lunedì 7 luglio 2025

Dashiell Hammett: Tutto in un’ora



1

— Il signor Chrostwaite — disse Vance Richmond.
Chrostwaite, incuneato tra i braccioli di una delle grosse poltrone dell’avvocato, grugnì qualcosa che forse voleva essere un saluto. Grugnii a mia volta e mi trovai una sedia.
Era davvero una mongolfiera, questo Chrostwaite, con un vestito scozzese che non contribuiva certo a smagrirlo. La cravatta era chiassosa, sui toni del giallo, con un grosso diamante in mezzo, e portava altre pietre preziose alle dita grassocce. I lineamenti erano offuscati da un grasso spugnoso che rendeva impossibile alla faccia rotonda e rubizza assumere qualsiasi espressione che non fosse la malevolenza porcina che le era abituale. Puzzava di gin.
— Il signor Chrostwaite è agente degli estintori Mutual per la Costa Occidentale — cominciò Vance Richmond non appena mi fui accomodato. — Il suo ufficio è in Kearny Street, vicino a California Street. Ieri pomeriggio, alle due e quarantacinque circa, ha lasciato l’automobile – una Hudson – davanti all’ufficio col motore acceso. Tre minuti dopo è uscito, e l’auto era sparita.
Guardai Chrostwaite: si stava guardando le ginocchia grasse senza mostrare il minimo interesse per ciò che il suo avvocato stava dicendo. Mi affrettai a tornare a guardare Vance Richmond: con la sua magrezza e la sua faccia grigia e sobria sembrava addirittura bello a confronto del cliente.
— Un uomo di nome Newhouse — stava dicendo l’avvocato, — proprietario di una tipografia di California Street, vicinissimo all’ufficio del signor Chrostwaite, è stato investito e ucciso dall’auto del signor Chrostwaite all’angolo tra Clay Street e Kearny Street cinque minuti dopo che il signor Chrostwaite aveva lasciato l’auto per andare in ufficio. La polizia ha ritrovato l’auto poco dopo, a un solo isolato di distanza dal luogo dell’incidente, in Montgomery Street vicino a Clay Street. La cosa è lampante: qualcuno ha rubato l’auto subito dopo che il signor Chrostwaite l’aveva lasciata, è fuggito investendo Newhouse e poi, spaventato, ha abbandonato l’auto. Ora, il problema è che tre sere fa il signor Chrostwaite, guidando forse un po’ spericolatamente in...
— Ubriaco — disse Chrostwaite senza alzare lo sguardo dalle proprie ginocchia scozzesi. La sua voce era rauca ma priva d’emozione: era la raucedine di una gola bruciata dal whisky.
— Guidando forse un po’ spericolatamente in Van Ness Avenue, — proseguì Vance Richmond ignorando l’interruzione — il signor Chrostwaite ha investito un pedone. L’uomo non è rimasto ferito gravemente, e in ogni caso è stato generosamente risarcito. Lunedì però ci presenteremo in tribunale per rispondere di un’accusa di guida pericolosa, e io temo che l’incidente di ieri, in cui è morto il tipografo, ci possa mettere in cattiva luce. Nessuno si sogna che il signor Chrostwaite sia stato al volante quando è rimasto ucciso il tipografo, e possiamo dimostrarlo inoppugnabilmente. Temo però che la morte del tipografo si ritorca contro di noi al processo per l’incidente di Van Ness Avenue. Quale avvocato, so bene come il pubblico ministero – se lo volesse – potrebbe ricamare sull’insignificante coincidenza che la stessa automobile che ha investito un uomo in Van Ness Avenue ieri ha ucciso un altro uomo. E so che potrebbe servirsene in modo da renderci impossibile spiegare il nostro punto di vista. Nel peggiore dei casi, invece di pagare un’ammenda il signor Chrostwaite potrebbe essere mandato in prigione per trenta o sessanta giorni, ed è proprio questo che non vogliamo...
Chrostwaite interloquì ancora, sempre guardandosi le ginocchia.
— Maledetta seccatura! — disse.
