lunedì 1 aprile 2024

Michael Crichton: I Cameron


Era  sveglia. Un attimo prima era profondamente addormentata e adesso aveva gli
occhi  bene  aperti, fissi al soffitto avvolto nel buio. Non amava la notte, ma
aveva  imposto  alla  propria mente di  svegliarsi  nelle  ore più tarde. Avere
l'assoluto  controllo  di sé, ecco la  cosa  più importante. Ne fu soddisfatta.
Giaceva nel caldo bozzolo delle coperte, in una stanza gelida. Sua madre, prima
di  coricarsi,  aveva attizzato il fuoco  per  rubarne l'ultima vampata di buon
calore. « Stupida egoista » disse con un tono di voce abbastanza alto per farsi
udire.  «  Cosa?  » fece suo padre nell'altra  stanza.  «  Che c'è? » « Niente.
Rimettiti  a dormire, Pa', è ancora notte. » Ecco una parola che avrebbe dovuto
eliminare,  quando fosse tornata: Pa'. Papà, lo avrebbe chiamato da allora in
poi,  anche se, secondo suo padre, uno scozzese doveva dire Pa'. Dall'esterno
non giungeva alcun suono ed ella si sedette sul letto in preda al terrore. Quel
silenzio  poteva significare soltanto una cosa:  cioè che il paese di Pitmungo,
con le sue strade pavimentate di pietra e le sue miniere, era sepolto sotto una
coltre  di  neve.  Non era giusto, pensò,  la  neve  non aveva alcun diritto di
cadere  il giorno del suo compleanno. E,  per giunta, in quel momento s'era
levato un vento che picchiava contro le finestre sul retro della casa: un vento,
quindi,  che  soffiava da nord, dalle Terre  Alte:  del tutto fuor di luogo, in
aprile.  La neve aveva sicuramente coperto tutto  il Fife occidentale e i monti
Cairngorms.  Inutile sperare di poter andare  a piedi da Pitmungo a Cowdenbeath 
per  prendere  il treno che andava a  nord. Avrebbe dovuto chiedere al signor
Japp  di noleggiarle il carro e sprecare uno  scellino o forse due, se quello
decideva  di  calcare  la  mano. Sentì le  lacrime  salirle agli occhi, cosa
insolita  per lei. Le pietre del pavimento erano così gelide che, quando mise i
piedi per  terra, li sentì bruciare. E  nel camino pareva non esserci rimasto
altro  che  un mucchio di cenere friabile.  «  Stupida egoista » ripeté, questa
volta senza l'intenzione di farsi udire. « Che c'è, ora? » domandò suo padre.
«Niente, rimettiti  a dormire, Papà. » « Pa'.  »  La ragazza spinse da parte la
cenere  con  la  paletta e sobbalzò,  all'improvviso avvampare di tre grossi
tizzoni.  Ecco  una delle poche cose di  cui  Pitmungo poteva menar vanto: quel prezioso  minerale abbondantemente ricco di carbonio. Cominciò ad aggiungerne sul  fuoco pezzo dopo pezzo. « Vacci piano  col carbone » gridò suo padre. « Ho finito,  Pa'.» 
Teniamolo tranquillo. Almeno  oggi. Con la massima delicatezza,
come stesse decorando una torta, dispose l'uno sull'altro i rimanenti pezzi
di  carbone. Poi, appese accanto al fuoco gli indumenti da lavoro del padre. Il
giubbotto  era  ghiacciato  ma,  al calore  della  fiamma,  cominciò  a sgelare
sfrigolando  e  diffondendo  nella  stanza odor  di  sudore  e di miniera. Ecco
un'altra cosa che, al suo ritorno, doveva cambiare. Presso alcune famiglie di
Pitmungo  gli  abiti da lavoro venivano lavati  tutti  i giorni: nella casa dei
Drum  ciò accadeva soltanto una volta la  settimana. Poi, uscì nella neve che
cadeva  sottile e rientrò in casa dopo  aver ritirato dalla lavanderia, dove li
aveva  nascosti,  una lepre e un pesce.  Entrambi  erano ghiacciati per il gelo
della  notte e, quando li gettò sul  tavolo, produssero un rumore di sassi. Era
stato un errore: ci sarebbe voluto parecchio tempo prima che sgelassero e a lei non  ne sarebbe rimasto per vestirsi, dopo aver preparato la prima colazione.
