«Bob (n.d.r. Fabio Rossi), sicuro che sia una buona idea? Fai ancora in tempo ad andartene.»
«Mai stato più sicuro di una cosa in vita mia, Cisco.»
Bob fece un altro lungo tiro e poi si girò a guardare la lunga fila alle loro spalle, fissando un paio di ragazze a poca distanza.
«Dovevo esserci io con lei,» disse «era il mio destino.»
«Eh?»
Bob indicò le borse che le due ragazze avevano a tracolla, di colore diverso ma della stessa marca.
«Lo sai, no, di me e di Mary.»
«Sono anni che me lo ripeti ogni cinque minuti: te e Mary, Mary e te. Capisco che essendo una influencer e avendo ora anche una linea di moda ti ritrovi sempre il suo nome sotto gli occhi, ma lo sai che a me non sembrava poi che…»
«Tutto è collegato a un preciso singolo momento» lo interruppe Bob con il solito sguardo perso «ho fatto un solo unico piccolo errore e la mia vita Zac! Ha cambiato il suo corso. Ora tutti mi vedono così: single, affascinante e carismatico. Ma in fondo sono un povero operaio in cassa. Avevo un ben altro destino davanti a me…»
«Vabbè, anche questo lo dici di continuo...»
«Non solo sarei dovuto essere con Mary» lo interruppe ancora Bob alzando la voce «ma dovevo anche diventare ricco e famoso. Il più famoso rapper del mondo.»
«Famoso come Eminem?»
«Ma che dici? Di più! Più anche di Jovanotti!»
Prima che Cisco avesse finito di scuotere la testa, le persone davanti a loro furono fatte entrare e una guardia fece loro cenno di avvicinarsi.
«Lei è il signor Fabio Rossi?» chiese dopo avere consultato un tablet.
«Preciso» rispose Bob gettando la cicca per terra.
«Ok, allora firmi qui e si accomodi. La chiameranno per la selezione entro dieci minuti.»
Quando Fabio fu entrato l’uomo si girò verso Francesco e gli chiese: «Anche lei è qui per la selezione?»
«Ma scherza?» rispose Cisco «VOLONTARIO per provare una macchina del tempo? Non sono mica idiota, io!»
Dopo la breve anticamera, Fabio fu accompagnato in una stanza senza finestre, con un tavolo bianco posto davanti a un enorme specchio. Lì un uomo lo invitò a sedersi, prima di sistemarsi davanti a lui.
«Ehi, sembra la stanza degli interrogatori nei film americani!» disse Bob guardando il proprio riflesso e passandosi la mano nei capelli.
«Un commento davvero originale.»
«Beh, sono fatto così, noto le cose. Sono un artista, sa? Ah, bello il logo sullo specchio. Mi sembra di averlo già visto.»
«È il logo della nostra ditta. C’è ovunque. Anche, gigante, all’entrata.»
«Io magari lo farei giallo. E di una forma diversa. Ma non è male. Ma... è lei il signor Rovelli?»
«No, io sono il dottor Liguori, il direttore tecnico del progetto. Ma è come se stesse parlando con lui, perché il signor Rovelli sta assistendo a questo colloquio dalla stanza qui dietro. Di norma non si mostra in pubblico.»
«Lo chiedevo perché lei non sembrava proprio un riccone. Senza offesa.»
«Si figuri, detto da uno come lei poi. Ah, ho letto il suo ‘curriculum’» disse sventolando un foglio a quadretti con solo due righe scritte a mano «quindi lei non ha fatto nulla nella vita?»
«Come?»
«Non vedo lauree o dottorati. Operaio da quando ha finito le superiori.»
«Lauree? Roba inutile. La mia scuola è la strada.»
«Ah... questo spiega gli errori in queste poche frasi... mi scusa un secondo?» disse premendo sull’auricolare e girando appena la testa «Signor Rovelli, ma è sicuro che non vuole che lo cacci via subito?»