— Che non vogliamo che accada — proseguì l’avvocato. — Siamo pronti a pagare una grossa ammenda – sarà inevitabile – poiché l’incidente di Van Ness Avenue è stato chiaramente colpa del signor Chrostwaite, però...
— Ubriaco come un cosacco! — disse Chrostwaite.
— Però non vogliamo che l’altro incidente, del quale non abbiamo la minima responsabilità, getti un’ombra sospetta sull’incidente minore. Insomma, vogliamo trovare l’uomo o gli uomini che hanno rubato l’auto e investito John Newhouse. Se verranno presi prima del processo, non rischieremo di subire le conseguenze del loro atto. Crede di poterli trovare prima di lunedì?
— Ci proverò — promisi — anche se...
Il pallone umano mi interruppe issandosi in piedi e cercando l’orologio da taschino con le grosse dita ingioiellate.
— Le tre — disse. — Ho una partita di golf alle tre e trenta. — Raccolse il cappello e i guanti dalla scrivania. — Li trovi. Andare in prigione sarebbe una maledetta seccatura!
E trotterellò via.

2

Dall’ufficio dell’avvocato raggiunsi il palazzo di giustizia e, dopo qualche minuto di ricerche, trovai il poliziotto che era accorso all’angolo tra Clay Street e Kearny Street pochi secondi dopo l’investimento di Newhouse.
— Stavo proprio uscendo dal tribunale quando ho visto un autobus svoltare di corsa in Clay Street — mi disse l’agente, un omaccione dai capelli sale e pepe di nome Coffee. — Poi ho visto radunarsi della gente, così sono andato e ho trovato questo John Newhouse riverso. Era già morto. Una mezza dozzina di persone aveva visto l’investimento, e una aveva preso il numero di targa. Abbiamo trovato l’auto, abbandonata proprio dietro l’angolo di Montgomery Street e girata a nord. C’erano due tipi a bordo, quando la macchina ha investito Newhouse, però nessuno se li ricorda. Ed era vuota, quando l’abbiamo ritrovata.
— In che direzione stava camminando Newhouse?
— Verso nord, in Kearny Street, e aveva quasi attraversato Clay Street quando è stato investito. Anche l’auto veniva da Kearny Street, e stava svoltando sulla Clay. Forse non è stata interamente colpa dei tipi a bordo, secondo i testimoni dell’incidente. Newhouse stava attraversando la strada guardando un pezzo di carta che aveva in mano. Io gli ho trovato in mano dei soldi stranieri, una banconota, e credo che stesse guardando quella. Il tenente mi ha detto che sono soldi olandesi una banconota da cento fiorini.
— Saputo qualcosa degli uomini dell’automobile?
— Niente! Abbiamo interrogato tutti tra California Street e Kearny Street, dov’è stata rubata l’auto, e tra Clay Street e Montgomery Street, dov’è stata abbandonata, ma nessuno ricorda di aver visto salire o scendere i due tipi. Il proprietario non era al volante, e penso che gliel’avessero proprio rubata. Sulle prime ho creduto che ci fosse qualcosa di marcio nell’incidente. Questo John Newhouse aveva un occhio nero di due o tre giorni, però abbiamo controllato e scoperto che un paio di giorni fa aveva avuto un attacco di cuore o qualcosa del genere ed era caduto battendo l’occhio contro una sedia. Era stato a casa in malattia per tre giorni, ed era uscito appena una mezz’ora prima dell’incidente.
— Dove viveva?
— In fondo a Sacramento Street. Devo avere il suo indirizzo da qualche parte.
Sfogliò le pagine di un notes lercio e mi diede l’indirizzo del morto, i nomi e gli indirizzi dei testimoni che aveva interrogato.
Non aveva altre informazioni da darmi, e me ne andai.

3

Passai poi a setacciare il quartiere in cui l’automobile era stata rubata e abbandonata e a interrogare i testimoni. Dopo che l’aveva già fatto invano la polizia, era improbabile che scoprissi qualcosa di nuovo, ma non per questo potevo rinunciare in partenza.
