venerdì 22 marzo 2024

Capitolo 8: Giovedì 18 maggio 2017


Stefano non ha chiuso occhio, troppo preso dai pensieri e troppo concentrato sulle parole dei suoi amici. Ognuno bene o male  gli ha dato importanti informazioni, ma si rende conto che adesso viene il difficile... scoprire la verità.
Prende il telefonino e sta per chiamare, poi realizza che sono le quattro del mattino. Poggia il cellulare e dopo un attimo di smarrimento si avvicina al pannello sul muro, dove ha attaccato tutte le foto e gli appunti, e ricomincia a pensare a voce alta.

Otto del mattino e qualche minuto, in questura il telefono squilla. Balboni risponde, ha appena iniziato il turno, riconosce subito la voce dall’altra parte della cornetta, magari un po’ assonnata, ma chiara, chiede del commissario, ovvio, di chi se no? 
Il commissario Guicciardi risponde e ringrazia il sottoposto, poi, si siede con calma e comincia la conversazione. Alla fine richiama l’agente al centralino, gli dice di allertare l’agente scelto Foca Scaranzano, di indossare abiti civili e di aspettarlo in cortile su un’auto civetta. Nulla di grave, nessun problema, si va in missione semi segreta, alla caccia di indizi. Chi meglio di Foca, vecchia volpe della questura, sempre pronto a mollare il posto stanziale al quale è stato costretto per alcune intemperanze sul lavoro; ora è l’ombra del commissario ogni volta che quello molla la casa madre, non vede l’ora di fiondarsi fuori all’aria aperta e di riprendere quella vita che prima l’aveva visto protagonista di tante scorribande in auto con la Polizia Stradale, ma che ora riviveva solo nei ricordi: l’inseguimento dei delinquenti, l’incidente, l’ospedale, i litigi, la depressione, la nuova mansione e la rinascita ‘a terra’, in ufficio, ma in Questura. 
Guicciardi arriva in pochi minuti, Foca è in auto in cortile con il motore acceso. La portiera sbatte, l’autista sta per infilare la prima e uscire in strada, ma Guicciardi gli impone la calma, non c’è fretta, il morto è già morto, e da un po’... la missione è una scusa per andare a caccia di informazioni, ma ‘chiane chiane’, nessuno corre dietro a nessuno.

Foca esce lento dal cortile, direzione sud, da quando hanno spostato la Questura in zona ‘baracconi’ le distanze sono aumentate. La meta è via della Cella, velocità da crociera e niente sirena. Al semaforo a destra verso la Maserati, diritti alla rotonda delle ACLI poi alla successiva a sinistra giù per Ciro Menotti, fino alla via Emilia, oltre il semaforo per Trento Trieste, fino in fondo, altra rotonda e ancora a sinistra per la Vignolese, lasciato il Conad alle spalle al semaforo subito a destra e ancora a destra. Qui Guicciardi dice a Foca di trovare un buco in via Briani, la loro meta è in zona, e di attenderlo in auto, non ci vorrà molto.

Il commissario preme il pulsante, il citofono gracchia senza proferir verbo, lo scrocco indica che la porta si è aperta. Sale fino al terzo piano, per fortuna c’è l’ascensore, dentro casa c’è un casino degno del peggior bordello di Pechino, ovunque fogli intonsi o scarabocchiati, penne colorate, carta appallottolata, bottiglie vuote e piatti monouso gettati dove capita, posate sparse ovunque, addirittura infilate tra i cuscini del divano... l’aria è irrespirabile, non per via del fumo, ma per il chiuso, le tapparelle sono abbassate, la luce è fioca e sembra ci sia la nebbia, ma di Stefano neanche l’ombra. Guicciardi sa dove trovare l’amico, sicuramente seduto sul water, a pensare. E difatti è lì, il cesso è l’ambiente più pulito e lindo della casa. L’ufficio, come lo chiama Stefano. Lì è tutto in ordine, pareti spoglie e chiare, l’ideale per meditare e concentrarsi. Sedersi sulla tazza non significa nulla, ma contribuisce all’immersione totale nei pensieri. 

Guicciardi si guarda attorno, tenendo un fazzoletto davanti alla bocca. Non resiste più a quell’odore di chiuso, la gola si è seccata e sente il bisogno di aria fresca. Spalanca tutte le finestre e finalmente può respirare a pieni polmoni. 
Ora sono entrambi seduti al tavolo, dalla stessa parte, di fronte la parete addobbata a bacheca strapiena: fotografie, disegni, scritti, frecce colorate, numeri, pallini, puntine da disegno dalle forme più stravaganti, spilli uniti fra di loro da fili rossi... 
I due la scrutano, pensierosi, le fronti aggrottate, le mani che abbracciano i volti e ci manca solo che una scarica elettrica passi da una testa all’altra come nelle sfere di Tesla.
 

«Allora Luigi, veniamo al dunque, ieri sera ne sono state dette letteralmente di tutti i colori, ognuno di noi ha convenuto che, scartata l’ipotesi del suicidio, siamo davanti a un dilemma: disgrazia o omicidio? Chi l’ha ucciso? La moglie o qualcuno che si è introdotto in casa, o un amante? Tante illazioni, ma tutte campate in aria, solo illazioni. Con le prove che avete in mano, le vostre e le nostre, dovrete ben capirci qualcosa. Io un’idea ce l’avrei, ma aspetto ancora qualche conferma... sai al di là di tutto quello che si è detto, le parole di Grogghino mi hanno colpito, e non poco. Dobbiamo rimboccarci le maniche e vedere di provare quello che dice, a partire dal discorso della posizione del cadavere, della faccia del morto, e del vaso di miseria, che mi ha lasciato di stucco.»
«Beh Stefano, guarda, per la posizione del cadavere e l’espressione del volto, Grogghino ha ragione, sono anche un po’ le motivazioni per le quali mi sono impuntato con il questore e non ho chiuso l’indagine subito... Ho organizzato per dopo domani una prova in esterno alla caserma dei Vigili del Fuoco, Foca ti passerà a prendere, faremo delle simulazioni con un manichino e vedremo cosa succede, se Grogghino ha ragione oppure se si è bevuto il cervello con tutta la formalina che maneggia da mane a sera. Ad ogni modo posso dirti, in via ufficiosa, che da un primo esame della balaustra, abbia evinto che la ringhiera non era ben fissata alle pareti del balcone, quindi tutti i discorsi della ringhiera traballante sono validi, ricordi che la moglie ci aveva riferito che in casa c’erano attrezzi da lavoro nuovi, cioè chiavi inglesi di varie misure? Guarda caso giusti per quei bulloni! Quindi, quella sera, la ringhiera non era ben fissata al muro, bensì appena appena, bastava una minima spinta per farla volare di sotto. E qui sta il dilemma. Lara dice di aver trovato gli strumenti lasciati lì da Giorgio, ma Giorgio non può dirci di averli usati, sopra di essi ci sono solo le impronte di Giorgio, ma Lara potrebbe aver usato dei guanti, quindi non sappiamo con certezza chi ha svitato quelle viti, se Lara per liberarsi del marito o Giorgio per liberarsi di Lara; abbiamo già scartato a priori il suicidio, visto che per buttarsi di sotto non sarebbe stato necessario buttare giù il parapetto, ma semplicemente scavalcarlo, a meno che non si volesse far ricadere la colpa sul coniuge... della serie mi elimino dal gioco ma ti porto all’inferno con me!»


 

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