(Bologna, 5 novembre 1666 – Londra, 1729)
Compositore, cantante e organista italiano, virtuoso di violoncello e Viola d'amore. Nacque da Giuseppe (che apparteneva a un ramo bolognese della famiglia nobile Ariosti) e da Caterina Sgargioli; fu battezzato il 10 novembre nella chiesa di S. Maria Maggiore con i nomi di Attilio Malachia, quest'ultimo in seguito sostituito spesso dall'Ariosti con Clemente.
L'Ariosti ebbe due fratelli: uno maggiore, Ludovico Agostino, che morì fanciullo, e uno minore, Giovanni Battista, nato nel 1668, che, come lui, divenne frate col nome di Odoardo e fu musico. Da notare come la madre morta verso il 1716, nel suo testamento, così come è riportato in data 4 febbr. 1716 nel Repertorio degli Cognomi nell'Archivio de' Servi (Arch. di Stato di Bologna), nomini suo erede universale "il molto R. Pre. Odoardo Areosti, Sacerdote dell'ordine di S. Maria de' Servi, di questa città, suo figlio..." e non faccia cenno dell'altro figlio Attilio. Forse questa voluta omissione deve ricercarsi nella vita avventurosa che conduceva l'Ariosti e che poco si conciliava con le regole dell'Ordine che invece avrebbe dovuto osservare.
Dell'educazione musicale dell'Ariosti non si sa nulla. Il 21 giugno 1688 entrò con altri due giovani, Giuseppe Franzoni e Gaspare Cavazza, nel convento dei Servi per il probandato. Non si conoscono le ragioni per cui divenne frate, poiché, come dimostrerà nella sua vita il musicista prevalse sempre sul religioso (tanto da far scrivere in seguito alla regina Sofia Carlotta di Prussia in una lettera al Leibniz - forse del 25 marzo 1703 - che "il personaggio in questione [l'Ariosti], sia detto fra di noi, muore di paura di ritomare nel suo convento, e ciò mi fa pietà").
Il 25 luglio 1688, nella cerimonia della vestizione, l'Ariosti assunse il nome di frate Ottavio; il 28 luglio 1689 fece la professione pubblica e il 13 settembre prese gli ordini minori. Tre anni dopo (25 maggio 1692) divenne diacono. Non si ha notizia di una sua successiva ordinazione sacerdotale. In questo periodo l'Ariosti occupò il posto di organista nella chiesa dei Servi. Nel 1693 fece eseguire a Modena un suo oratorio, La Passione, su testo di C. Arnoldi e, due anni dopo, stampò per i tipi di Carlo Maria Fagnani di Bologna i Divertimenti da camera a violino e violoncello.La sua fama di musicista superò presto i confini della sua città, e già nella primavera del 1696 egli si trovava a Mantova al servizio di quella corte ducale così amante delle arti e in particolare della musica. Nella stagione 1696-97, trovandosi a Venezia - con ogni probabilità al seguito del duca Carlo IV di Mantova ch'era solito trascorrere ivi il carnevale -, l'Ariosti compose il dramma pastorale Il Tirsi, in collaborazione con A. Lotti e A. Caldara, e fece eseguire anche la sua opera Erifile. Forse da Venezia stessa, su ordine del duca, l'Ariosti si recò direttamente a Berlino alla corte di Sofia Carlotta elettrice di Brandeburgo che, ricevuta una buona educazione musicale alla corte patema di Hannover, aveva voluto fare di Berlino un nuovo centro della musica italiana e perciò aveva riunito intorno a sé molti artisti italiani, fra i quali il violinista N. Orio, il tiorbista A. F. Moscatelli, il compositiore R. Fedeli e il cantante F. Chiaravalle, precedentemente al servizio, come l'Ariosti, del duca di Mantova. In questo ambiente, favorevole alla sua attività, l'Ariosti in pochi mesi riuscì a conquistarsi la benevolenza di Sofia Carlotta, per la quale egli divenne presto insostituibile, suscitando così l'invidia dei suoi colleghi - e in particolare del Chiaravalle, che era stato privato del favore dell'elettrice - e dando origine a diverse voci calunniose a suo riguardo, seppure infondate.
Queste calunnie (insinuazione sui rapporti fra l'Ariosti e Sofia Carlotta, suo possibile matrimonio con una damigella di corte, ecc.) resero l'Ariosti oggetto di un lungo carteggio, complicato da un sottile gioco diplomatico, fra illustri personaggi: il cardinale Francesco Maria Medici, il duca Giovanni Gastone di Toscana, il p. generale dell'Ordine dei Servi, il filosofo Leibniz (che nell'occasione si dimostrò abile diplomatico e buon amico dell'Ariosti), l'elettrice Sofia Carlotta - divenuta nel frattempo regina di Prussia -, il duca Carlo IV di Mantova, il nunzio apostolico a Vienna Giovanni Antonio Davia, il principe vescovo Jodocus Edmund di Hildesheün ed altri ancora, fra i quali non ultimo l'abate Agostino Steffani, compositore e uno dei migliori rappresentanti della musica italiana in Germania, e il poeta aulico Ortensio Mauro, che scrisse alcuni libretti per l'Ariosti .