Il novantanove per cento del lavoro investigativo consiste nel raccogliere pazientemente dei dettagli, e i dettagli devono essere per quanto possibile di prima mano, anche se non si è i primi a ricercarli.
Prima però di cominciare, decisi di fare un salto alla tipografia del morto, che era ad appena tre isolati di distanza dal palazzo di giustizia, per vedere se qualcuno dei suoi impiegati sapesse qualcosa di utile.
La tipografia di Newhouse occupava il pianterreno di un palazzotto di California Street, tra Kearny Street e Montgomery Street. Nell’ingresso era stato ricavato, con dei divisori, un ufficetto, collegato da una porta all’officina.
Quando entrai, nell’ufficio c’era solo un uomo tozzo e robusto sulla quarantina, biondo e dall’espressione preoccupata. Era in maniche di camicia e stava confrontando due serie di cifre, una su un registro e l’altra su delle carte che aveva davanti.
Mi presentai dicendogli che ero un agente della Continental Detective Agency e che mi occupavo della morte di Newhouse. Si chiamava Ben Soules, ed era il capofficina di Newhouse. Ci stringemmo la mano, poi mi fece cenno di sedere di fronte alla scrivania; spinse da parte il registro e le carte su cui lavorava e con aria disgustata si grattò la testa con una matita.
— È un disastro! — disse. — Tra una cosa e l’altra siamo sommersi dal lavoro, io devo occuparmi di questi libri di cui non capisco niente e...
Si interruppe per rispondere al telefono, che aveva suonato.
— Sì... parla Soules... li stiamo stampando adesso... li avrà al più tardi entro il mezzogiorno di lunedì... lo so che li avevamo promessi per ieri, ma... lo so! Lo so! Siamo andati in ritardo con la morte del capo. Lo dica al signor Chrostwaite. E sì, ve lo pro-metto, ve li daremo lunedì mattina!
Soules buttò giù la cornetta, irritato, e mi guardò.
— È stata la sua automobile a uccidere il capo, e lui ha anche il cattivo gusto di lamentarsi del ritardo!
— Chrostwaite?
— Sì, era uno dei suoi impiegati. Gli avevamo promesso di stampargli dei volantini per ieri, ma tra la morte del capo e due nuovi operai da scozzonare, siamo in ritardo con tutto. Sono qui da otto anni, e questa è la prima volta che siamo in ritardo sugli ordini... e ogni dannato cliente dà fuori di matto! Se fossimo come la maggior parte dei tipografi, sarebbero abituati ad aspettare, ma noi li abbiamo trattati troppo bene. Ma quel Chrostwaite avesse almeno la decenza di pazientare, dopo che la sua auto ucciso il capo!
Annuii con aria comprensiva, gli allungai un sigaro attraverso la scrivania e attesi che lo avesse acceso prima di domandargli:
— Mi parlava di due nuovi operai da istruire. Come mai?
— La settimana scorsa il signor Newhouse aveva licenziato due dei nostri tipografi, Fincher e Keys. Ha scoperto che erano dell’I.W.W., così ha dato loro gli otto giorni.
— Avevano dato dei problemi, a parte essere iscritti a quel sindacato?
— No, erano due buoni operai.
— E hanno dato dei problemi dopo il licenziamento? — domandai.
— Nessun vero problema, anche se erano due teste calde. Prima di andarsene, hanno fatto un sacco di discorsi sovversivi.
— Ricorda che giorno era?
— Mercoledì della settimana scorsa, credo. Sì, mercoledì, perché ho assunto i due nuovi giovedì.
— Quanti operai ci sono?
— A parte me, tre.
— Il signor Newhouse stava spesso male?
— Non da star via spesso, anche se ogni tanto il cuore gli dava dei guai e doveva restare a letto per una settimana o dieci giorni. Non è che stesse mai davvero bene. Faceva solo il lavoro d’ufficio, e la tipografia la mandavo avanti io.
— Quando era stato male l’ultima volta?
