venerdì 19 aprile 2024

Capitolo 11: Lunedì 22 maggio 2017, ore 7.30


La sveglia militare echeggia in tutta la sua potenza nella stanza illuminata da fioca luce. Stefano appoggiato sulle braccia, ancora al tavolo, sta dormendo pesantemente. Ci vuole qualche secondo perché realizzi che è una chiamata sul cellulare... e qualche secondo perché apra gli occhi e lo afferri.
«Ste, dormivi eh? Chi la fa l’aspetti. L’Iside ha riferito che rientra verso le 9 e che lei e Vudi ti attendono per il caffè. Ciao Pulitzer, fa a modo, eh...»
Ora Stefano è lucido, mai stato più lucido di adesso. Sta cominciando a mettere in ordine tutte le tessere del puzzle, ancora qualcuna e il quadro è pronto. Sono appena passate le sette e trenta, raccoglie tutte le carte sparse sul tavolo, poi prende il foglietto con gli appunti, gli dà una rapida occhiata, emette un grugnito e lo infila in una tasca chiusa con cerniera, se dovesse scordare le note, lì è sicuro di non perderlo. E via, verso il Villaggio Giardino, senza passare per il centro, linea diretta, pedalando come un pazzo e, come sempre, evitando le piste ciclabili che rallentano. 
Alle 8.30 è già in postazione, teso come una corda di violino, appostato per il rendez vous con l’Iside.
 

Appena lo vede, Vudi comincia ad abbaiare. Si impunta con le zampe anteriori, si arrotola tutto attorno al filo del guinzaglio tenendolo stretto fra i denti e guarda con occhi inferociti lo straniero. L’Iside non si scompone, infila una mano in tasca, estrae una manciata di crocchette e, tenendo a debita distanza Vudi, le dà a Stefano.

«Dagliene una per volta tenendole fra pollice e indice, tranquillo, non morde.»