Così,  avrebbe  dovuto indossare subito  l'abito  da viaggio, col rischio di
macchiarselo. Si spogliò completamente e si lavò. Poi si infilò la sottoveste
e  la  nuova  camicetta di lino e infine  l'abito  a giacca di tweed, che s'era
fatto  confezionare  appositamente. Sapeva che quell'abito  le  donava e che la
faceva  apparire  più  bella. Dopo un attimo,  si  tolse la giacca e cominciò a
lavorare. Scuoiò la lepre alla svelta e la tagliò in pezzi, che mise nel tegame
insieme  ai  porri e alle patate;  poi  fece  tostare la farina d'avena, che
avrebbe  dato  consistenza e aroma al  brodo.  Quando  la lepre fu pronta si
dedicò  al pesce: era un eglefino, un  pesce simile al merluzzo, dai riflessi
dorati  e  con  i fianchi d'un giallo  delicato.  Prima lo fece bollire, per
ravvivarne  il sapore, poi lo coprì con panna densa e lo mise accanto al fuoco,
finché non cominciò a bollire adagio nel suo letto di panna e di burro. Dopo di
che,  tirò  fuori  le  piccole focacce d'avena  e  di  farina d'orzo da servire
fumanti  al momento di andare in tavola,  e le fette di formaggio Dunlop, che
quei  ladri  della Cooperativa Minatori di  Pitmungo,  meglio noti come
Spennapolli, le avevano fatto pagare uno scellino; quindi andò a svegliare suo padre.
«Oh, ma vuoi proprio viziarlo, il tuo papà. » L'uomo rise fragorosamente.
«Nessuno mi crederà, giù in miniera. Zuppa di coniglio per colazione, con
farina d'avena tostata.» « Non chiamare zuppa di coniglio questo buon brodo di lepre» lo  rimproverò  lei.  « Sia quel che  sia,  io  lo  chiamo così. » La guardò aggiungere  l'avena  tostata  nella pentola. «  Dimmi  un  po', Maggie, cosa mi nascondi?» 
Lei  riempì due scodelle  di  terraglia.  Mangiarono in silenzio, assaporando religiosamente il buon brodo, e solo quando lui si fu servito per la  terza volta, la ragazza rispose. « Prima di tutto, è il mio compleanno. » «Oh, se ce l'avessi detto, avremmo potuto comperarti qualcosa. » 
« Non l'avete mai  fatto.  » « Già, ma non si sa  mai.  Ancora un po' di zuppa, per favore. »
Dopo  aver vuotato la scodella le domandò  quanti anni aveva « Sedici. L'età in
cui  non  serve  più  il  vostro consenso.  »  «Consenso  per  che cosa?» « Per
sposarmi. » Lui non si mostrò stupito. Aveva in bocca una focaccia e continuò a
masticarla.  Nessuno mostrava mai stupore a  Pitmungo, per paura di passare per debole.  «  No, non ci crederanno davvero:  zuppa di coniglio e focacce calde
per  colazione.  Sono convinti che ti dai  delle  arie, sai. Ma sto cercando di
fargli  cambiare  idea. » « Perché poi ?  è  vero. » Lui sapeva bene come fosse
vero,  perciò gli venne da ridere. Si udì la  sirena del pozzo Lady Jane n. 2 e
lui  si  alzò  da  tavola, spinto dall'abitudine.  «  è solo la sirena della
sveglia, quella del lavoro non è ancora suonata. Siediti.» La ragazza ritirò
la  teglia  di creta dalla cenere del camino e quando tolse il coperchio, la
panna bolliva ancora e l'odore del pesce solleticò loro le nari. « Eglefino ? »
Lei  annuì. « Ah!... Ho sempre  saputo che avrei riconosciuto immediatamente un
eglefino,  quando  me lo fossi trovato davanti.  Sai? E da quando sono nato che
sogno  di  assaggiarne uno. Ora posso  morire  contento. Dove l'hai preso?» Lei
glielo  disse.  « Sei andata fino a  Cowdenbeath a prendermelo? » « A prenderlo
per  me,  papà.  Questa  è la mia  colazione  di  nozze,  hai capito, ora?» Lui
continuò  a  mangiare,  assaporando il pesce  boccone  per  boccone, e si tolse
persino il giaccone da miniera in segno di rispetto. « Allora » disse infine,
«com'è questa faccenda? Chi è il ragazzo?» «L'uomo non c'è ancora, ma ci sarà.