— La moglie ha chiamato martedì mattina per dire che aveva avuto un altro attacco e che non sarebbe venuto per qualche giorno. È venuto ieri pomeriggio, cioè giovedì, per una decina di minuti, dicendo che sarebbe tornato stamattina. È stato ucciso subito dopo che se n’era andato.
— Aveva l’aria di stare molto male?
— Non troppo. Non aveva mai una bella cera, naturalmente, ma ieri non mi sembrava molto diverso dal solito. L’ultimo attacco non doveva essere dei peggiori, credo... di solito doveva restare a letto per una settimana e più.
— Non ha detto dove andava, quando è uscito? Glielo domando perché vivendo in Sacramento Street avrebbe certo preso un tram per rincasare, e invece è stato investito in Clay Street.
— Diceva che sarebbe andato in Portsmouth Square a sedersi al sole per una mezz’oretta. Era stato chiuso in casa per due o tre giorni, e voleva prendere un po’ di sole prima di rincasare.
— Non sa niente della banconota straniera che aveva in mano quando è stato investito?
— Sì, l’aveva presa qui. Un cliente – un uomo di nome Van Pelt – è venuto a pagare un lavoro ieri pomeriggio, mentre il capo era qui. Van Pelt aveva nel portafogli questa banconota olandese – non so come si chiami – e ha detto che valeva trentotto dollari circa. Il capo l’ha voluta e ha dato il resto a Van Pelt: voleva farla vedere ai suoi ragazzi, poi se la sarebbe fatta cambiare.
— Chi è questo Van Pelt?
— Un olandese che tra uno o due mesi vorrebbe incominciare a importare tabacco. A parte questo, non so molto di lui.
— Dove ha la casa, o l’ufficio?
— Ha l’ufficio in Bush Street, vicino a Sansome Street.
— Sapeva che Newhouse era stato male?
— Non credo. Il capo non sembrava diverso dal solito.
— Conosce anche il nome di Van Pelt?
— Hendrik Van Pelt.
— Che aspetto ha?
Prima che Soules mi rispondesse, tre squilli risuonarono ad intervalli regolari tra lo sferragliare delle presse della tipografia.
Tenevo, da cinque minuti la pistola sulle ginocchia. Alzai la canna al di sopra del bordo della scrivania di quel tanto sufficiente a farla vedere a Soules.
— Metta tutte e due le mani sulla scrivania — dissi.
Mi obbedì.
La porta che dava sulla tipografia era proprio dietro di lui, così che dalla mia posizione la potevo vedere dietro le sue spalle. Il suo corpo massiccio avrebbe impedito di vedere la mia pistola chiunque entrasse dalla porta in risposta al segnale di Soules.
Non dovetti aspettare a lungo.
Tre uomini neri d’inchiostro entrarono nell’ufficio con aria distratta e disinvolta, ridendo e scherzando tra di loro.
Uno di essi però si leccò le labbra nell’entrare, gli occhi del secondo mostravano troppo bianco attorno alle iridi e le spalle del terzo erano rigide malgrado l’affettata disinvoltura della postura.
— Fermi! — abbaiai quando anche l’ultimo fu dentro l’ufficio e sollevai la pistola in modo che potessero vederla.
Si fermarono contemporaneamente, come se avessero un solo paio di gambe.
Scostai la sedia con una pedata e mi alzai. La mia posizione non mi piaceva per niente. L’ufficio era troppo piccolo per i miei gusti. Sì, avevo la pistola, ma non sapevo se i tre uomini avessero su di sé delle armi nascoste. Mi erano troppo vicini – e una pistola non è una bacchetta magica, ma solo uno strumento meccanico dalle capacità limitate.
Se avessero deciso di aggredirmi, avrei potuto abbattere uno solo di loro prima che gli altri tre mi fossero addosso: lo sapevo e lo sapevano anche loro.
— Alzate le mani — ordinai — e voltatevi.
Nessuno di loro mi obbedì. Uno degli uomini inchiostrati sogghignava malignamente; Soules scosse lentamente il capo. Gli altri due restarono immobili a guardarmi.