La diatriba si protrasse per lunghi anni per la resistenza opposta dalla regina, che non voleva privarsi del suo compositore preferito, e per il poco entusiasmo mostrato dall'Ariosti nell'obbedire alle ingiunzioni dei suoi superiori di far ritomo in patria. Infine la regina dovette cedere e nel maggio del 1703, a seguito di un'ultima lettera del granduca di Toscana Cosimo III, diede il permesso richiesto per l'Ariosti di "restituirsi in Italia ove il suo P. Generale lo desidera per vantaggio della propria Religione" (Ebert). Il 13 giugno l'Ariosti inviava una lettera di obbedienza al generale, nella quale assicurava un suo prossimo ritorno, ma trascorsero ancora alcuni mesi prima della sua partenza da Berlino. Questa avvenne, infatti, soltanto nell'ottobre, quando alla regina fu assicurato che l'Ariosti non sarebbe incorso in alcuna sanzione disciplinare, ma anzi, sarebbe stato "avanzato al grado di Maestro... per remunerare l'obbedienza da esso dimostrata dalla Corte di Brandemburgo alla volta d'Italia" (Ebert). Nel viaggio di ritorno, l'Ariosti si fermò a Vienna (24 novembre), dove restò fino al 1709 (dopo un breve soggiorno in Italia nel 1708), facendovi rappresentare nuovi lavori teatrali, cantate e oratori, fra i quali la giovanile Passione.
Conquistatisi la stima e il favore dell'imperatore Giuseppe I, l'Ariosti venne nominato maestro aulico e inoltre ministro e agente dell'imperatore "presso tutte le Corti e Principi d'Italia". Tuttavia i pettegolezzi e le invidie furono per lui causa ancora una volta di guai. Secondo G. Ghiselli (Memorie antiche manoscritte di Bologna, LXXIX, p. 279), la condotta piuttosto mondana dell'Ariosti, giustificata peraltro dall'ufficio di ministro imperiale, gli procurò, dopo la morte di Giuseppe I, avvenuta nel 1711, lo sfratto dagli stati austriaci e da quello pontificio. Allontanatosi dall'Italia, s'ignora dove l'Ariosti si recasse; sembra che nel 1715 facesse un viaggio nella Germania del sud e successivamente a Parigi. Nel 1716 si trovava a Londra, dove il 12 luglio suonò l'assolo per viola d'amore nella sinfonia dell'Amadigi di G. F. Haendel, suscitando un grande interesse per questo strumento allora poco usato. Nell'anno seguente fu rappresentata una sua opera, Tito Manlio, al teatro di Haymarket (4 aprile); poi di nuovo per altri cinque anni non si hanno notizie della sua attività, poiché risulta infondata l'attribuzione del primo atto dell'opera Muzio Scevola (composto infatti dal violoncellista Filippo Amadei), scritta dal poeta P. Rolli per la Royal Academy of Music e in cui gareggiarono G. B. Bononcini e Haendel, musicando rispettivamente il secondo e terzo atto, per stabilire la propria superiorità. Secondo il Fassini, una nuova opera dell'Ariosti, L'odio e l'amore, avrebbe chiuso la stagione teatrale 1720-21.
Di ritorno a Londra nel 1722, l'Ariosti ottenne una carica direttiva nella Royal Academy of Music, per la quale, nel periodo di poco più di quattro anni, scrisse sette opere. Nonostante il successo arriso alle prime di queste, tale da indurre l'editore Walsh di Londra a pubblicame i Favourite Songs, e pur avendo intorno a sé un gruppo notevole di ammiratori e protettori, l'Ariosti non poté sostenere a lungo il confronto con Haendel e dopo il 1727, perduto il favore del pubblico, lasciò l'Inghilterra. Tuttavia l'Ariosti riuscì a far pubblicare a Londra nel 1728 per sottoscrizione Alla Maestà di Giorgio Re della Gran Britagna...ecc., una significativa raccolta dedicata a Giorgio I, ma che sembra fosse stata già stampata nel 1724 sotto il titolo Cantates and a collection of lessons for the viola d'amore. L'Ariosti visse oscuramente gli ultimi anni della sua vita, forse a Bologna. Morì, sembra, verso il 1740 in Spagna e il Rolli lo gratificò di un beffardo epitaffio.
L'Ariosti è oggi soprattutto ricordato per l'importanza che le sue lezioni-sonate hanno nella letteratura degli strumenti ad arco. Dei suoi oratori, S. Radegonda reina di Francia (Bologna 1694), La Profezia d'Eliseo nell'assedio di Samaria (ibid. 1704), La madre dei Maccabei (Vienna 1705), Nabuccodonosor (ibid. 1706), va ricordato il già citato lavoro giovanile, La Passione, che per il vigore drammatico e il potente realismo dei cori, occupa un posto particolare nella storia dell'oratorio italiano.
Tuttavia, più che alla sua pur numerosa produzione teatrale, il nome dell'Ariosti è legato a quella strumentale da camera e in particolare alle sei Lezioni per viola d'amore. Queste sono in effetti sei sonate per il suddetto strumento e basso continuo modellate sulla forma della classica sonata antica, la quale, dai mutui scambi avvenuti fra sonata da chiesa e sonata da camera, si è fissata in modo definitivo, pur con le sue varietà, in quel tipo che accoglie in sé qualche movimento di danza o da questo derivato, qualche agile giga a festosa chiusura, movimenti quasi sempre preceduti o intramezzati da un andante solenne o largo come tempo libero gravemente elaborato in stile contrappuntistico.
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