lunedì 26 febbraio 2024

L. Sprague de Camp: L'uomo nodoso


La dottoressa Matilda Saddler vide l'uomo nodoso per la prima volta il 14 giugno 1946, a Coney Island.
  Il consiglio di primavera della sezione orientale della American Anthropological Association era appena terminato e la dottoressa Saddler aveva pranzato in compagnia di due suoi colleghi, Blue dell'Università di Columbia e Jeffcott di Yale. Accennò che non aveva mai visitato Coney e disse che aveva intenzione di andarci quella sera. Insistette con Blue e Jeffcott perché andassero con lei, ma loro declinarono l'invito.
  Osservando la dottoressa Saddler allontanarsi, Blue della Columbia ridacchiò: «La Donna Selvaggia di Wichita. Mi chiedo se è a caccia di un altro marito». Blue era un omino sottile con una barba grigia e un'espressione sul volto del tipo «ma si può sapere chi siete voi?».
  «Quanti ne ha avuti?», chiese Jeffcott di Yale.
  «Due sino ad ora. Non so perché, tra tutti gli scienziati, gli antropologi sono coloro che conducono la più disordinata vita privata. Deve essere dovuto ai loro studi dei costumi e delle morali di tutti quei popoli diversi. "Se lo fanno gli esquimesi, perché non possiamo farlo anche noi?". Per fortuna io sono abbastanza vecchio per essere al sicuro».
  «Non ho paura di lei», affermò Jeffcott. Era un uomo sulla quarantina e sembrava un contadino impacciato nei suoi vestiti acquistati in un grande magazzino. «Sono così completamente sposato!».
  «Ah, sì? Avresti dovuto essere a Stanford alcuni anni fa, quando lei era là. Era pericoloso solo attraversare il campus, con Tuthill che dava la caccia a tutte le femmine e la Saddler che dava la caccia a tutti i maschi».
  La dottoressa Saddler dovette lottare per farsi strada quando scese dalla metropolitana, dato che gli adolescenti che infestano la banchina della Stillwell Avenue Station sono forse tra la gente più maleducata del mondo, tutt'al più con l'eccezione di coloro che abitano a Dobu, sulla ferrovia Western Pacific. Non che le importasse molto. La dottoressa era una donna alta e robusta, verso i quaranta, che si era tenuta in forma grazie ai rigori della vita all'aperto che la sua professione richiedeva. Inoltre, alcune delle vane osservazioni nelle pagine di Swift sull'acculturazione degli indiani Arapao le avevano tenuto il sangue sotto pressione.
  Camminando giù per la Surf Avenue verso Brighton Beach osservava i baracconi, senza esserne tentata, preferendo osservare i tipi umani intenti a far denaro e gli altri tipi umani intenti a portarglielo via. Provò un baraccone di tiro a segno, ma scoprì che abbattere civette di latta dal loro trespolo con una calibro 22 era troppo facile per essere divertente. Sparare per lei significava un fucile dell'esercito e tiro da lontano.
  Il baraccone accanto al tiro a segno avrebbe meritato il nome di baraccone da spettacolo di second'ordine, se vi fosse stato uno spettacolo di prim'ordine al quale venire secondo. Il solito cartellone sudicio proclamava l'unicità del loro vitello a due teste, della loro donna barbuta, di Aracne, la donna ragno e altre meraviglie del genere. Ma il loro pezzo forte era Ungo-Bungo, la feroce scimmia antropomorfa, catturata nel Congo con la perdita di ventisette vite umane. L'immagine mostrava un enorme Ungo-Bungo che strizzava un negro indifeso in ciascuna mano, mentre alcune persone cercavano di gettargli una rete sulla testa.
  La dottoressa Saddler sapeva perfettamente che il feroce scimmione si sarebbe rivelato per un comune tipo caucasico fornito di pelo falso sullo stomaco. Ma un impulso capriccioso la spinse ad entrare. Forse, pensò, avrebbe potuto ridere dello spettacolo con i suoi colleghi.
  L'imbonitore intanto snocciolava la sua arringa sostenuta da polmoni di cuoio. La dottoressa Saddler indovinò dalla sua espressione che gli facevano male i piedi. La donna tatuata non l'interessava minimamente, visto che le sue decorazioni non avevano ovviamente alcun significato culturale, come hanno tra i polinesiani. E quanto all'antico Maya, la dottoressa trovò di dubbio gusto esibire in quel modo un povero idiota microcefalo. Ma i giochi di prestigio del professor Yoki e il numero del mangiatore di fuoco non erano male.
  C'era una tenda di fronte alla gabbia di Ungo-Bungo. Al momento appropriato si udirono grugniti e il suono di una lunga catena che veniva scossa e che urtava contro una placca di metallo. L'imbonitore lanciò quindi nella sua nota più alta: «Signore e signori, l'unico e il solo UNGO-BUNGO!». E la tenda si aprì.