Non sapevo che pesci pigliare. Non si può sparare a un uomo – neanche a un criminale – solo perché rifiuta di obbedire ad un ordine. Se si fossero voltati, almeno avrei potuto tenerli d’occhio mentre telefonavo.
Ma non aveva funzionato.
Pensai allora di arretrare fino alla porta d’ingresso, tenendoli sotto tiro, e poi gridare aiuto dalla soglia oppure affrontarli perla strada, dove avrei avuto più possibilità. Ma dovetti scartare immediatamente quest’idea.
Quei quattro stavano per balzarmi addosso, su questo non c’era dubbio: per farli passare all’azione sarebbe bastato qualsiasi tipo di scintilla. Se ne stavano tesi, e gambe rigide, attendendo che facessi una mossa. Se avessi fatto un passo indietro, la battaglia sarebbe iniziata.
Eravamo così vicini che uno qualsiasi dei quattro avrebbe potuto tendere la mano a toccarmi. Prima di essere sopraffatto, avrei dovuto colpirne uno solo... uno su quattro. Ciò significava che ciascuno di loro aveva una sola probabilità su quattro di essere la vittima – troppo poco per spaventare un uomo non abiettamente codardo.
Sogghignai con finta sicurezza – poiché avevo davvero le spalle al muro – e tesi la mano verso il telefono: dovevo fare qualcosa! E poi mi maledissi: così non facevo che cambiare il segnale dell’assalto, che sarebbe cominciato non appena avessi sollevato la cornetta.
Ormai però non potevo cambiare idea: anche questo sarebbe stato un segnale. Dovevo farlo.
Mentre mi avvicinavo il telefono con la mano sinistra, il sudore mi gocciolò da sotto il cappello sulle tempie.
La porta d’ingresso si aprì, e alle mie spalle sentii una esclamazione di sorpresa.
Parlai in fretta, senza perdere d’occhio i quattro davanti a me.
— Presto! Il telefono! La polizia!
Con l’arrivo dello sconosciuto – probabilmente uno dei clienti di Newhouse – credetti di essere tornato in vantaggio. Anche se il suo ruolo attivo non fosse andato oltre il chiamare la polizia, i quattro avrebbero dovuto dividersi per affrontare anche lui, e questo mi avrebbe dato la possibilità di colpirne almeno due prima di essere sopraffatto. Due su quattro: ora che ciascuno di loro aveva cinquanta probabilità su cento di essere colpito, forse ci avrebbero pensato due volte.
— Si sbrighi! — incitai il nuovo arrivato.
— Si! Sì! — rispose. La sua “s” sibilante mi disse che era uno straniero.
Teso com’ero, fu per me un segnale d’allarme più che sufficiente. Mi gettai di lato per allontanarmi in qualsiasi modo dal punto in cui mi trovavo, ma non fui abbastanza lesto.
Il colpo che mi arrivò da dietro non mi prese in pieno, ma con abbastanza forza da farmi cedere le gambe come se avessi le ginocchia di carta: mi abbattei a terra come un fagotto...
Qualcosa di scuro precipitò verso di me e lo afferrai con le mani. Forse era un piede diretto alla mia faccia. Lo torsi come una lavandaia torce un panno.
La mia spina dorsale veniva scossa da colpi su colpi. Forse qualcuno mi stava picchiando sulla testa, ma non ne ero certo. La mia testa non era viva, il colpo che avevo ricevuto mi aveva intorpidito tutto. I miei occhi non funzionavano: davanti ad essi vedevo solo delle ombre in movimento, e basta. Attaccavo in tutti i modi le ombre: a volte trovavo solo il vuoto, altre volte trovavo cose che sembravano far parte di un corpo, e allora le picchiavo e le strattonavo. La mia pistola non c’era più.
L’udito era ancora peggio della vista. Per me non esisteva più un suono al mondo, mi muovevo nel silenzio più totale che avessi mai conosciuto. Ero un fantasma che lottava contro dei fantasmi.
Scoprii che le gambe avevano ripreso a funzionarmi, ma qualcosa che si agitava sulla mia schiena mi impediva di alzarmi. Sulla faccia avevo qualcosa di caldo e umidiccio, come una mano.
