sabato 28 ottobre 2023

Oriana Fallaci: La rabbia e l'orgoglio


Mi chiedi di parlare, stavolta. Mi chiedi di rompere almeno stavolta il silenzio che ho scelto, che da anni mi impongo per non mischiarmi alle cicale. E lo faccio. Perché ho saputo che in Italia alcuni gioiscono come l'altra sera alla Tv gioivano i palestinesi di Gaza. «Vittoria! Vittoria!». Uomini, donne, bambini. (Ammesso che chi fa una cosa simile possa essere definito uomo, donna, bambino). Ho saputo che alcune cicale di lusso, politici o cosiddetti politici, intellettuali o cosiddetti intellettuali, nonché altri individui che non meritano la qualifica di cittadini, si comportano sostanzialmente nello stesso modo.
Dicono: «Bene. Agli americani gli sta bene».
E sono molto, molto, molto arrabbiata. Arrabbiata d'una rabbia fredda, lucida, razionale. Una rabbia che elimina ogni distacco, ogni indulgenza, che mi ordina di rispondergli e anzitutto di sputargli addosso. Io gli sputo addosso. Arrabbiata come me, la poetessa afroamericana Maya Angelou ieri ha ruggito: «Be angry. It's good to be angry. It's healthy. Siate arrabbiati. Fa bene essere
arrabbiati. È sano». E se a me faccia bene non lo so. Però so che non farà bene a loro. Intendo dire a chi ammira gli Usama Bin Laden, a chi gli esprime comprensione o simpatia o solidarietà. A rompere il silenzio accendo un detonatore che da troppo tempo ha voglia di scoppiare. Vedrai. Mi chiedi anche di raccontare come l'ho  vissuta io, quest'Apocalisse. Di fornire insomma la mia testimonianza. Incomincerò dunque da quella.

Ero a casa, la mia casa è nel centro di Manhattan, e verso le 9 ho avuto la sensazione d'un pericolo che forse non mi avrebbe toccato ma che certo mi riguardava. La sensazione che si prova alla guerra, anzi in combattimento, quando con ogni poro della tua pelle senti la pallottola o il razzo che arriva, e tendi le orecchie e gridi a chi ti sta accanto:
«Down! Get down! Giù! Buttati giù». 
L'ho respinta. Non ero mica in Vietnam, non ero mica in una delle tante e fottutissime guerre che sin dalla Seconda Guerra Mondiale hanno seviziato la mia vita! Ero a New York, perbacco, in un meraviglioso mattino di settembre. L'11 settembre 2001. Ma la sensazione ha continuato a possedermi, inspiegabile, e allora ho fatto ciò che al mattino non faccio mai. Ho acceso la Tv. Bè, l'audio non funzionava. Lo schermo, sì. E su ogni canale, qui di canali ve ne sono circa cento, vedevi una torre dello World Trade Center che dagli ottantesimi piani in su bruciava come un gigantesco fiammifero. Un corto circuito? Un piccolo aereo sbadato? Oppure un atto di terrorismo mirato? Quasi paralizzata son rimasta a fissarla e, mentre la fissavo, mentre mi ponevo quelle tre domande, sullo schermo è apparso un aereo. Bianco, grosso. Un aereo di linea. Volava bassissimo. Volando bassissimo si dirigeva verso la seconda Torre come un bombardiere che punta sull'obbiettivo, si getta sull'obbiettivo. 
Sicché ho capito. Voglio dire, ho capito che si trattava d'un aereo kamikaze e che per la prima Torre era successo lo stesso. E, mentre lo capivo, l'audio è tornato. Ha trasmesso un coro di urla selvagge. Ripetute, selvagge. «God! Oh, God! Oh, God, God, God! Gooooooood! Dio! Oddio! Oddio! Dio, Dio, Dioooooooo!». E l'aereo bianco s'è infilato nella seconda Torre come un coltello che si infila dentro un panetto di burro.

