Era sveglia. Un attimo prima era profondamente addormentata e adesso aveva gliocchi bene aperti, fissi al soffitto avvolto nel buio. Non amava la notte, maaveva imposto alla propria mente di svegliarsi nelle ore più tarde. Averel'assoluto controllo di sé, ecco la cosa più importante. Ne fu soddisfatta.Giaceva nel caldo bozzolo delle coperte, in una stanza gelida. Sua madre, primadi coricarsi, aveva attizzato il fuoco per rubarne l'ultima vampata di buoncalore. « Stupida egoista » disse con un tono di voce abbastanza alto per farsiudire. « Cosa? » fece suo padre nell'altra stanza. « Che c'è? » « Niente.Rimettiti a dormire, Pa', è ancora notte. » Ecco una parola che avrebbe dovutoeliminare, quando fosse tornata: Pa'. Papà, lo avrebbe chiamato da allora inpoi, anche se, secondo suo padre, uno scozzese doveva dire Pa'. Dall'esternonon giungeva alcun suono ed ella si sedette sul letto in preda al terrore. Quelsilenzio poteva significare soltanto una cosa: cioè che il paese di Pitmungo,con le sue strade pavimentate di pietra e le sue miniere, era sepolto sotto unacoltre di neve. Non era giusto, pensò, la neve non aveva alcun diritto dicadere il giorno del suo compleanno. E, per giunta, in quel momento s'eralevato un vento che picchiava contro le finestre sul retro della casa: un vento,quindi, che soffiava da nord, dalle Terre Alte: del tutto fuor di luogo, inaprile. La neve aveva sicuramente coperto tutto il Fife occidentale e i montiCairngorms. Inutile sperare di poter andare a piedi da Pitmungo a Cowdenbeathper prendere il treno che andava a nord. Avrebbe dovuto chiedere al signorJapp di noleggiarle il carro e sprecare uno scellino o forse due, se quellodecideva di calcare la mano. Sentì le lacrime salirle agli occhi, cosainsolita per lei. Le pietre del pavimento erano così gelide che, quando mise ipiedi per terra, li sentì bruciare. E nel camino pareva non esserci rimastoaltro che un mucchio di cenere friabile. « Stupida egoista » ripeté, questavolta senza l'intenzione di farsi udire. « Che c'è, ora? » domandò suo padre.«Niente, rimettiti a dormire, Papà. » « Pa'. » La ragazza spinse da parte lacenere con la paletta e sobbalzò, all'improvviso avvampare di tre grossitizzoni. Ecco una delle poche cose di cui Pitmungo poteva menar vanto: quel prezioso minerale abbondantemente ricco di carbonio. Cominciò ad aggiungerne sul fuoco pezzo dopo pezzo. « Vacci piano col carbone » gridò suo padre. « Ho finito, Pa'.»Teniamolo tranquillo. Almeno oggi. Con la massima delicatezza,come stesse decorando una torta, dispose l'uno sull'altro i rimanenti pezzidi carbone. Poi, appese accanto al fuoco gli indumenti da lavoro del padre. Ilgiubbotto era ghiacciato ma, al calore della fiamma, cominciò a sgelaresfrigolando e diffondendo nella stanza odor di sudore e di miniera. Eccoun'altra cosa che, al suo ritorno, doveva cambiare. Presso alcune famiglie diPitmungo gli abiti da lavoro venivano lavati tutti i giorni: nella casa deiDrum ciò accadeva soltanto una volta la settimana. Poi, uscì nella neve checadeva sottile e rientrò in casa dopo aver ritirato dalla lavanderia, dove liaveva nascosti, una lepre e un pesce. Entrambi erano ghiacciati per il gelodella notte e, quando li gettò sul tavolo, produssero un rumore di sassi. Erastato un errore: ci sarebbe voluto parecchio tempo prima che sgelassero e a lei non ne sarebbe rimasto per vestirsi, dopo aver preparato la prima colazione.Così, avrebbe dovuto indossare