Ci affondai i denti, poi gettai indietro la testa il più possibile, ma non capii se avesse colpito o no una faccia, come io speravo. In ogni caso, la cosa che mi si agitava sulla schiena se ne andò.
Mi rendevo vagamente conto di essere sballottato da colpi che ero troppo torpido per sentire. Colpivo incessantemente le ombre attorno a me con la testa, le spalle, i gomiti, i pugni, le ginocchia e i piedi...
All’improvviso ricominciai a vedere – non chiaramente, però le ombre si stavano colorando. Recuperai un po’ l’udito, e le mie orecchie cominciarono a captare i grugniti, le imprecazioni e il tonfo dei colpi. Mi accorsi di avere una sputacchiera d’ottone ad una ventina di centimetri dalla faccia, e capii di essere di nuovo a terra.
Mentre mi contorcevo per dare un calcio ad un corpo sopra di me, avvertii ad una gamba qualcosa che sembrava una bruciatura ma non era una bruciatura... un coltello. Il dolore mi fece riprendere di colpo i sensi.
Afferrai la sputacchiera di bronzo e usandola a mo’ di mazza riuscii a levarmi in piedi e a farmi largo. Gli uomini si stavano gettando su di me. Sollevai la sputacchiera al di sopra delle loro teste e la scagliai in California Street sfondando il vetro smerigliato della porta.
E poi riprendemmo a picchiarci.
Il fatto è che in California Street, in pieno centro di San Francisco, non si può sfondare una porta a vetri con una sputacchiera di bronzo senza dare nell’occhio. E fu così che mentre ero di nuovo schiacciato contro il pavimento da tre o quattrocento chili di carne umana fummo separati e venni ripescato dal fondo del mucchio da una squadra di poliziotti.
Uno di loro era il grosso Coffee dai capelli sale e pepe, ma ci volle del bello e del buono per convincerlo che ero l’agente della Continental con cui aveva parlato poco prima.
— Ragazzi! — disse quando l’ebbi finalmente convinto. — Che ripassata le hanno dato! Ha una faccia come un geranio bagnato!
Non risi. Non faceva ridere.
Con l’unico occhio che aveva ripreso a funzionare, guardai i cinque uomini allineati nell’ufficio: Soules, i tre tipografi sporchi d’inchiostro e l’uomo dalla “s” sibilante che aveva dato inizio al pestaggio dandomi un colpo in testa.
Era piuttosto alto, sulla trentina, con una faccia rotonda e rossa ora adorna di qualche livido. Aveva un bell’abito nero, ora lacero e strappato. Non mi occorse domandare per capire che era Hendrik Van Pelt.
— E allora, che storia è questa? — mi stava domandando Coffee.
Scoprii che stringendomi forte la mascella con la mano potevo parlare senza troppo dolore.