«Guardi che la sento»
«Certo ma… vede, lei da lì non se ne accorge» continuò il dottore «ma questo oltre a essere sporco, puzza!»
«Oh!» protestò Fabio, prima di alzare un braccio e annusarsi.
«Va bene. No, si figuri, il capo è lei.»
«Giusto per sapere» riprese guardando di nuovo Fabio «lei ha capito cosa facciamo qui?»
«Certo! Ho il dépliant, vede? Rovelli Industry, inventata macchina del tempo, cerca volontari per il primo viaggio sperimentale, blablabla.»
«Blablabla?»
«Sì, cioè, c’è scritto un sacco di roba strana, inutile.»
«Inutile?»
«Lo so che siete abituati a lavorare con stupidi cervelloni che non sanno neanche allacciarsi le scarpe. Ma io sono diverso: sono nato pronto!»
«Quindi da un lato ho uno come lei, nato pronto, dall’altro candidati che sono ricercatori storici. E devo scegliere qualcuno per un viaggio nel tempo. Un bel dilemma in effetti.»
«Una scelta facile invece! Perché io conosco la zona e il tempo che ho indicato meglio di loro.»
«Mi faccia vedere cosa ha scritto… ah… oh. Modena, 1995? Può scegliere di viaggiare OVUNQUE e lei ci propone QUI, neanche trent’anni fa?»
«Sono o non sono furbo? Invece di studiare anni un periodo a caso basta andare in un posto che conosco.»
«Una ricerca sui gusti dei bif della gelateria dei Giardini Ducali?»
«Preciso.»
«Mi scusi di nuovo…» disse premendo di nuovo sull’auricolare «Lo caccio eh? Come no? Ma… signor Rovelli a parte il tema assurdo… le implicazioni… i rischi sull’alterazione del continuum. Il paragrafo 3 comma 4.»
Un lungo momento di silenzio e poi riprese «Ah… beh… come vuole.»
L’uomo alzò di nuovo lo sguardo verso Fabio, con una espressione sconsolata.
«Allora, cosa dice il capo? Ho fatto colpo, eh?»
«Aspetti fuori, le faremo sapere a breve.»
«Sarete anche una ditta all’avanguardia, ma questa calcolatrice non fa neanche 2+2» disse Bob, giocando con il dispositivo che gli avevano appena dato, mentre una donna gli metteva sensori sul viso.
«Ma mi ha ascoltato?» sbottò il dottor Liguori, piuttosto provato dalle lunghe ore di training con il soggetto che alla fine Roversi aveva scelto «NON è una calcolatrice! È un apparecchio per l’entanglement spaziotemporale!»
«Guarda» gli disse Bob, tirandolo a sé «‘2+2’. Premo qua. Ed ecco, vede ‘WAIT’. Io non sarò un genio, ma sono abbastanza sicuro che 2+2 fa un numero. Non una parola.»
«Per l’ultima volta: questo è l’apparecchio di tracciamento e comunicazione! Non serve per fare i calcoli! La spediamo nel passato, lei con questo può ricevere e mandare brevi messaggi. E ci serve anche per ritrovarla quando dobbiamo portarla indietro allo scadere dei 32 minuti.»
«Però sembra una calcolatrice.»
«Certo! Lei va nel 1995, serviva qualcosa di adatto ma esistente in quel periodo!»
«Vabbè. Io ve l’ho detto. Poi se vi fregano sul resto non vi lamentate.»
«Questo l’ammazzo» disse Liguori rivolgendosi all’uomo della security prima di avvicinarsi al tavolo con i computer.
«Sensori F operativi» disse uno dei due assistenti, controllando su un visore «Lucia, procedi ora con quelli M.»
«Ehi, non qui davanti a tutti» protestò Bob, mentre la donna cercava di alzare il maglione per completare l’operazione.
«Mi scusi, ma cos’ha lì sotto?» chiese lei quando infine riuscì a sollevare almeno un lato della maglia.
