5
Davanti alla casa che mi interessava c’era una recinzione a rete metallica, alcune piante di rose, un vialetto lastricato e un garage che era spalancato e in cui non c’erano macchine. Non c’erano macchine nemmeno davanti alla casa. Suonai il campanello. Aspettai parecchio, poi la porta si aprì all’improvviso.
Non ero l’uomo che la ragazza stava aspettando. Glielo vidi negli occhi brillanti scuriti dal kohl. Poi non ci vidi nient’altro. Rimase immobile a guardarmi: era una bruna alta, snella, famelica, con gli zigomi imbellettati, folti capelli neri divisi al centro, una bocca fatta per sandwich doppi, pigiama color oro e corallo, sandali... e unghie dei piedi dorate. Ai lobi delle orecchie una coppia di campane da chiesa in miniatura tintinnavano leggermente nella brezza. Fece un lento movimento sprezzante con la sigaretta in un bocchino lungo quanto una mazza da baseball.
“Be-ne, che succede, ometto? Vu-oi qualcosa? Ti sei perso da quel magnifico festino dall’altra parte della strada, eeeh?”
“Ah-ha,” dissi. “Niente male come party, vero? No. Ti ho solo riportato a casa la macchina. L’avevi perduta, non è vero?”
Dall’altra parte della strada, sul prato davanti alla casa, qualcuno era in preda al delirium tremens e un quartetto male assortito faceva a pezzetti ciò che era rimasto della notte, e ce la metteva tutta per farne dei pezzetti orribili. Mentre accadeva tutto questo la bruna esotica mosse solo una palpebra.
Non era bella, non era nemmeno carina, ma avevi l’impressione che dove c’era lei stesse sempre per succedere qualcosa.
“Cosa hai detto?” tirò fuori alla fine, in una voce setosa quanto una crosta di pane carbonizzata.
“La tua macchina.” Indicai dietro di me e le tenni gli occhi addosso. Era il tipo che usa il coltello.
Il lungo bocchino si abbassò molto lentamente lungo il fianco della donna, la sigaretta ne scivolò fuori. La spensi sotto la scarpa e questo mi portò dentro casa. Lei si ritrasse da me e io chiusi la porta.
Il corridoio sembrava la piattaforma di una stazione ferroviaria. Lampade su sostegni di ferro proiettavano una luce rosata. C’era una tenda di perline sul fondo e una pelle di tigre sul pavimento. Il posto si addiceva alla donna.
“Sei la signorina Kolchenko?” chiesi, visto che non succedeva nulla.
“Si-iì. Sono la signorina Kolchenko. Che diaavolo vuoi?”
Adesso mi stava guardando come se fossi venuto a lavare le finestre, ma in un momento inopportuno.
Tirai fuori un biglietto da visita con la mano sinistra, glielo porsi. Lei lo lesse mentre lo tenevo in mano, muovendo la testa giusto quanto bastava. “Un investigatore?” disse in un soffio.
“Già.”
Disse qualcosa in una lingua sputacchiante. Poi, in inglese: “Vieni dentro! Queesto maledetto vento mi asciuga la peelle come un fazzooletto di caarta”.
“Siamo dentro,” dissi. “Ho appena chiuso la porta. Sveglia, Nazimova. Lui chi era? Il piccoletto, dico.”
Un uomo tossì da dietro la tenda di perline. Lei sussultò come se fosse stata punta con una forchetta da ostriche. Poi cercò di sorridere. Non ebbe molto successo.
“Una ricompensa,” disse piano. “Vuoi aspettare qui? Dieci dollari è la paga giusta, no?”
“No,” dissi.
Le puntai lentamente un dito contro e aggiunsi: “È morto”.
Fece un salto di almeno un metro e cacciò un urlo.
Una sedia scricchiolò. Dei piedi pestarono sul pavimento dietro la tenda di perline, fece la sua comparsa una grossa mano che spostò la tenda, e venne a farci compagnia un omone biondo con l’aria da duro. Sopra il pigiama indossava una vestaglia viola. Con la mano destra impugnava qualcosa nella tasca della vestaglia. Nel momento in cui ebbe varcato la soglia della porta rimase immobile, i piedi ben piantati, la mascella protesa, gli occhi privi di colore simili a ghiaccio secco. Aveva l’aspetto di un uomo che è difficile fermare con un placcaggio in corsa.
“Che succede, dolcezza?” Aveva una voce solida, raspante, con appunto quella sfumatura patetica di uno a cui piacciono le donne con le unghie dei piedi dorate.
“Sono venuto per la macchina della signorina Kolchenko,” dissi.
“Be’, potresti anche toglierti il cappello,” disse lui. “Giusto per fare un po’ di esercizio.”
Me lo tolsi e mi scusai.
“Okay,” disse, e tenne la mano destra pesantemente affondata nella tasca viola. “Quindi sei venuto per la macchina della signorina Kolchenko. Vai avanti.”
