in due: la zona visibile, un caos da far pensare ci fossero passati un paio di sbirri alla ricerca di un tesoro perduto e che non avevano poi trovato, e la parte per così dire operativa alla quale si accedeva attraverso il classico finto armadio. Due stanze lindissime con tutti i comforts per i quali erano state costruite.
Che il tempo passa per tutti è una grande verità. Riempii un bicchiere anche a lei (a noi etilici non piace bere soli) e glielo porsi facendole cadere addosso un po’ di liquore. Ormai recitavo molto bene. Noi agenti dovevamo essere grandi attori per restare in vita; sbagliare una semplice battuta ci sarebbe stato fatale.
Mi guardò – era molto espressiva – e intanto probabilmente pensava che era proprio vero quello che si diceva in giro. Non mi piacevano le visite di compassione (lei lo sapeva) quindi se si era fatta viva alle tre del mattino, dopo un secolo, aveva bisogno di qualcosa. Fossero stati soldi – avanzava ancora l’ultima prestazione – gliene avrei dati accumulandoci sopra pure gli interessi. Se era la notte che voleva passare al caldo non avrei avuto problemi ad accontentarla. Chiaro, però, più di un giorno era escluso o alcolizzato ci sarei diventato per davvero.
Ci accendemmo una sigaretta. Lei aspirò profondamente e mi disse:
«Caro mio, devo raccontarti una storia» si interruppe per bere un sorso «e credo che non ti piacerà».
In realtà – all’epoca in cui la pagavo – ero l’unico a farlo per quel tipo di prestazioni. La sua vera professione, difficile a credersi, era meno onorata e rispettabile del più antico dei mestieri.
Facendola breve era un agente del nostro Ufficio che aveva l’incarico di rassicurarlo sulla nostra lealtà. Puttana. Era proprio la peggior puttana che avessi mai incontrato che magari a letto ci godeva pure. Ma intanto con i soldi che le passava l’Ufficio se la spassava nei posti più “in”.
Bene, sapevo tutto o almeno quello che lei – o forse il suo Dipartimento – volevano che sapessi.
Il mio cervello lavorava in fretta. C’erano due possibilità: era venuta di sua volontà credendomi finito o l’avevano mandata in missione nella tana del lupo, per convincere gli altri della mia estraneità riguardo all’Agenzia.
La commedia doveva continuare in tutti i casi, ma le risposte avrebbero potuto assumere un’importanza vitale. Bere e rimanere lucido, questo era il vero problema; ma le sue domande anche se abilmente mascherate mi avrebbero detto in che veste veniva.
E poi era reale il suo impiego nella sicurezza interna o lavorava per qualche servizio straniero?
La recita ebbe inizio:
«Vedi come sono ridotto» vuotai il bicchiere «cosa vuoi che ti dica».
Accesi un’altra sigaretta con il mozzicone della prima e continuai:
«Credevo fossi diversa dalle altre puttane. Infatti lo sei, ma non nel senso che mi faceva piacere credere». Violetta – se quello era veramente il suo nome – mi fissava mentre mi asciugavo gli occhi e mi riempivo il bicchiere. Andai avanti così per mezz’ora. Lei ascoltava interessata, faceva domande alle quali si potevano dare più significati e io rispondevo prendendole dal lato superficiale.
Poi chiese del bagno.
Un lampo mi riportò alla quarantacinque che tenevo fra i medicinali. Ora non era più là. Vedevo le cose da un’altra angolazione; non più la “venti dollari” impaurita, ma una persona che trovata la conferma a ciò che deve scoprire si defila velocemente.
Andai nell’angolo cucina della stanza e mi liberai dell’alcool ingurgitato.
Avevo fatto un passo avanti. Poteva essere del KGB o della CIA o di chissà chi ma – potevo scommetterci – non era in visita di cortesia.
Tardava a uscire dal bagno. Era da troppo tempo là dentro. Stavo pensando se fosse il caso di andare a vedere quando riapparve. Non portava più la camicetta e nemmeno la gonna. L’unico indumento che ancora indossava erano le mutandine. Sì, il tempo passa per tutti. Oggi aveva solo trentatré anni e mi accorsi che invece per lei il tempo pareva essersi fermato. Il suo seno era rimasto il migliore in assoluto che avessi mai visto.
Si avvicinò lentamente, mi prese per mano e mi condusse allo stesso letto di tanti secoli prima. Perché lo facesse non mi interessò; le occasioni si devono saper cogliere.
Quando la mattina – dopo avermi preparato la colazione – se ne andò, io filai dritto nel mio ufficio segreto.
Ascoltai le telefonate della notte, misi all’opera il computer collegato alla Centrale e lavorai l’intero giorno alla ricerca di una inesistente Violetta.
Cioè, non era nel nostro libro paga, come avevo già previsto, ma risultava pure estranea all’elenco di agenti esteri a noi noti e lasciati liberi di lavorare. La sua posizione non risultava in nessuno degli affari conosciuti.
Parlandoci francamente un vero e proprio oggetto misterioso.
Per l’Agenzia non era mai esistita una spia di nome Violetta, né da una parte né dall’altra.
La mia solita fantasia. La mia solita fantasia oppure – come penserebbe di certo il mio capo – sempre e solo paranoia.