«Oh, niente di importante» le disse Bob, abbassandolo di nuovo «è l’imbottitura del bomber.»
«Ma lei non sta indossando un bomber» obiettò la donna.
Il dottore lo raggiunse e gli alzò completamente il maglione, rivelando una serie di piccoli quadernetti, tenuti insieme con del nastro.
«E questi cosa sono?» gli urlò in faccia strappandoglieli di dosso «I risultati delle partite! I numeri del lotto! Ma lei è un folle! Si ricorda cosa prescrive il regolamento ai paragrafi 7 e 8?»
«Uh. Forse mi sono fermato al punto in cui diceva che ero assicurato» rispose Bob.
«Ora l’ammazzo!» gridò Liguori impugnando una stilografica come se fosse un coltello.
«Si calmi dottore» gli disse Lucia, mettendosi tra lui e Bob «Pietro, Luca, aiutatemi!»
«Calma, che alla sua età poi magari sta male» aggiunse Bob.
Il dottore urlò più forte e tentò un fendente, ma l’uomo della security riuscì a bloccargli il braccio, ricevendo però una testata sul naso.
«Non ce la faccio da solo» gridò Pietro con il naso sanguinante; gli assistenti si avventarono sul dottore bloccandolo e spingendolo fuori dalla stanza.
Appena i tre si furono allontanati, Fabio si alzò dal lettino, si guardò in giro, aprì uno dei tanti manuali di fianco ai visori e si mise a sfogliarlo velocemente. Trovata una pagina con un pezzo bianco, la strappò ci scrisse sopra qualcosa, la ripiegò e se la infilò in bocca.
Quando i due assistenti rientrarono, lui era appena tornato sul lettino.
«Ma si è staccato tutti i fili!» gli disse Lucia sconsolata «Forse facevamo meglio a lasciarlo ammazzare.»
«Mmh» protestò Bob senza aprire la bocca.
«Beh? Non parla più?» chiese Luca, tornando a posizionarsi davanti ai visori.
«Meglio così» disse Lucia.
Una volta che tutto fu pronto, spinsero il lettino dentro al macchinario principale e questo iniziò a vibrare. Luca impostò allora luogo e data, sotto ai grafici apparvero tre pulsanti.
«Ok» disse alla collega «Pronti.»
«Non dovremmo prima lanciare le procedure di diagnostica?» chiese Lucia controllando i suoi appunti.
«Siamo in ritardo. E poi hai sentito, no? È assicurato.»
Senza esitare oltre, premette il pulsante Ok.
Pling
Bob si girò bofonchiando. Perché aveva messo la sveglia, si chiese, se tanto non doveva andare a lavorare?
Pling
Uh, però quella non era la suoneria della sua sveglia.
Pling
La calcolatrice emise ancora un suono e solo allora Fabio aprì gli occhi, rendendosi conto di non essere a letto ma sdraiato per terra, all’interno di un bagno pubblico.
Si alzò ancora confuso, poi all’ennesimo pling guardò il display.
“Confermare avvenuto spostamento temporale.”
“Mamma?” digitò imprecando contro la tastiera numerica che andava usata come un T9, e accorgendosi solo in quel momento di avere in bocca un foglio di carta.
“COME Mamma? Sono il dottor Liguori! Si concentri. 9:50. Dove si trova?”
Mentre la scritta scorreva sul piccolo display Bob iniziò a ricordare.
“Bagno puzzoso” scrisse alzandosi in piedi.
“Bene. Bagno Biblioteca Civica. Ha da ora 30 min per la sua ricerca."
La giornata era limpida ma fredda, Bob, mentre quasi correva per raggiungere la destinazione, guardava con nostalgia vestiti e capigliature delle persone intorno a lui.
Pling
All’altezza della Mutua si fermò un attimo per guardare di nuovo il display.
“Sicuro della direzione? Ha preso Via San Giovanni che è dalla parte opposta.”