  Lo scimmione era accovacciato in fondo alla gabbia. Lasciò cadere la catena, si alzò e si trascinò in avanti. Afferrò due sbarre e diede loro uno strattone. Essendo state opportunamente sconnesse, tremarono in modo allarmante. Ungo-Bungo fece una smorfia nella direzione dei presenti, mostrando i suoi regolari denti gialli.
  La dottoressa Saddler guardava con molta attenzione. Si trattava di qualcosa di nuovo nella linea dei primati-scimmioni. Ungo-Bungo era alto uno e sessanta, uno e sessantacinque, ma era molto massiccio e aveva enormi spalle incurvate. Sopra e sotto il suo costume da bagno azzurro, un pelo fitto, grigiastro lo copriva dalla testa alle caviglie. Le sue braccia tozze e muscolose terminavano in grosse mani dalle dita spesse e nodose. Il collo era leggermente prominente, così che dal davanti sembrava quasi che non avesse collo.
  Il suo volto... beh! pensò la dottoressa, lei conosceva tutte le razze umane viventi e anche tutti gli anormali creati dalle disfunzioni ghiandolari, ma nessuno di loro aveva un volto come quello. Era segnato da rughe profonde. La fronte, tra i capelli corti dello scalpo e le immense arcate sopracciliari, sfuggiva all'indietro molto bruscamente. Il naso, benché largo, non era di scimmia; era una versione in piccolo del naso armenoide, spesso e a uncino, che sovente viene erroneamente chiamato naso ebraico. Il volto terminava in un labbro superiore lungo e in un mento sfuggente. E la pelle giallastra aveva tutta l'aria di appartenere a Ungo-Bungo.
  La tenda venne di nuovo richiusa.
  La dottoressa Saddler uscì con gli altri, ma pagò un altro biglietto e tornò dentro quasi subito. Non fece alcuna attenzione all'imbonitore, ma si procurò un buon posto in prima fila, davanti alla gabbia di Ungo-Bungo, prima che arrivasse il resto degli spettatori.
  Ungo-Bungo ripeté la sua esibizione con precisione meccanica. La dottoressa Saddler notò che zoppicava leggermente quando si accostò alle sbarre per scuoterle, e che la sua pelle, sotto il folto pelo, presentava parecchie cicatrici biancastre. L'ultima falange dell'anulare sinistro mancava. Notò anche alcune cose circa la proporzione tra polpaccio e coscia, tra avambraccio e braccio superiore e vide che il grosso piede era piatto.
  La dottoressa Saddler pagò un terzo biglietto. In qualche punto della sua mente un'idea stava martellando. Se le dava via libera, o lei era pazza o l'antropologia fisica era un rompicapo o... qualche altra cosa. Ma sapeva benissimo che se avesse fatto ciò che era sensato fare, cioè andare a casa, quell'idea l'avrebbe ossessionata per sempre.
  Dopo la terza esibizione parlò all'imbonitore. «Credo che il vostro Ungo-Bungo sia un mio vecchio amico. Può fare in modo che io possa vederlo dopo lo spettacolo?».
  L'imbonitore ridacchiò con sarcasmo. La persona da cui veniva la richiesta non... non era evidentemente il tipo di dama che di solito chiede di vedere i maschi dopo che hanno finito il lavoro.
  «Oh!... Lui», disse. «Si chiama Gaffney... Clarence Aloysius Gaffney. È lui che vuole vedere?».
  «Beh, sì, lui».
  «Penso che sia possibile». Guardò l'orologio. «Deve ancora fare quattro turni prima della chiusura. Devo chiedere al boss». Si infilò dietro una tenda e chiamò «Ehi, Morrie!». Tornò subito. «Tutto okay. Morrie dice che può aspettare nel suo ufficio. La prima porta a destra».
  Morrie era un tipo grosso, calvo e ospitale. «Certo, certo», disse facendo ondeggiare il sigaro. «Lieto di esserle utile, Signorina Saddler? Abbia pazienza solo un minuto, mentre parlo al manager di Gaffney». Ficcò la testa fuori dalla porta: «Ehi, Pappas! Una signora vuole parlare al tuo scimpanzè, capo. Ho detto una signora, okay». Rientrò per fare un bel discorso sulle difficoltà inerenti al business dei mostri.
