venerdì 8 settembre 2023

Allende Isabel - Paula


Nel dicembre 1991 mia figlia Paula si ammalò gravemente, e poco dopo entrò in coma. Queste pagine furono scritte durante ore interminabili nei corridoi di un ospedale di Madrid e in una stanza d'albergo in cui vissi per lunghi mesi, E anche accanto al suo tetto, nella nostra casa in California nell'estate e nell'autunno 1992.
 
Dicembre 1991 - Maggio 1992
 
Ascolta, Paula, ti voglio raccontare una storia, così quando ti sveglierai non ti sentirai tanto sperduta.
La leggenda familiare inizia nei primi anni del secolo scorso, quando un robusto marinaio basco sbarcò sulle coste cilene con la testa piena di progetti di grandezza e protetto dal reliquiario di sua madre appeso al collo; ma perché risalire così indietro, basta dire che la sua discendenza fu una stirpe di donne impetuose e di uomini dalle braccia forti per il lavoro e dal cuore sentimentale. Alcuni, dal carattere irascibile, morirono sputando schiuma dalla bocca, ma forse la causa non fu la rabbia, come vollero le malelingue, bensì qualche pestilenza locale. Acquistarono terreni fertili nei dintorni della capitale che col tempo crebbero di valore, si raffinarono, edificarono dimore signorili con parchi e viali alberati, diedero le figlie in sposa a ricchi creoli, educarono i figli in severi collegi religiosi e così, col passar degli anni, si integrarono in una orgogliosa aristocrazia di proprietari terrieri che prevalse per più di un secolo, finché il vento impetuoso del modernismo non la sostituì al potere con i tecnocrati e i commercianti. Uno di loro era mio nonno. Ebbe buoni natali, ma suo padre morì prematuramente per colpa di un inesplicabile sparo; non si seppero mai i dettagli di ciò che avvenne quella fatidica notte, forse fu un duello, una vendetta o un incidente d'amore, in ogni caso la sua famiglia rimase priva di risorse, ed egli, essendo il maggiore, dovette lasciare la scuola e cercarsi un impiego per mantenere la madre ed educare i fratelli minori. Molto tempo dopo, quando era diventato un ricco signore davanti al quale gli altri si toglievano il cappello, mi confessò che la peggior povertà è quella degli indumenti, perché bisogna dissimularla. Si presentava impeccabile con gli abiti del padre riadattati alle sue misure, i colletti inamidati e i vestiti ben stirati per dissimulare il logorio della stoffa. Quei tempi di penuria gli temprarono il carattere, era convinto che l'esistenza fosse solo sforzo e lavoro, e che una persona per bene non potesse stare al mondo senza aiutare il prossimo. Già allora aveva quell'e-spressione concentrata e quell' integrità che lo caratterizzavano, era fatto della stessa materia rocciosa dei suoi antenati e, come molti di loro, aveva i piedi saldamente piantati per terra, ma una parte della sua anima fuggiva verso l'abisso dei sogni. Per questo si innamorò di mia nonna, la minore di una famiglia di dodici fratelli, tutti pazzi eccentrici e deliziosi, come Teresa, alla quale sul finire dei suoi giorni cominciarono a spuntare ali da santa e quando morì si seccarono in una notte tutti i roseti del Giardino Giapponese, o Ambrosio, spaccamontagne e gran fornicatore, che nei momenti di generosità si spogliava in strada per regalare gli abiti ai poveri. Sono cresciuta ascoltando storie sul talento di mia nonna nel predire il futuro, leggere nella mente altrui, parlare con gli animali e muovere oggetti con lo sguardo. Raccontavano che una volta aveva spostato un biliardo per il salone, ma in realtà l'unica cosa che vidi muoversi in sua presenza fu un'insignificante zuccheriera che all’ora del tè soleva scivolare erratica sul tavolo. Queste facoltà suscitavano un certo timore, e malgrado il fascino della fanciulla i possibili pretendenti si impaurivano in sua presenza; ma per mio nonno la telepatia e la telecinesi erano divertimenti innocui e non ostacoli al matrimonio, lo preoccupava soltanto la differenza di età, lei era molto più giovane e quando lui la conobbe giocava ancora con le bambole e si teneva stretto un piccolo cuscino consunto. Abituato a considerarla una bambina, non si rese conto della propria passione finché lei un giorno non comparve con un vestito lungo e i capelli raccolti, e allora la rivelazione di un amore rimasto in gestazione per anni lo gettò in una crisi di timidezza tale che smise di farle visita. Lei indovinò il suo stato d'animo prima ancora che lui riuscisse a dipanare la matassa dei propri sentimenti, e gli mandò una lettera, la prima delle molte che gli avrebbe scritto nei momenti decisivi delle loro vite. Non si trattava di un bigliettino profumato per tastare il terreno, ma di una breve nota scritta a matita su un foglio di quaderno in cui gli chiedeva senza preamboli se voleva diventare suo marito, e in caso affermativo quando. Alcuni mesi più tardi fu celebrato il matrimonio. La fidanzata si presentò all'altare come una visione d'altri tempi, avvolta in trine color avorio e con un disordine di fiori d'arancio di cera infilati nella crocchia; al vederla, lui decise che l'avrebbe amata fedelmente fino alla fine dei suoi giorni.

 

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