subito l'abito da viaggio, col rischio dimacchiarselo. Si spogliò completamente e si lavò. Poi si infilò la sottovestee la nuova camicetta di lino e infine l'abito a giacca di tweed, che s'erafatto confezionare appositamente. Sapeva che quell'abito le donava e che lafaceva apparire più bella. Dopo un attimo, si tolse la giacca e cominciò alavorare. Scuoiò la lepre alla svelta e la tagliò in pezzi, che mise nel tegameinsieme ai porri e alle patate; poi fece tostare la farina d'avena, cheavrebbe dato consistenza e aroma al brodo. Quando la lepre fu pronta sidedicò al pesce: era un eglefino, un pesce simile al merluzzo, dai riflessidorati e con i fianchi d'un giallo delicato. Prima lo fece bollire, perravvivarne il sapore, poi lo coprì con panna densa e lo mise accanto al fuoco,finché non cominciò a bollire adagio nel suo letto di panna e di burro. Dopo diche, tirò fuori le piccole focacce d'avena e di farina d'orzo da servirefumanti al momento di andare in tavola, e le fette di formaggio Dunlop, chequei ladri della Cooperativa Minatori di Pitmungo, meglio noti comeSpennapolli, le avevano fatto pagare uno scellino; quindi andò a svegliare suo padre.«Oh, ma vuoi proprio viziarlo, il tuo papà. » L'uomo rise fragorosamente.«Nessuno mi crederà, giù in miniera. Zuppa di coniglio per colazione, confarina d'avena tostata.» « Non chiamare zuppa di coniglio questo buon brodo di lepre» lo rimproverò lei. « Sia quel che sia, io lo chiamo così. » La guardò aggiungere l'avena tostata nella pentola. « Dimmi un po', Maggie, cosa mi nascondi?»Lei riempì due scodelle di terraglia. Mangiarono in silenzio, assaporando religiosamente il buon brodo, e solo quando lui si fu servito per la terza volta, la ragazza rispose. « Prima di tutto, è il mio compleanno. » «Oh, se ce l'avessi detto, avremmo potuto comperarti qualcosa. »« Non l'avete mai fatto. » « Già, ma non si sa mai. Ancora un po' di zuppa, per favore. »Dopo aver vuotato la scodella le domandò quanti anni aveva « Sedici. L'età incui non serve più il vostro consenso. » «Consenso per che cosa?» « Persposarmi. » Lui non si mostrò stupito. Aveva in bocca una focaccia e continuò amasticarla. Nessuno mostrava mai stupore a Pitmungo, per paura di passare per debole. « No, non ci crederanno davvero: zuppa di coniglio e focacce caldeper colazione. Sono convinti che ti dai delle arie, sai. Ma sto cercando difargli cambiare idea. » « Perché poi ? è vero. » Lui sapeva bene come fossevero, perciò gli venne da ridere. Si udì la sirena del pozzo Lady Jane n. 2 elui si alzò da tavola, spinto dall'abitudine. « è solo la sirena dellasveglia, quella del lavoro non è ancora suonata. Siediti.» La ragazza ritiròla teglia di creta dalla cenere del camino e quando tolse il coperchio, lapanna bolliva ancora e l'odore del pesce solleticò loro le nari. « Eglefino ? »Lei annuì. « Ah!... Ho sempre saputo che avrei riconosciuto immediatamente uneglefino, quando me lo fossi trovato davanti. Sai? E da quando sono nato chesogno di assaggiarne uno. Ora posso morire contento. Dove l'hai preso?» Leiglielo disse. « Sei andata fino a Cowdenbeath a prendermelo? » « A prenderloper me, papà. Questa è la mia colazione di nozze, hai capito, ora?» Luicontinuò a mangiare, assaporando il pesce boccone per boccone, e si tolsepersino il giaccone da miniera in segno di rispetto. « Allora » disse infine,«com'è questa faccenda? Chi è il ragazzo?» «L'uomo non c'è ancora, ma ci sarà.Tutto quel che so è che