sabato 21 ottobre 2023

Roberto Roganti: Modena-Sendai a palla avvelenata

Prologo

Modena, 7 aprile 2023
L’agente scelto Federico Fava ha convocato in sala riunioni tutto lo staff della squadra a cui appartiene, assieme ad altri colleghi. Sembra che debba fare un importante annuncio. Quando gli sembra che ci siano tutti, sale in piedi su una sedia, batte le mani e:
«Torno a casa ragazzi!»
«Come torni a casa?» chiede il commissario Ghigi. «Abiti qui a Modena! Ma di che casa parli?»
«Torno in Giappone, a Sendai, da mia moglie. Mi sono licenziato!»
«Ma sei sposato?» chiede una voce dal fondo della sala.
«Anni fa, quando ero ancora una recluta, ho conosciuto una ragazza giapponese. Sapete che sono un baritono e canto in un coro modenese, beh, durante uno dei gemellaggi con realtà liriche di altri paesi, ho conosciuto questo soprano del Sol Levante. Ammetto che ho subito pensato a una avventura, credevo che nell’arco di qualche giorno sarebbe tornata da dove era venuta, invece si è fermata da noi più di un anno, faceva un corso di vocalizzazione. Che volete che vi dica, mi piaceva, le piacevo… Abbiamo iniziato a frequentarci e dai e dai… sapete come vanno a finire queste cose, che ve le racconto a fare.»
I colleghi e qualche ispettore ridacchiano e lo incitano a raccontare particolari piccanti della loro storia, ma Federico è irremovibile. I fatti personali si chiamano personali proprio per questo motivo.
«Poi è andata a fare uno stage a Milano, alla Scala e… ha prolungato la sua permanenza nel nostro paese, ma si è trasferita là. Il mio lavoro, che è anche il vostro, era decisamente incompatibile per noi che vivevamo a 200km di distanza, le trasferte erano difficili da organizzare, così ho chiesto il trasferimento in una questura meneghina e sono andato là. E anche là diventava difficile pagare due affitti, Milano ha prezzi elevatissimi, così ridendo e scherzando abbiamo unito gli sforzi e siamo andati a convivere.»
«Acci… Acci, c’è Davide Mengacci…» butta lì ridendo il vice commissario Vezzani.
«Comunque c’erano pettegolezzi in giro, per via del poliziotto italiano e la giapponesina. Giravano voci che mi ero portato dietro la geisha, la schiavetta, la concubina… voci che mi infastidivano, perché noi eravamo una coppia di fatto e ci amavamo, altro che rapporto padronesubalterno! Così una mattina ci siamo fiondati in Comune e ci siamo sposati. Finite le malelingue.»
«Una curiosità Fede, la tua lei ti cucinava cibi giapponesi?»
«Qualche volta sì, ma conosceva la nostra cucina. Con il nostro lavoro si arriva a casa al volo, si mangia in fretta e furia, si fa zin zin se hai tempo, poi scappi via. A Milano c’erano un sacco di emergenze. Da casa passavo poco e quel poco cercavo di farmelo bastare. Per fortuna ha finito lo stage alla Scala e siamo ritornati a Modena. Avevo richiesto di nuovo il trasferimento, ma ci volle un annetto per ritornare qui. Nel frattempo lei ha finito il suo secondo corso modenese, così approfittando della mia aspettativa per il passaggio presso questa questura, siamo partiti per il Giappone. E’ una soprano di una compagnia nipponica molto importante, le avevano concesso e finanziato vari anni per impratichirsi e specializzarsi, ma il tempo era finito. Io ero conscio di questo e di buon grado l’ho seguita nel suo paese. Appena mi hanno comunicato che il mio posto qui era pronto, sono rientrato, ma lei è rimasta laggiù. Ci vedevamo soltanto durante le ferie, che prendevamo spaiate per poterci vedere di più.»
«Ecco perché te le facevi tutte a spizzichini… Hai capito il marpione?»
«C’era anche un’altra questione che mi tratteneva qui a Modena, i miei genitori, ormai anziani. Non potevo e non volevo lasciarli qui da soli, poi è arrivato il Covid e… in Giappone la quarantena era seria… quarantena, quaranta giorni. Partire da là o andare là significava farsi quasi tutte le ferie in quarantena, assurdo. Abbiamo così deciso di comune accordo che ci saremo rivisti al termine dell’emergenza sanitaria. Nel frattempo era spirato mio padre e mia madre, al termine del periodo Covid, si era ammalata pesantemente, così sono rimasto qui per deliziarvi della mia presenza.»
«Su questo te ne siamo grati, ma con lei come avete fatto?»