“Conosco scorciatoia” digitò “Vai tra’.”
Poi accelerò di nuovo il passo, fino a girare in viale Reiter.
Quando Fabio aprì il portone del suo vecchio liceo esitò prima di mettere piede nell’atrio. Si sentiva euforico ma quel luogo metteva ancora soggezione.
«Ehi, cosa fa qui? Non può entrare!» gridò la voce di Mauro, uno dei bidelli più terribili dell’istituto.
«Ah. Ecco, sto cercando un ragazzo...» balbettò.
«Detto così suona proprio male» gli disse l’altro avvicinandosi «O se ne va subito o la ribalto di sberle.»
«No, intendo, sto cercando uno studente» rispose in fretta «Fabio Rossi.»
Mauro, sentendo il nome, cambiò espressione «Sta cercando Bob Marley? Non sarà mica un poliziotto... ah... aspetti, ora che ci penso ha uno sguardo familiare, l'occhio spento, l’espressione un po’ da... è un parente?»
«Eh… ah… preciso! Sono esattamente un mio parente, io!»
«Mmh... però anche come parente, mica può girare per la scuola.»
«Ma io…»
«Cioè, stia lì che lo cerco. Tanto se non è in bagno, sarà in clas...»
Riing
Il suono più gradito di sempre interruppe la frase, per essere poi seguito da un vociare allegro e da un rumore di passi in avvicinamento.
«La ricreazione!» esclamò Mauro «Cavati, che devo aiutare quelli delle pizzette, altrimenti finisce in rissa come la settimana scorsa.»
«‘gnorsì.»
«Mica muoverti, eh? appena è finito il casino torno.»
«Certo» rispose Fabio, incamminandosi verso la 4E mentre una massa informe di studenti si accalcava verso il centro dell’atrio, inglobando persone e cose.
Mary, bellissima, sensuale e sedicenne, fu la prima cosa che vide quando fu in prossimità dell’aula. La splendida ragazza con cui avrebbe dovuto passare la vita, che l’aveva amato e adorato alla follia, almeno fino alla figuraccia che aveva fatto quella sera.
La ragazza che, uh, in quel momento stava però limonando con la sua nemesi, Giulio.
«Eh» disse, avvicinandosi con decisione, prima di accorgersi di una leggera striscia di fumo. Fermandosi per guardare meglio, vide che usciva da uno degli armadietti.
Il suo.
E si accorse che davanti a questo c’era un folto gruppo di suoi compagni di classe che stava gridando.
«Su canta, Bob!»
«Dai!»
«Ragazzi basta. Lasciatelo uscire» implorava Cisco, tenuto lontano da due ragazze.
La scena gli suonava familiare anche se non riusciva a incastrarla esattamente nei ricordi – eroici ma parecchio confusi – di quel periodo.
«Mi piace il tuo podere così rotondo» gracchiava una voce attraverso le fessure dell’armadietto «da rendere fratellide ogni essere prudente!»
Fabio spostò con fatica i ragazzi che assistevano al concerto improvvisato e aprì l’armadietto. Dentro, rosso in volto, con un mozzicone in mano, vide se stesso, in miniatura.
PLING
«Oh!» borbottò il suo alter ego quando si accorse della sua presenza, ficcandosi la cicca accesa in una tasca.
«Ehi, Bob ha un fratello gemello gigante.»
«DUE nella stessa casa? Da spararsi!»
«Non ho un fratello» disse con la voce impastata Bob uscendo dall’armadietto. Poi, fissando per la prima volta Fabio, gli chiese «O sì?»
«Un secondo che devo controllare la calcolatrice.»
“COSA STA FACENDO? Indicatori fuori scala! Non sarà in prossimità di se stesso VERO? Si è dimenticato il par 1 comma 1, 2, 3 e 4?»
«Non ti muovere!» disse al suo alter ego che si stava allontanando «Abbiamo delle cose da discutere.»