E così Stefano fa. Vudi, che ha osservato tutto e sa cosa succederà adesso, ha già smesso la sua pantomima, si è accovacciato a culetto all’aria con coda roteante, zampe anteriori abbassate e muso in punta. Appena Stefano prende con due dita una crocchetta, è già lì, un fulmine. Si erge sulle zampe posteriori, come se fosse in piedi, poi allunga quelle anteriori verso di lui e le frega fra di loro, come per dire dammi il mio boccone, ti prego. Quando le crocchette sono finite, Vudi e Stefano sono amici, adesso si può entrare in casa senza problemi.
Stefano è in cucina a casa dell’Iside, la moka sta gorgogliando, segno che il caffè sta salendo, il profumo è inconfondibile. Vudi girovaga sul pavimento annusando qualsiasi pulviscolo incontri, nella speranza di trovare qualche briciola da ingurgitare. 
«E’ un cane particolare» dice l’Iside «credo abbia uno sdoppiamento della personalità, si crede un pesce rosso, mangerebbe di continuo. Io lo tengo a stecchetto, la sua pappa solo a pranzo, per il resto della giornata rompe le scatole. Ho provato a dargli da mangiare anche la mattina e la sera, ma lui rompeva ugualmente e in più ingrassava. Almeno così resta entro i 5kg.»
«Ma quando siamo venuti la volta scorsa io e Luca, lui non c’era...»
«Lo avevo parcheggiato da Lara che lo adora, così ci avrebbe lasciato chiacchierare in pace.»
L’Iside mette un piattino di biscotti caserecci davanti a Stefano, poi versa il caffè, abbondante. Sul tavolo lo zucchero e il bricco del latte. Stefano versa un po’ di latte nella tazzina, giusto per macchiare il liquido nero, questa notte ne ha abusato abbondantemente, poi prende un biscotto e glielo immerge, lo porta alle labbra, gli dà un morso e chiude gli occhi. 
«Sembrano quelli che faceva la mia nonna, grazie.»
Finiti i convenevoli e la colazione, sempre restando in casa, la cucina per gli anziani, l’Iside dopo aver sparecchiato, si siede anche lei e guarda Stefano interrogativa.
«Iside, guarda, possiamo darci del tu vero? Bene. Allora, ho un paio di cose da verificare, dovrei parlare con coloro che abitano ai primi due piani, ma prima ho una domanda per te, che conosci bene Lara. Come abbiamo saputo i due ragazzi avevano venduto tutto il superfluo, tenendo solo il necessario. So che la polizia ha trovato macchie riferibili a un vaso di fiori sul balcone piccolo, sai di cosa si tratta?»
«Deve essere il segno della miseria, una pianta, di quelle verdone violacee, l’avevo regalata io qualche anno fa a Lara, non avendo bisogno di molta manutenzione speravo le facesse compagnia e un po’ perché mi piaceva una nota di colore in quel balcone così triste. Ma, scusa, quando la polizia è salita su, non c’era?»
«Ecco, vedi, dal referto della polizia risulta che ci fosse solo la macchia calcarea sul pavimento, quindi penso che possa essere voltata di sotto con Giorgio.»
«Ma è impossibile, era posizionata in un angolo a fianco della porta finestra, ben lontana dalla ringhiera. Per volare di sotto bisognava buttarcela.»
E qui Stefano si illumina. L’Iside ha risolto una parte del mistero. Allora le chiede se, per il momento, possono fare un giro in giardino, intanto che viene un buon orario per andare a suonare ad altri campanelli. L’Iside accetta di buon grado, mette il guinzaglio a Vudi, che quando c’è da uscire non si fa certo pregare, e assieme a Stefano scendono in ascensore fino a terra. La zona non è più transennata, anche se è stato chiesto agli inquilini di non toccare nulla e, per adesso, di non rasare ancora il prato. Stefano e Iside cominciano a gironzolare, Vudi dal canto suo annusa e fa qualche pisciatina qua e là. Raggiungono un punto centrale, circa a una decina di metri dal muro del palazzo, qui, per terra, ci sono i resti di una pianta, guarda caso di miseria. L’Iside la riconosce, è la stessa che ha regalato a Lara, la riconosce sia perché era una confezione particolare, un vaso sottile alto pochi centimetri poggiato su un sottovaso giallo a forma di piatto piano, sia perché Lara le aveva detto che qualche giorno prima aveva dovuto tagliare qualche foglia a metà per via di un insettino che le stava rovinando. E poi il sottovaso, giallo, era poco più in là.

“Ma allora, che senso ha avuto buttare la pianta giù dal balcone, non dava fastidio, perché?” si chiede silenziosamente Stefano.


Piano primo, Iside suona il campanello dell’appartamento sulla destra, alla domanda che segue risponde semplicemente «Io». La porta si apre e la signora la saluta, poi dopo alcuni convenevoli, Iside spiega all’amica cosa sia venuto a fare Stefano. La scena si ripete altre tre volte, quattro sono gli appartamenti che si affacciano su quel lato del palazzo, due al primo e due al secondo piano. In tutti Stefano pone la stessa domanda e in tutti ottiene più o meno la stessa risposta: 
«Quella notte abbiamo sentito prima un tonfo sordo, secco, come una portiera o un cofano che venivano chiusi violentemente, poi, dopo alcuni minuti, una specie di boato, abbiamo creduto di nuovo al terremoto, ma è stato cortissimo e intensissimo, ci siamo affacciati e abbiamo visto, dato che il giardino è illuminato tutta la notte, che Giorgio era là, immobile, sdraiato sopra la grata, sembrava dormisse. Siamo scesi, aveva la bocca spalancata, gli occhi sbarrati, fermi e fissi. Abbiamo chiamato la polizia.»
Stefano ringrazia l’Iside per la cortesia, poi inforca la bici e rientra alla base, non prima di aver comunicato a Guicciardi che c’erano importanti novità, che dovevano assolutamente vedersi.
 