non sarà uno di questo paese. » « Che cos'hanno di malei ragazzi di qua? Anch'io sono nato in questo paese. » « Affacciati allafinestra » disse lei. Poi aprì il vetro appannato e indicò la parte bassa diPitmungo, la distesa dei tetti davanti alla miniera e il fiume nero per ilcarbone, dietro di essa. « Dimmi la verità. Ti basterebbe tutto ciò, se potessifare un'altra vita? » Il turno di giorno era appena cominciato e già la nevestava diventando una liquida colata di nerume. « è la mia vita ed è cosìche mi guadagno il pane. I minatori fanno un sacco di soldi. » Era fiero diessere un bravo minatore. « Ah, è appunto per questo, papà: i minatori fanno unsacco di soldi, ma poi rimangono prigionieri del posto in cui vivono. Ioinvece voglio sposare uno che sappia far soldi e poi la pianti lì. » Lui preseil portavivande contenente il pane e la fiaschetta del tè freddo e si mise ilberretto, munito di lampada. « Be', farai bene a sposare uno che sa il fattosuo. Noi Drum siamo dei duri. I Drum non la piantano lì. » « Sì, lo so. » Lebastava guardarlo, basso, bruno e vigoroso com'era, il corpo rozzo come unblocco di carbone, dotato d'una particolare ruvida bellezza. Non aveva ancoraquarant'anni, ma già da ventinove lavorava in miniera, il che gli avevaincurvato la schiena e costellato il viso di cicatrici azzurrine, residuo delleferite in cui il sangue si era raggrumato insieme con la polvere di carbone.Era un minatore, un uomo dei pozzi, destinato a morire in miniera comequalsiasi schiavo o condannato dei tempi antichi. Il sentiero cominciò arimbombare del suono degli scarponi chiodati: i minatori stavano scendendolungo la strada. « Guardali. Omiciattoli scuri e irsuti, messi al mondo perestrarre il carbone. Gente dalla pelle nera, nata per scavare nella terra cometalpe. Come vermi. » « è la tua gente! » le gridò il padre. « Gente dura. »« Minatori di carbone, che portano un marchio anche nel linguaggio. Non licapiscono nemmeno nelle strade di Edimburgo. No, io voglio un uomo che riesca afarsi capire a Londra. » « Oh, che bellezza! » la prese in giro lui. Dovevacorrere, ora, se voleva scendere in miniera con l'ultima gabbia, ma prima diandarsene doveva capire. «Maggie, dov'è che le prendi, queste idee?» « Senti,papà. » La ragazza gli strinse forte le mani come non aveva mai fatto in vitasua. « Ricordi quando mi parlasti di quei pesci, che cercano la via di casa,quei pesci che nulla riesce a fermare, quando vanno verso l'unico posto adattoper far nascere i loro piccoli? » « I "sarmoni" ? » « Sì, i salmoni. Salmoni,papà. » « Per me, sarmoni sono. Saranno sempre sarmoni per me. » « Comunquesia. » La ragazza gli lisciò i peli ispidi sul dorso della mano. « A me capitala stessa cosa, papà. Io sono come loro. Devo andarmene capisci? » Poi glidiede un bacio, e la cosa stupì entrambi. Era una manifestazione d'affetto, cuila mentalità di Pitmungo non era avvezza. « Buona fortuna, allora » disse lui,« ma non dimenticarti di questo: puoi sposarti fuori di qui, ma non rinnegaremai la tua razza. In fin dei conti è l'unica cosa che hai. Non dimenticarlomai, Maggie. Mai rinnegare la tua razza. » Poi uscì di casa senza voltarsi e simise a correre. Lei rimase a guardarlo e lo vide percorrere tutto il sentierolastricato. Poi, il padre imboccò quello che era definito il Corso deiCarbonai e scomparve giù per la discesa che portava alla miniera. Maggieindossò la giacca e andò allo specchio. Il taglio dell'abito era ottimo