— Sono stati loro a investire Newhouse — dissi — e non è stato un incidente. Io stesso vorrei conoscere i particolari, ma mi hanno aggredito prima che ci arrivassimo. Newhouse aveva in mano una banconota da cento fiorini quando è stato travolto, e stava andando a denunciare qualcuno... era solo a mezzo isolato di distanza dal palazzo di giustizia. Soules dice che Newhouse stava andando in Portsmouth Square a prendere il sole, però non sa che Newhouse aveva un occhio nero, quello su cui lei ha indagato. E quindi scommetto che quel giorno Soules non ha affatto visto Newhouse! Ricordiamoci che Newhouse stava andando dalla tipografia alla polizia con una banconota estera in mano. Secondo l’amico Soules, Newhouse aveva frequenti malori che lo costringevano a casa per setto o dieci giorni, ma l’ultima volta era stato a casa solo per due giorni e mezzo. Soules dice che la tipografia ha tre giorni di ritardo sugli ordini, e che in otto anni è la prima volta che capita. Ne dà la colpa alla morte di Newhouse – avvenuta solo ieri. Se i precedenti malesseri di Newhouse non avevano mai causato dei ritardi, perché questa volta sì? La settimana scorsa sono stati licenziati due tipografi, e altri due assunti il giorno dopo... che rapidità! L’automobile che ha investito Newhouse è stata rubata proprio dietro l’angolo e poi abbandonata a breve distanza dalla tipografia, rivolta a nord, e quindi è molto probabile che i ladri siano scesi e andati a sud. Dei normali ladri d’auto non sarebbero tornati nella direzione da cui erano venuti. Secondo me il nostro olandese, Van Pelt, aveva delle lastre per stampare delle banconote da cento fiorini false, e cercava un tipografo disposto a fare il lavoro. Ha trovato Soules, il capoccia di una tipografia il cui padrone era spesso assente per una settimana e più per problemi cardiaci. Uno dei tre tipografi alle dipendenze di Soules era disposto a starci, ma forse gli altri due no, o forse Soules non lo chiese neanche loro. In ogni caso, furono licenziati e sostituiti da due amici di Soules. Era tutto pronto, i nostri amici attendevano solo un nuovo malore di Newhouse – che puntualmente si verificò lunedì sera. Non appena saputolo dalla moglie, la mattina dopo, questi gentiluomini hanno cominciato a sfornare banconote false – ecco perché sono in ritardo su tutti i normali lavori. Però l’attacco di Newhouse era più lieve del solito; nel giro di due giorni si era già alzato e ieri pomeriggio è passato di qui per qualche minuto. Deve essere entrato mentre i nostri amici erano indaffaratissimi da un’altra parte. Deve aver visto del denaro falso, afferrata al volo la situazione e preso una banconota da mostrare alle autorità, prima di incamminarsi per il palazzo di giustizia – certo pensando di non essere stato visto. E invece devono averlo visto mentre usciva e l’hanno seguito in due. A piedi, non avrebbero potuto farlo fuori a così breve distanza dal palazzo di giustizia, ma girato l’angolo hanno trovato l’auto di Chrostwaite col motore acceso. Questo risolveva il problema della fuga: sono saliti sull’auto e hanno inseguito Newhouse. Credo che in origine volessero sparargli, ma poi hanno avuto un’occasione d’oro, quando lo hanno visto attraversare Clay Street, assorto nell’esame della banconota falsa. Lo hanno investito – e se l’investimento non lo avesse ucciso subito, erano certi che a finirlo ci avrebbe pensato il suo cuore malato. Poi hanno abbandonato l’auto e sono tornati qui. Certo, non so tutti i particolari, ma questa favoletta che le ho raccontato quadra con tutti i fatti che sappiamo e scommetterei un mese di stipendio che non sono troppo lontano dalla verità. Deve esserci un bel mucchio di banconote olandesi nascosto da qualche parte, e se voi...
Credo che avrei continuato a parlare all’infinito nella vertiginosa intossicazione della spossatezza, se la grossa mano del poliziotto dai capelli sale e pepe non mi avesse tappato la bocca.
— Basta così — disse, sollevandomi dalla sedia e coricandomi di schiena sulla scrivania. — Tra un attimo arriverà l’ambulanza.
L’ufficio stava roteando di fronte al mio unico occhio aperto, il soffitto giallo precipitava sudi me, si risollevava e poi si riabbassava in strane forme. Voltai la testa per evitarlo, e i miei occhi si posarono sul quadrante di un orologio.
Quando riuscii a metterlo a fuoco, vidi che erano le quattro.
Ricordai che mi ero messo al lavoro alle tre, quando Chrostwaite aveva posto fine alla nostra piccola riunione nell’ufficio di Vance Richmond.
— Un’intera ora! — cercai di dire a Coffee prima di addormentarmi.
La polizia pose fine alla faccenda mentre io me ne stavo a letto. Nell’ufficio di Van Pelt, in Bush Street, trovarono un cumulo di banconote da cento fiorini, e poi si apprese che, in Europa, Van Pelt era reputato un falsario di gran classe. Uno dei tipografi confessò; disse che erano stati Van Pelt e Soules a seguire Newhouse fuori dalla tipografia e a ucciderlo.

 

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