  «Prenda questo Gaffney, per esempio. È il miglior uomo-scimmia del giro; tutto quel pelo gli cresce davvero addosso. E il poveraccio ha veramente la faccia che ha. Ma la gente lo crede? No! Io li sento dire, quando escono, che il pelo è posticcio, che tutta la faccenda è un imbroglio. È mortificante». Raddrizzò la testa, in ascolto. «Questo brontolìo non viene da un autoscontro; sta per piovere. Spero che per domani sarà cessata. Non ha un'idea di come la pioggia butti giù le entrate. Se disegnassimo una curva, sarebbe una cosa così». Tracciò con il dito una riga diritta nell'aria e di colpo l'abbassò a indicare gli effetti della pioggia. «Ma, come dicevo, la gente non apprezza gli sforzi che si fanno per loro. Non è solo il denaro; io mi ritengo un artista. Un artista creativo. Uno spettacolo come questo deve avere equilibrio e proporzione, come ogni altra espressione arti...».
  
  Sarà stata un'ora più tardi quando una voce profonda, lenta, disse dalla porta: «Qualcuno voleva vedermi?».
  L'uomo nodoso era sulla soglia. Vestito con gli abiti normali, il colletto dell'impermeabile rivoltato e la falda del cappello abbassata, aveva un aspetto più o meno umano, benché l'impermeabile mal si adattasse alle grosse spalle spioventi. Aveva con sé un grosso bastone bernoccoluto con un laccio di cuoio fissato alla cima. Un omettino scuro si agitava dietro di lui.
  «Sì», disse Morrie, interrompendo la sua orazione. «Clarence, questa è la signorina Saddler. Signorina Saddler, questo è il signor Gaffney, uno dei nostri artisti più importanti».
  «Lieto di conoscerla», disse l'uomo nodoso. «Questo è il mio manager, il signor Pappas».
  La dottoressa Saddler spiegò che le sarebbe piaciuto, se era possibile, parlare con il signor Gaffney. Parlò con cautela; uno deve essere diplomatico, quando ficca il naso negli affari privati dei cacciatori di teste Naga, per esempio. L'uomo nodoso disse che sarebbe stato felice di prendere una tazza di caffè con la signorina Saddler; c'era un posticino, girato l'angolo, dove sarebbero potuti andare senza prendere la pioggia.
  Come si mossero, Pappas li seguì, sempre più agitato. L'uomo nodoso disse: «Va' a casa e va' a letto, John. Non ti preoccupare per me». Sorrise alla dottoressa Saddler. L'effetto di quella smorfia avrebbe sconvolto chiunque non fosse stato un antropologo. «Ogni volta che mi vede parlare con qualcuno pensa che si tratti di un manager che mi vuole portare via». Parlava un comune americano, con una traccia di cadenza dialettale irlandese quando pronunciava le vocali in parole come «man» e «talk». «Ho chiesto all'avvocato che ha fatto il contratto di mettere le cose in modo che potessi essere libero con un preavviso corto».
  Pappas se ne andò, con un'aria sempre più sospettosa. La pioggia era praticamente cessata. L'uomo nodoso camminava di buon passo, nonostante il suo zoppicare.
  Una donna li incrociò, con un fox terrier al guinzaglio. Il cane fiutò nella direzione dell'uomo nodoso e, poi, a tutti gli effetti sembrò impazzire e si mise a guaire e a far bava. L'uomo nodoso sollevò la mano e la portò al suo massiccio bastone, dicendo piano: «È meglio che lo tenga bene, signora». La signora se ne andò in tutta fretta. «Proprio non mi possono soffrire», commentò Gaffney. «I cani, voglio dire».
  Trovarono un tavolino libero e ordinarono un caffè. Quando l'uomo nodoso si tolse l'impermeabile, la dottoressa Saddler fiutò un forte odore di colonia a buon mercato. Lui tirò fuori una pipa con un fornello bitorzoluto. Gli si addiceva molto, come gli si addiceva il bastone da passeggio. La dottoressa Saddler notò che i suoi occhi, profondamente incassati sotto le prominenti arcate, erano color nocciola chiaro.
  «Allora?», chiese lui nel suo brontolìo strascicato.
  Lei cominciò con le domande.
  «I miei genitori sono irlandesi», rispose Gaffney. «Ma io sono nato nella South Boston... vediamo... quarantasei anni fa. Posso farle avere una copia del mio certificato di nascita. Clarence Aloysius Gaffney, 2 maggio 1900». Sembrava trarre molto divertimento da questa dichiarazione.
  «I suoi genitori erano, l'uno o l'altro, di un tipo fisico in qualche modo inabituale?».
  Aspettò qualche istante prima di rispondere. Lo faceva sempre, così sembrava. «Um... um... Entrambi. Una questione di ghiandole, suppongo».
  «Entrambi nati in Irlanda?».
  «Sì, nella contea di Sligo». Di nuovo quell'ammiccamento.
  La dottoressa rifletté. «Signor Gaffney, le spiacerebbe se le facessi fare qualche fotografia e prendere qualche misura? Potrebbe eventualmente usare le foto per il suo lavoro».
  «Si può fare». Sorseggiò il caffè. «Augh! Gazooks! Scotta!».