Ormai la sala conferenze si era trasformata in un seminario sugli ultimi giorni geminiani dell’agente scelto Federico Fava, erano tutti intenti ad ascoltare quell’omone che parlava con la sua voce pacata, calda, tranquillizzante. Eppure chi lo aveva visto in azione sapeva cosa era capace di fare. Aveva una forza determinata, soprattutto quando affrontava i momenti di pericolo. Non si tirava mai indietro ed era il primo a intervenire e a proteggere.

«Veniva lei qui a Modena, non ci avete fatto caso, non prendevo le ferie e non andavo in vacanza, non potevo per via di mamma, sfruttavo al massimo la 104. Poi, verso fine emergenza Covid, mia madre è spirata e, praticamente sono restato solo, posso dire finalmente libero di ricongiungermi con la mia amata. Ma c’era il problema del lavoro, mi mancava un annetto per la pensione minima. Ora ho potuto finalmente andarci, ancora due giorni e poi non sarò più un militare bensì un civile. Sistemo le mie carabattole e poi me ne torno da lei. Ho il volo da Roma Fiumicino, mercoledì 12 aprile e arrivo a Tokyo il giorno dopo, volo diretto, ci vogliono circa dodici ore e mezza per lo scalo di Tokyo Haneda, salvo perturbazioni, ingorghi, UFO, etc.... Mia moglie sarà già là, poi assieme andremo a fare una vacanza nelle isole a sud del Giappone per alcuni giorni, infine voleremo fino a casa nostra, a Sendai.»
«E come ci vai in aeroporto, che di solito sei tu a guidare le nostre auto?»
«Ti porto io!» salta su Balboni decisamente commosso, che a fatica trattiene le lacrime.
«Meglio di no Claudio, ti ringrazio, se mi accompagni tu dobbiamo partire oggi pomeriggio» Federico gli dà una pacca su una spalla, lo abbraccia e gli accarezza la quasi pelata. L’altro inizia a piangere copiosamente.
«Non ci crederete, mi accompagna Marcon, Massimo, il segretario del questore. Deve andare al Ministero per una questione burocratica e si è offerto di darmi un passaggio. In fondo in fondo anche in lui batte un cuore. E dire che abbiamo creduto per anni che fosse quasi un automa.»

Si odono soffiature di naso, colpi di tosse e sbuffi. A molti dispiace e non poco che il gigante buono, come lo chiamavano fra di loro, stia per lasciarli. Ma la vita è questa. Non bisogna fermarsi e si deve fare quello che ci si sente di fare. Federico aveva scelto l’amore. Sarebbe tornato dalla sua compagna di vita, in un altro paese completamente diverso dal suo natio, avrebbe dovuto reinventarsi un’esistenza e ricominciare a vivere in un’altra maniera. Chi lo conosce sa che ce l’avrebbe fatta. Tutti si alzano, lo circondano, vogliono abbracciarlo per l’ultima volta. Mancherà di sicuro e ognuno se lo porteranno nel cuore, per sempre.
«Ma hai salutato Grogghino?» chiede Claudio Balboni con una voce piagnucolosa.
«Faccio un salto in medicina legale nel pomeriggio, ho convocato anche quelli della scientifica, nessuno escluso. Quella è una sezione di questo complesso molto particolare. Non amo le calche, lo sapete… e poi preferivo incontrare prima voi.»
Ancora pacche sulla spalla, pianti, baci, strette di mano e battutacce… si sprecano creando una gioiosa confusione nei tristi ambienti della questura di Modena.