Erano le 9 e zero tre minuti, ora. E non chiedermi che cosa ho provato in quel momento e dopo. Non lo so, non lo ricordo. Ero un pezzo di ghiaccio. Anche il mio cervello era ghiaccio. Non ricordo neppure se certe cose le ho viste sulla prima Torre o sulla seconda. La gente che per non morire bruciata viva si buttava dalle finestre degli ottantesimi o novantesimi o centesimi piani, ad
esempio. Rompevano i vetri delle finestre, le scavalcavano, si buttavano giù come ci si butta da un aereo avendo addosso il paracadute. A dozzine. Sì, a dozzine. E venivano giù così lentamente. Così lentamente... Agitando le gambe e le braccia, nuotando nell'aria. Sì, sembravano nuotare nell'aria. E non arrivavano mai. Verso i trentesimi piani, però, acceleravano. Si mettevano a gesticolar disperati, suppongo pentiti, quasi gridassero help aiuto help. E magari lo gridavano davvero. Infine cadevano a sasso e paf! Santiddio, io credevo d'aver visto tutto alle guerre. Dalle guerre mi ritenevo vaccinata, e in sostanza lo sono. Niente mi sorprende più. Neanche quando mi arrabbio, neanche quando mi sdegno. Però alle guerre io ho sempre visto la gente che muore ammazzata. Non l'ho mai vista la gente che muore ammazzandosi, buttandosi senza paracadute dalle finestre d'un ottantesimo o novantesimo o centesimo piano. Hanno continuato a buttarsi finché, una verso le dieci, una verso le dieci e mezzo, le Torri sono crollate e... Sai, con la gente che muore ammazzata, alle guerre io ho sempre visto roba che scoppia. Che crolla perché
scoppia, perché esplode a ventaglio. Le due Torri, invece, non sono crollate per questo. La prima è crollata perché è implosa, ha inghiottito sé stessa.
La seconda perché s'è fusa, s'è sciolta proprio come se fosse stata un panetto di burro. E tutto è avvenuto, o m'è parso, in un silenzio di tomba. Possibile?
C'era davvero, quel silenzio, o era dentro di me?
Forse era dentro di me. Chiusa dentro quel silenzio ho infatti ascoltato la notizia del terzo aereo buttatosi sul Pentagono, e quella del quarto caduto sopra un bosco della Pennsylvania.
Chiusa dentro quei silenzio mi son messa a calcolare il numero dei morti e mi son sentita mancare il respiro. Perché nella battaglia più sanguinosa alla
quale abbia assistito in Vietnam, una delle battaglie avvenute a Dak To, di morti ce ne furono quattrocento. Nella strage di Mexico City, quella dove anch'io mi beccai un bel po' di pallottole, almeno ottocento. E quando credendomi morta con loro mi scaraventarono nell'obitorio, mi lasciarono lì tra i cadaveri, quelli che presto mi ritrovai addosso mi sembrarono ancora di più. Nelle Torri lavoravano ben cinquantamila persone, capisci, e molte non hanno fatto in tempo ad evacuare.
Una prima stima parla di settemila missing. Però v'è una differenza tra la parola missing cioè disperso, e la parola dead cioè morto. In Vietnam si distingueva sempre tra i missing-in-action cioè i dispersi e i killed-in-action cioè i morti... Mah! Io sono convinta che il vero numero dei morti non ce lo diranno mai. Per non sottolineare l'intensità di questa Apocalisse, per non incoraggiare altre Apocalissi. E poi le due voragini che hanno assorbito le migliaia e migliaia di creature sono troppo profonde, troppo tappate da detriti. Al massimo gli operai dissotterrano pezzettini di membra sparse. Un naso qui, un dito là. Oppure una specie di melma che sembra caffè macinato e che
invece è materia organica. Il residuo dei corpi che in un lampo si disintegrarono, si incenerirono. Ieri il sindaco Giuliani ha mandato altri diecimila sacchi per metterci i cadaveri. Ma sono rimasti inutilizzati.

 

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