Ore 13, in tre sono seduti a un tavolo del ristorante dove si sono riuniti. Sono riusciti ad avere un posto un po’ in disparte dove poter parlare con calma, nascosti dietro a una specie di separé... 
Oltre al commissario e a Stefano c’è anche Claudio Balboni, che oggi sostituisce Foca. La sua forza è la discrezione, se Guicciardi gli dice di tenere la bocca chiusa, è meglio di una tomba.
Hanno già ordinato il cibo, un primo e un secondo a discrezione del titolare, una bottiglia di Sorbara Tusini e tanta riservatezza.
Stefano prima ingolla un bicchiere di lambro, poi si schiarisce la gola e sciorina all’amico tutto quello che ha imparato in mattinata.

«Questa è l’idea che mi sono fatto. L’amico aveva deciso di far fuori la moglie. Si era probabilmente accorto che la ringhiera del balcone non era ben salda, quindi aveva portato a casa gli attrezzi e raccontato che gli servivano per fissarla a modo. Faceva un po’ come Penelope, di giorno la stringeva e di notte la allentava. Il suo piano era semplice, una notte di quelle in cui Lara non fosse stata sotto l’effetto del farmaco, avrebbe predisposto il percorso in modo che lei finisse sul balcone piccolo. Qui avrebbe allentato al massimo la bullonatura della ringhiera, in modo che bastasse una minima spinta per farla andare di sotto, poi sarebbe tornato a letto. Nel suo piano Lara sarebbe giunta a cospetto della ringhiera e appena l’avesse urtata, invece di girarsi e tornare indietro, sarebbe precipitata assieme alla stessa. Le cose sono andate diversamente, come sappiamo. Quindi, cosa è successo sul balcone? Appurato che il vaso di miseria è volato di sotto da una posizione impossibile e appurato che invece di Lara è caduto Giorgio, ma non magari mentre stava svitando i bulloni, perché in questo caso sarebbe caduto a faccia in avanti, bisogna capire chi ha buttato il vaso giù e perché, e la posizione di Lara in tutto questo contesto. Dov’era? Ancora a letto perché doveva ancora andare in giro, oppure aveva già finito il giro, oppure ancora in giro per la casa, oppure era sul balcone? Io ho un sospetto, che forse Lara sia arrivata in balcone, che abbia comunque sfiorato la ringhiera non abbastanza da farla volare di sotto, che rientrando sia scivolata sulla pianta di miseria e l’abbia spinta, cadendo, verso la ringhiera sotto la quale sia passata, ricordiamoci che l’Iside mi ha raccontato che era un vaso particolare, bassissimo, alto pochi centimetri e appoggiato a un sottovaso giallo simile a un piatto piano. Quindi il vaso si è infilato sotto la ringhiera ed è volato di sotto, ma il sottovaso è rimasto in balcone. Giorgio, sentendo il tonfo in giardino, crede che Lara sia volata giù, corre in balcone, ma appena è lì, stupito dalla presenza ancora della ringhiera, mette un piede sul sottovaso che è in mezzo al ballatoio, scivola malamente, magari girandosi di spalle, urta la ringhiera e vola giù, uno scherzo del destino. Lara nel frattempo era tornata a letto, ignara di tutto.»
Guicciardi e Balboni hanno ascoltato tutto questo sproloquio a bocca aperta. Finalmente Stefano conclude e si lava l’ugola con un generoso bicchiere di rosso nettare, poi si rilassa, prende un pezzetto di pane, lo immerge nel bicchiere e lo porta alla bocca «Come faceva mio nonno.»

Claudio Balboni, forse ancora sconvolto da quel fiume di parole, guida come una vecchietta, gli altri non parlano. In via della Cella il commissario saluta e ringrazia Stefano:
«Conferenza stampa domattina alle 11.00»
 

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