Tutto quel che so è che non sarà uno di questo paese. » « Che cos'hanno di male
i  ragazzi  di  qua?  Anch'io sono nato  in  questo  paese. » « Affacciati alla
finestra  » disse lei. Poi aprì il vetro appannato e indicò la parte bassa di
Pitmungo,  la  distesa dei tetti davanti alla miniera e il fiume nero per il
carbone, dietro di essa. « Dimmi la verità. Ti basterebbe tutto ciò, se potessi
fare  un'altra  vita? » Il turno di giorno  era appena cominciato e già la neve
stava  diventando una liquida colata di nerume.   « è la mia vita ed è così
che  mi  guadagno il pane. I minatori fanno  un  sacco di soldi. » Era fiero di
essere un bravo minatore. « Ah, è appunto per questo, papà: i minatori fanno un
sacco  di  soldi, ma poi rimangono  prigionieri  del posto in cui vivono. Io
invece  voglio sposare uno che sappia far soldi e poi la pianti lì. » Lui prese
il  portavivande contenente il pane e la fiaschetta  del tè freddo e si mise il
berretto,  munito  di lampada. « Be', farai bene  a sposare uno che sa il fatto
suo.  Noi  Drum siamo dei duri. I Drum non la  piantano lì. » « Sì, lo so. » Le
bastava  guardarlo,  basso,  bruno e vigoroso  com'era,  il corpo rozzo come un
blocco di carbone, dotato d'una particolare ruvida bellezza. Non aveva ancora
quarant'anni,  ma  già  da  ventinove lavorava  in  miniera,  il  che gli aveva
incurvato la schiena e costellato il viso di cicatrici azzurrine, residuo delle
ferite  in  cui il sangue si era  raggrumato insieme con la polvere di carbone.
Era  un  minatore,  un  uomo  dei pozzi,  destinato  a  morire  in miniera come
qualsiasi  schiavo  o  condannato  dei tempi  antichi.  Il  sentiero cominciò a
rimbombare  del  suono degli scarponi chiodati: i minatori stavano scendendo
lungo  la strada. « Guardali. Omiciattoli  scuri e irsuti, messi al mondo per
estrarre  il carbone. Gente dalla pelle nera, nata per scavare nella terra come
talpe.  Come vermi. » « è la tua gente! » le gridò il padre. « Gente dura. »
«  Minatori  di  carbone, che portano un  marchio  anche nel linguaggio. Non li
capiscono nemmeno nelle strade di Edimburgo. No, io voglio un uomo che riesca a
farsi  capire a Londra. »  « Oh, che  bellezza! » la prese in giro lui. Doveva
correre,  ora,  se voleva scendere in miniera  con l'ultima gabbia, ma prima di
andarsene doveva capire. «Maggie, dov'è che le prendi, queste idee?» « Senti,
papà.  » La ragazza gli strinse forte le  mani come non aveva mai fatto in vita
sua.  «  Ricordi quando mi parlasti di quei  pesci, che cercano la via di casa,
quei  pesci che nulla riesce a fermare, quando vanno verso l'unico posto adatto
per  far nascere i loro piccoli? » « I  "sarmoni" ? » « Sì, i salmoni. Salmoni,
papà.  »  « Per me, sarmoni sono. Saranno  sempre  sarmoni per me. » « Comunque
sia.  » La ragazza gli lisciò i peli ispidi sul dorso della mano. « A me capita
la  stessa  cosa,  papà. Io sono come  loro.  Devo andarmene capisci? » Poi gli
diede un bacio, e la cosa stupì entrambi. Era una manifestazione d'affetto, cui
la  mentalità di Pitmungo non era avvezza. « Buona fortuna, allora » disse lui,
«  ma non dimenticarti di questo: puoi  sposarti fuori di qui, ma non rinnegare
mai  la  tua razza. In fin dei conti  è  l'unica cosa che hai. Non dimenticarlo
mai, Maggie. Mai rinnegare la tua razza. » Poi uscì di casa senza voltarsi e si
mise a correre. Lei rimase a guardarlo e lo vide percorrere tutto il sentiero
lastricato.  Poi,  il  padre  imboccò quello  che  era  definito il Corso dei
Carbonai  e  scomparve  giù  per la  discesa  che  portava alla miniera. Maggie