III

Erano le sei e faceva già buio quando uscii con i soldi contati, giusti giusti, per pagarmi i vizi che mi erano rimasti. Il conto alla rovescia era ormai iniziato; ieri tre, oggi due, domani chissà.
Vidi una Opel – sull’altro lato della strada – con a bordo i soliti indifferentissimi due amici; quelli con il binocolo in mano che credono ancora di passare per ornitologi.
Il dubbio atroce su chi fra me e la donna alla fermata del torpedone fosse la preda designata sconvolgeva la mia mente. Ma intanto ridevo fra me.
Dalla bottiglia, nascosta nel solito cartoccio, ingoiai una lunga sorsata, tanto per non smentirmi, poi attraversai la strada.
Tom e Jerry si voltarono a guardarmi oltre il lunotto. Mentre barcollavo misi la mano nel sacchetto, come per afferrare nuovamente la bottiglia. Tom accese il motore, io estrassi la pistola. Quel che accadde in seguito fu fulmineo; l’auto invertì la direzione e puntò, a piena velocità, verso la donna. Rimasi un attimo a guardare mentre l’Ascona filava sparata contro la poveretta paralizzata dallo spavento.
Senza aspettare oltre esplosi cinque colpi in rapida successione; il primo centrò il pneumatico anteriore facendo sbandare la vettura, altri due colpirono la carrozzeria, i rimanenti ammazzarono la donna.

IV

Fu questo il motivo per cui – tre anni addietro – mi mandarono in pensione anticipata. Nessuno venne mai a sapere che Mary, la morta, era un agente e che si era trattato di una semplice rappresentazione tutta a suo uso e consumo. La fantasia mi aveva riportato a quel giorno: il giorno dell’esecuzione. Per certi lavori di solito si usano degli esterni, quella volta però si era deciso che la macchina sarebbe stata condotta da due esterni mentre il lavoro finale toccava al bravo Scotty.
Al corrente della missione eravamo dunque in pochi: io, Tom, Jerry, il Direttore e buon ultima Mary. Lei solo in parte ovviamente, ché da brava indipendente (si era scoperto) lavorava per troppe “case” con un inevitabile conflitto di interessi.
Ci eravamo accordati, io e Mary, per un normale passaggio di informazioni seguendo le nostre abitudini, così quella sera sino alla fine avrà pensato: “Chissà chi ci ha venduti, fortuna che c’è Scotty”.
Per me – come d’altronde per lei – non andò come previsto. Passai da un’inchiesta all’altra, dissero che il troppo lavoro mi aveva esaurito, che non ero più affidabile.
Il Direttore, alle udienze, negò l’esistenza della missione, negò ancor più fermamente di aver usato agenti indipendenti per questa o altre missioni e lasciò che affondassi da solo. Qualche mese dopo il Capo mi chiamò nel suo ufficio, si scusò spiegandomi la solita storia – la sicurezza interna prima di tutto – e mi offrì di lavorare agli archivi. Naturalmente nella tranquillità di casa mia.
E anche Scotty era sistemato.
Ma usare il terminale mi era stato fatale.
Per vendetta passavo le informazioni dall’altra parte e subito riapparve
Violetta.

V

Rimisi la pistola tra i medicinali, dopo averle apportato delle essenziali modifiche, e aspettando mi scolai una bottiglia del mio preferito ascoltando un po’ di musica e fumando serenamente.
Quando la udii salire le scale ingoiai la capsula e crollai.

VI

Lei entrò nell’appartamento, pensò che lui sbronzo stesse dormendo, andò nel bagno, prese l’arma e tornò nella stanza. Mentre premeva il grilletto non provava nessuna particolare emozione.
Quasi non si rese conto di morire quando la pistola le esplose in volto.

 

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