e fusoddisfatta del volto che vide riflesso. Era forse di carnagione troppo brunaper il suo gusto, ma il mento era ben disegnato e le labbra erano belle, cosapiuttosto insolita in una donna di Pitmungo; aveva gli occhi scuri alladistanza giusta e i capelli folti e lucenti. Sua madre si era alzata e stavaosservandola dalla soglia. « Quel che non capisco » esordì, « è chi ti credi diessere. » Non c'era nulla da rispondere. Maggie chiamò un bambino che, nellastrada, stava cercando di costruire un pupazzo di neve, prima che essadiventasse nera. Gli diede mezzo penny perché corresse a chiamare il signorJapp col carro. « Possibile che non capisci che sei quella che sei » disse suamadre. « Tuo nonno era uno schiavo con tanto di collare di ferro attorno alcollo, non dimenticarlo. Sono certa che nessuno te lo farà scordare. » Erafurba, sua madre, egoista e indifferente, ma furba. « Quelli che sono miglioridi te non confonderanno certo il loro sangue col tuo. » Sua madre le sorrideva.Maggie ricambiò il sorriso. « Già, col tuo sangue e col mio. Ma il problema nonesisterà per quello di mio marito e nemmeno per quello dei miei figli. » Poi sidiede da fare a riporre le ultime cose nella valigia a soffietto. La valigiapuzzava di polvere di carbone e di miniera. Era l'unico neo nel suo corredo,l'unico legame che la unisse ancora a Pitmungo, ma le era venuta a mancarel'ultima sterlina che sarebbe servita a reciderlo. Maggie udì il signor Jappincitare il cavallo. « E la scuola ? » domandò sua madre. « Te ne vai epianti quei poveri ragazzini. Ed eri quella grande maestra piena di zelo, eh? »« Senti, mamma, quei bambini hanno imparato molto più in due anni con me, chenon in tutti i cinque precedenti. Ho fatto la maestra solo per ottenere ciò chevolevo, e ora ci sono riuscita. Ho messo da parte quanto mi occorre perandarmene da Pitmungo e mantenermi finché non avrò trovato il mio uomo. »Maggie portò la valigia fino alla porta. « Ti ho preparato la colazione e ti hocomprato del formaggio Dunlop. Non vuoi augurarmi buona fortuna per il mioviaggio? » « Sì » fece sua madre. « Te la auguro, ma dove vai a cercare quest'uomomeraviglioso?» « A Strathnairn, nel nord, dove gli uomini non sono maistati sconfitti. » Si udì lo stridere dei freni contro le ruote e il signorJapp s'arrestò davanti alla porta. « Be', addio, mamma. » Restarono lì,incapaci di buttarsi l'una nelle braccia dell'altra. « La prossima volta checi vedremo, sarò una signora delle Terre Alte. » « Spero che ti degnerai dirivolgerci la parola. » « Rivolgervi la parola? Verrò a vivere con voi. » Ilsignor Japp non si prese la briga di bussare: spalancò la porta, come si usavanei paesi di minatori. « Andiamo, dunque. Da' qua la valigia, Maggie. » « Michiami signorina Drum. Oggi compio sedici anni, sono maggiorenne e, d'ora inpoi, lei mi chiamerà signorina Drum. » Poi gli porse la valigia. « Va bene.Se è così che vuoi, così sarà. » « Così voglio. » Poiché la strada difondovalle era allagata, risalirono quella a mezza costa che, attraverso ilCampo Sportivo, collegava la parte bassa di Pitmungo con quella alta. Di lì, sidiressero verso l'alta brughiera. Arrivati sulla cresta, Maggie si voltò perguardarsi alle spalle. Dal punto in cui si trovavano, il paese apparivaminuscolo e nero. Proprio così, nero: una macchia nella brughiera. Era contenta di andarsene.
lunedì 1 aprile 2024
Michael Crichton: I Cameron
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