indossò  la  giacca e andò allo specchio.  Il taglio dell'abito era ottimo e fu
soddisfatta del volto che vide riflesso. Era forse di carnagione troppo bruna
per  il suo gusto, ma il mento era  ben disegnato e le labbra erano belle, cosa
piuttosto  insolita  in  una donna di Pitmungo;  aveva  gli occhi scuri alla
distanza  giusta  e i capelli folti e lucenti.  Sua madre si era alzata e stava
osservandola dalla soglia. « Quel che non capisco » esordì, « è chi ti credi di
essere.  » Non c'era nulla da rispondere. Maggie chiamò un bambino che, nella
strada,  stava  cercando  di  costruire  un  pupazzo  di  neve,  prima che essa
diventasse  nera. Gli diede mezzo penny perché  corresse a chiamare il signor
Japp  col carro. « Possibile che non capisci che sei quella che sei » disse sua
madre.  «  Tuo nonno era uno schiavo con  tanto  di collare di ferro attorno al
collo,  non  dimenticarlo.  Sono certa che nessuno  te  lo farà scordare. » Era
furba,  sua madre, egoista e indifferente, ma furba. « Quelli che sono migliori
di te non confonderanno certo il loro sangue col tuo. » Sua madre le sorrideva.
Maggie ricambiò il sorriso. « Già, col tuo sangue e col mio. Ma il problema non
esisterà per quello di mio marito e nemmeno per quello dei miei figli. » Poi si
diede  da  fare a riporre le ultime  cose nella valigia a soffietto. La valigia
puzzava  di  polvere di carbone e di  miniera. Era l'unico neo nel suo corredo,
l'unico  legame  che  la unisse ancora a  Pitmungo,  ma le era venuta a mancare
l'ultima  sterlina che sarebbe servita a reciderlo. Maggie udì il signor Japp
incitare  il  cavallo.  « E la scuola ? »  domandò  sua madre. « Te ne vai e
pianti quei poveri ragazzini. Ed eri quella grande maestra piena di zelo, eh? »
« Senti, mamma, quei bambini hanno imparato molto più in due anni con me, che
non in tutti i cinque precedenti. Ho fatto la maestra solo per ottenere ciò che
volevo,  e  ora  ci  sono riuscita. Ho  messo  da  parte  quanto mi occorre per
andarmene  da  Pitmungo  e mantenermi finché non  avrò  trovato  il mio uomo. »
Maggie portò la valigia fino alla porta. « Ti ho preparato la colazione e ti ho
comprato  del  formaggio Dunlop. Non vuoi  augurarmi buona fortuna per il mio
viaggio? » « Sì » fece sua madre. « Te la auguro, ma dove vai a cercare quest'uomo
meraviglioso?» « A Strathnairn, nel nord, dove gli uomini non sono mai
stati  sconfitti. » Si udì lo stridere  dei freni contro le ruote e il signor
Japp  s'arrestò  davanti  alla  porta. «  Be',  addio,  mamma.  » Restarono lì,
incapaci  di buttarsi l'una nelle braccia dell'altra. « La prossima volta che
ci  vedremo, sarò una signora delle Terre  Alte. » « Spero che ti degnerai di
rivolgerci  la  parola. » « Rivolgervi la parola?  Verrò a vivere con voi. » Il
signor  Japp non si prese la briga di bussare: spalancò la porta, come si usava
nei  paesi  di minatori. « Andiamo, dunque. Da'  qua la valigia, Maggie. » « Mi
chiami  signorina Drum. Oggi compio sedici anni, sono maggiorenne e, d'ora in
poi,  lei mi chiamerà signorina Drum. » Poi  gli porse la valigia. « Va bene.
Se  è  così  che  vuoi,  così sarà. »  «  Così  voglio.  »  Poiché la strada di
fondovalle  era allagata, risalirono quella a  mezza costa che, attraverso il
Campo Sportivo, collegava la parte bassa di Pitmungo con quella alta. Di lì, si
diressero  verso  l'alta brughiera. Arrivati sulla  cresta, Maggie si voltò per
guardarsi  alle  spalle.  Dal  punto in  cui  si  trovavano,  il paese appariva
minuscolo e nero. Proprio così, nero: una macchia nella brughiera. Era contenta di andarsene. 

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