  «Che cosa?».
  «Ho detto che il caffè scotta».
  «No, prima di quello».
  L'uomo nodoso sembrò leggermente imbarazzato. «Vuol dire il "gazooks"? Beh,... io... una volta ho conosciuto un uomo che usava questa esclamazione».
  «Signor Gaffney, io sono uno scienziato e non sto cercando di ricavare qualcosa da lei per i miei interessi privati. Lei può essere franco con me».
  C'era qualcosa di così remoto e impersonale nell'occhiata che le lanciò che le diede freddo nella schiena. «Vuol dire che sino ad ora non lo sono stato?».
  «Esattamente. Quando l'ho vista ho deciso che c'era qualcosa di straordinario nella sua storia. E continuo a pensarlo. Se lei ora pensa che io sia pazza, lo dica e lasciamo perdere. Ma voglio arrivare al fondo di questa storia».
  Prese tempo prima di rispondere. «Dipende». Vi fu un'altra pausa. Poi continuò: «Con tutte le sue conoscenze, lei è in contatto con un chirurgo veramente bravo?».
  «Sì... certo. Conosco Dunbar».
  «Quel tipo che indossa un camice color porpora quando opera? Il tipo che ha scritto il libro "Dio, Uomo ed Universo"?».
  «Sì. È una brava persona, nonostante le sue maniere teatrali. Perché? Che cosa vuole da lui?».
  «Non quello che sta pensando. Sono contento del mio... beh... insolito tipo fisico. Ma ho qualche vecchia frattura... ossa rotte che non si sono mai aggiustate bene... e che desidero mettere a posto. Ma deve trattarsi di uno bravo. Ho duemila dollari da parte in un libretto di risparmio, ma conosco il tipo di onorario che quella gente richiede. Se lei potesse combinare la cosa...».
  «Sì, certo, potrei senz'altro... anzi posso garantirlo. Dunque avevo ragione? E lei può...». Esitò.
  «Raccontarle tutto? Um... um... Ma si ricordi, posso sempre provare che sono Clarence Aloysius, se voglio».
  «Chi è dunque lei?».
  Di nuovo ci fu una lunga pausa. Poi l'uomo nodoso disse: «Glielo posso anche dire. Non appena le venisse voglia di ripeterlo, metterebbe la sua reputazione nelle mie mani.
  «Prima di tutto, non sono nato nel Massachusetts. Sono nato nell'alto Reno, vicino a Mommenheim. E sono nato, per quanto possa fare il calcolo, nell'anno cinquantamila avanti Cristo».
  Matilda Saddler si chiese se per caso non si trovava di fronte al colpo più grosso, in antropologia, o se invece questo bizzarro personaggio avrebbe fatto sembrare il barone di Münchhausen un ingenuo.
  Sembrò indovinare i suoi pensieri. «Non posso provarlo, naturalmente. Ma se mi combina l'operazione, non m'importa se mi crede o no».
  «Ma... come... come...?».
  «Penso sia stato il fulmine. Eravamo a caccia e stavamo cercando di far cadere un bisonte in una buca. Beh, d'improvviso arrivò il temporale, e il bisonte scappò nella direzione sbagliata. Così pensammo di rinunciare e cercammo di ripararci. La prima cosa che ricordo dopo di questo è che io giacevo sul terreno con la pioggia che si riversava su di me e il resto del gruppo mi stava intorno lamentandosi: che cosa avevano fatto per irritare il dio della tempesta al punto da indurlo ad aprire un bel buco nel loro cacciatore più bravo. Non avevano mai detto questo di me, prima. È buffo come uno non è mai apprezzato finché è vivo.
  «Ma ero vivo, assolutamente. I miei nervi rimasero piuttosto tesi per qualche settimana, ma per il resto ero okay, salvo che per qualche bruciatura nella pianta dei miei piedi. Non so che cosa era successo; ma un paio d'anni fa ho letto che alcuni scienziati hanno scoperto il meccanismo che controlla la sostituzione del tessuto nel midollo allungato. Forse il fulmine ha fatto qualcosa al mio midollo, per attivarlo. Ad ogni modo, non sono mai più invecchiato, dopo quel fatto. Fisicamente, voglio dire. Avevo trentatré anni, più o meno, a quel tempo. Noi non contavamo gli anni. Adesso sembro più vecchio perché le linee della faccia per forza sono costrette a segnarsi dopo qualche migliaio d'anni e i nostri capelli erano sempre grigi in punta. Ma posso sempre fare un nodo in un Homo sapiens normale, se voglio».
  «Dunque lei è... lei vuol dire che... lei sta cercando di dirmi che lei è...».
  «Un uomo di Neanderthal? Homo Neanderthalensis? Sì».

 

Nessun commento:

Posta un commento