Passi pesanti echeggiano per i tetri corridoi della morgue modenese. Una possente mano spinge la basculante della sala autoptica. Il gigante buono si introduce nell’ambiente buio, con una certa circospezione. Di colpo questo si anima e mille luci si accendono. Tutt’altra accoglienza qualche piano più sotto; qui, nonostante si viva tra i morti, gli abitanti sono più vivi che mai.
Federico non crede ai suoi occhi… ci sono proprio tutti e tutti vestiti da giapponesi, nei costumi tradizionali di quel paese. E’ un altro mondo lì sotto, c’è un altro spirito, che ti porta ad affrontare la morte in scioltezza e con sarcasmo. Conducono la festa il medico capo responsabile della medicina legale, il dottor David Pavoncello assistito dal figliolo Etienne, agente tecnico. Si aggirano servendo tè al gelsomino e sakè caldo. Su un tavolo autoptico è stato allestito un buffet con vari tipi di sushi: Hosomaki, Temaki, Uramaki, Nigiri, Sashimi, Gunkan, Onigiri… Grogghino si avvicina con una scodella fumante.
«Favasan… favolisce il suo lamen di manzo di Kokolo, il suo plefelito?»
Due geishe, avvolte nel kimono Susohiki, protette da un samurai armato di tutto punto, lo affiancano. Si muovono traballanti con non poca fatica sui sandali tradizionali giapponesi, i Geta, metà tra zoccoli e infradito, con la suola in legno rialzata da due tasselli, tenuta sul piede con una stringa che divide l'alluce dalle altre dita. Sul volto hanno il tradizionale trucco chiamato Oshiroi Make Up, che rappresenta una sorta di vestizione del viso, in cui la donna abbandona la sua identità per vestire quella di un'artista dalle capacità quasi ultraterrene. Conciate a quel modo non ha la più pallida idea di chi siano… ma essendo solo in due in mezzo a tutti quei maschi… sono sicuramente i commissari tecnici Elena Gemignani per l’antropologia forense e Paola Ferrari per la sezione chimica. Il samurai, considerata la stazza, non può essere altri che il commissario capo tecnico responsabile della scientifica, il palestrato Federico Loschi.
A Federico gira la testa, non si aspettava questa strana accoglienza festosa. Gli si avvicinano due figuri, vestiti di tutto punto. Indossano lo Youkata di colore scuro con cintura Kaku Obi in cotone in tinta chiara, acconciatura Chonmage, con la fronte rasata e i rimanenti capelli, lunghi, uniti e legati a formare una piccola coda di cavallo, ripiegata sulla sommità della testa con un ciuffo stranissimo. Anche loro calzano dei Geta e faticano a restarci sopra, pare debbano cadere da un momento all’altro.
Mentre si inchinano a mani giunte dicono assieme «Ohayou gozaimasu.»
Federico riconosce la voce del questore, il dottor Andrea Vaccari e del suo segretario Massimo Marcon.
«Eglegio agente scelto Fedelico Fava, nel nome del popolo italiano, le confelisco questa onolificienza pel gli anni che ha dedicato al nostlo selvizio. Malcon gli dia la pelgamena.»
Marcon, infila le mani nelle tasche interne del kimono e poi estrae un foglio arrotolato, con tanto di nastro bianco rosso e verde.
«E’ stato un onole avella qui con noi. Spelo che la sensazione sia stata leciploca.»
Il questore gli stringe la mano, Marcon lo guarda sollevando lo sguardo timidamente. Federico si allontana sicuro di aver intravisto in quegli occhi una lacrimuccia.
“Lo sapevo che Marcon non è soltanto un segretario al servizio di una carica dello stato, ma ha un cuore e un’anima pure lui…” pensa prima di accomiatarsi dal gruppetto, velocemente perché il groppo in gola sta lievitando a dismisura e lui, il forte gigante poliziotto, non vuole farsi cappellare a commuoversi.
 

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