“Massè!” digitò “So anche il comma 5.”
«Non credo, vecchio» gli rispose il ragazzo «Io non ti dico niente. Non ho roba. Se la trovi, non è mia. E comunque non me l’ha venduta nessuno» poi si guardò intorno e aggiunse, indicando il suo amico «Vero, Cisco?»
«Non sono della Digos. Sono qui per dirti delle cose importanti. Ma c’è fretta» rispose Fabio mentre la calcolatrice continuava a plingolare.
«Mmh. Importanti quanto?»
«Vitali!»
«Sì, vabbè. Se non sei della Digos, usiamo una unità di misura dell’importanza più universale, ok?»
«Eh?»
«Importanti, un deca?»
Fabio sorrise e gli rispose «Esatto. Importanti un deca.»
Il bagno in fondo al corridoio era come se lo ricordava. Il luogo per lui più simile a casa, giusto dopo la sua casa. Avrebbe voluto farsi un selfie, o scrivere qualcosa su uno specchio, ma sapeva di avere un compito da svolgere e poco tempo. Anche perché, e la cosa lo stupiva non poco, il suo alter ego più giovane non sembrava il genio che sapeva di essere. Anzi, delle due sembrava proprio un po’ tonto.
«Ma mi ascolti? Hai capito quanto è importante che tu risponda bene alla domanda questa sera? Alla festa giocherete a Trivial. Tu darai la risposta sbagliata e tutti rideranno. Giulio per qualche miracolo sa la risposta giusta e risponderà bene, Mary per questo si innamorerà di lui e da lì partirà il tuo lungo declino.»
«No. Non mi sembra di averlo visto» gli rispose l’altro, continuando a pettinarsi con le mani davanti allo specchio «Tra l’altro dalla trama mi sembra proprio una palla di film, eh.»
«Ma che film! Ma mi ascolti?»
«Preciso. Ma… questo deca lo tiri fuori o no?» gli rispose girandosi «Perché tra poco suona la campanella e io ho il compito in classe di mate. Io lo salterei anche, ma la Zini vedo che poi la prende sul personale.»
«Cosa sta succedendo qui!» gridò un’altra voce a lui nota, spalancando la porta esterna con un calcio.
«La Pivetti!» dissero entrambi i Bob, tremando.
Quello più grande fu il primo però a reagire e spinse il più giovane dentro a un bagno chiudendo la porta alle spalle.
«Tieni!» gli disse infilandogli il biglietto nella tasca dei jeans «È la cosa più importante della tua vita futura! Nascondilo.»
«Ehi! Lascia il ragazzo, pervertito!» tuonò la vicepreside «Prendetelo!»
Anche la porta del bagno si spalancò e due bidelli lo braccarono, allontanandolo dal ragazzino, che, approfittando del fatto che tutti erano impegnati a picchiare l’adulto sotto la partecipata supervisione della Pivetti, riuscì a scappare e a rientrare in classe.
«Tutto bene, Bob?» gli chiese Cisco quando Fabio fu seduto al banco «Non hai fatto il mio nome eh?»
«Scherzi? Mai!» gli rispose Bob, senza neanche girarsi. Visto il casino che era capitato il dubbio che quel foglio umido potesse essere importante gli era venuto, ma non riusciva neanche a capire da che parte guardarlo.
La professoressa di matematica entrò in quel momento e senza salutare disse a tutti di prepararsi per il compito in classe.
«Ai vostri posti. Seduti. Via tutto. Solo foglio e penna sul banco. Ora!»
«Non si capisce nulla» disse Bob tra i denti continuando a ruotare il foglio. Ma stava già iniziando a stufarsi. Se non fosse riuscito a leggerlo, beh, amen, l’avrebbe usato come cartina.
Ma prima di decidere cosa fare, Giulio, dal banco di fianco a lui, gli diede uno scappellotto, gli rubò la pagina e l’alzò in aria.
«Ehi Prof, guardi! Lo scemo qui ha strappato la pagina di un libro per farsi un bigliettino!» gridò.
La Zini, si girò verso di loro, fulminandoli con lo sguardo.
«Tra l’altro ha pure sbagliato materia!» aggiunse Giulio, dopo averlo letto «Si è fatto un biglietto gigante con una sola risposta DI STORIA!»
Tutti iniziarono a ridere, per smettere all’istante quando l’insegnante arrivò davanti a Giulio e gli intimò di fare silenzio.
«Dai qua, Marchi! Un’altra parola e ti caccio dalla classe» disse, strappandogli il foglio dalle mani «Oh… ma questo logo io l’ho già visto… quanto a te Rossi…»
«Mi caccia dalla classe?» rispose Bob, speranzoso.
«Ti piacerebbe eh? Manco per sogno. Tu stai qua e fai il compito come tutti.»
Dopo cena la professoressa aveva ripreso a correggere i compiti e quando il campanello suonò aveva appena finito di assegnare i voti. A parte le solite eccezioni non era poi andato tanto male ed era quindi di buon umore.
«Stai, vado io» disse il marito, andando ad aprire. E dopo poco entrarono in sala sua sorella e il suo nipote preferito.
«Ciao Roberto, sei venuto per le ripetizioni? Dai vieni a dare un bacio alla zia.»
«Certo» disse il ragazzo, avvicinandosi a lei con agilità. Ormai usava le stampelle da un anno e si muoveva anche in casa senza problemi. Lo sguardo desolato della sorella, mentre la vide parlare con il marito, le confermò che non c’erano però novità. Nonostante le visite e le cure, la lesione ai nervi di una gamba del ragazzo causata da un brutto incidente sembrava non lasciare speranze di miglioramento.
«Ah, guarda cosa ho trovato a scuola oggi» gli disse, quando il ragazzo fu seduto davanti a lei, tirando fuori dalla borsa il foglio che aveva sottratto a Giulio.
Roberto guardò quella pagina un po’ perplesso. Era piena di scritte in una lingua che non conosceva, c’erano schemi e diagrammi. E una scritta a penna: ‘Termopili NON termometri’.
«Guarda dall’altro lato.»
Il ragazzo girò il foglio e vide infine il logo.
«Ma…»
«Esatto, è identico al tuo, ma più elaborato, vedi? Le iniziali del protagonista del tuo fumetto di fantascienza sono incapsulate in una cornice.»
«Sì e la parte centrale sembra una sedia…»
«Esatto. Sembra perfetto per la tua opera, no?»
«Sì» rispose raggiante Roberto «e chissà che anche questi grafici non mi diano qualche idea.»
«Come sta?»
«L’abbiamo rattoppato un po’ noi, ma è meglio che quando si è calmato lo portiamo al Policlinico» disse il dottore al signor Rovelli «tanto è assicurato.»
«Lei sembra contento» rispose il capo.
«No, beh, cioè. Da un lato sono dispiaciuto. Il lavoro della sua vita… ha visto questa prima esperienza trasformarsi in una farsa. Sono però contento che non abbiamo fatto danni al continuum nonostante la situazione imprevista.»
«E…»
«E sono contento che questo imbecille si sia preso un sacco di botte.»
«Ah ah.»
«Spero di non averla delusa.»
«No. Abbiamo comunque avuto la dimostrazione che il nostro dispositivo per viaggiare nel tempo funziona. E quello che è successo non è colpa sua.»
«È gentile a dire così. Ma non avrei dovuto perdere il controllo. Forse se…»
Rovelli scosse la testa, azionò la sedia a rotelle e dopo avere girato intorno al tavolo si avvicinò al dottore.
«In certi casi perdere il controllo è comprensibile,» gli rispose sorridendo, appoggiandogli una mano sulla spalla «ma le assicuro che in questo caso è tutto andato esattamente come doveva andare.»
Nessun commento:
Posta un commento