Spinsi da parte la donna e gli andai più vicino. La donna si appiattì contro il muro e ci schiacciò contro le palme aperte. Camille alla recita del liceo. Il lungo bocchino giaceva vuoto ai suoi piedi.
Quando fui a due metri dall’uomo grande e grosso lui disse con disinvoltura: “Posso sentirti anche da qui. Sta’ calmo. Ho una pistola in tasca e sono stato costretto a imparare a usarla. Ora, che mi dici della macchina?”.
“L’uomo che l’ha presa in prestito non ha potuto riportarla,” dissi, e gli avvicinai alla faccia il biglietto da visita che ancora tenevo in mano. Lui gli diede appena un’occhiata. Riportò lo sguardo su di me.
“E allora?” disse.
“Fai il duro così sempre,” chiesi, “o solo quando hai il pigiama addosso?”
“Perché non ha potuto riportarla di persona?” chiese. “E lascia perdere le battute penose.”
La donna bruna al mio fianco emise un suono soffocato.
“È tutto a posto, dolcezza,” disse l’uomo. “Me ne occupo io. Tu va’ di là.”
La bruna si infilò tra di noi e sparì dietro la tenda di perline.
Attesi per qualche momento. L’uomo non mosse un muscolo. Non sembrava turbato più di quanto non lo sia un rospo al sole.
“Non ha potuto riportarla perché qualcuno lo ha fatto fuori,” dissi. “Vediamo come ti occupi di questo.”
“Ah, sì?” fece lui. “Lo hai portato con te per provarlo?”
“No,” dissi. “Ma se ti metti la cravatta e il tuo gibus, ti porto giù a vedere.”
“Ma senti, chi diavolo hai detto che sei?”
“Non l’ho detto. Pensavo che magari sapessi leggere.” Gli piantai di nuovo in faccia il biglietto da visita.
“Oh, giusto,” disse. “John Dalmas, Investigatore Privato. Bene, bene. Per cui dovrei venire con te a vedere chi, e perché?”
“Forse la macchina lui l’aveva rubata,” suggerii.
L’uomo annuì. “È un’idea. Forse sì. Chi?”
“L’ometto scuro che aveva le chiavi della macchina in tasca, e che l’aveva parcheggiata girato l’angolo dagli appartamenti Berglund.”
Lui ci pensò su, senza alcun evidente disagio. “Hai un po’ di roba per le mani,” disse. “Non molta. Ma un po’. Immagino che questa sia la serata del Poliziotto-in-libera-uscita. Per cui il loro lavoro lo stai facendo tutto tu.”
“Eh?”
“Il biglietto da visita mi dice investigatore privato,” disse. “Fuori c’è qualche poliziotto che era troppo timido per entrare?”
“No, sono solo.”
Sogghignò. Il sogghigno rivelò delle increspature bianche nella sua pelle abbronzata. “Così ti trovi qualcuno morto, prendi delle chiavi, trovi una macchina, ti metti al volante e vieni quassù, tutto da solo. Niente poliziotti. Dico bene?”
“Esatto.”
L’uomo sospirò. “Andiamo dentro,” disse. Spostò la tenda di perline quanto bastava perché potessi passare. “Magari hai qualcosa in mente che dovrei sentire.”
Lo superai e lui ruotò, tenendo la tasca piena rivolta verso di me. Notai le gocce di sudore sulla sua faccia solo quando gli fui parecchio vicino. Forse era a causa del vento caldo, ma secondo me non era quello.
Entrammo nel soggiorno.
Ci sedemmo l’uno di fronte all’altro, ci guardammo separati da un pavimento scuro sul quale alcuni tappeti Navajo e qualche scuro tappeto turco creavano una combinazione decorativa con la mobilia consumata e riempita all’inverosimile. C’era un caminetto, un piccolo pianoforte a coda, un séparé cinese, un’alta lanterna cinese su un piedistallo di tek e tende di tulle d’oro su finestre a piccoli vetri piombati. Le finestre a sud erano aperte. Fuori, frusciava un albero da frutta dal tronco pallido, aggiungendo il proprio rumore a quello proveniente dalla parte opposta della strada.
L’uomo si sistemò su una poltrona di broccato e piazzò i piedi con le pantofole e tutto su un poggiapiedi. La sua mano destra era ancora là dove era stata per tutto il tempo: sulla pistola.
La bruna si mosse nell’ombra, una bottiglia gorgogliò, le campanelle le tintinnarono nelle orecchie.
“È tutto a posto, dolcezza,” disse l’uomo. “È tutto sotto controllo. Qualcuno ha fatto fuori qualcun altro e questo tizio pensa che la cosa ci interessi. Tu siediti e rilassati.”
La ragazza inclinò la testa all’indietro e si versò in gola mezzo bicchiere di whiskey. Sospirò, disse “Maledizione” con noncuranza e si rannicchiò su un divano. Le ci volle tutto il divano. Aveva gambe in abbondanza. Dall’angolo in ombra in cui rimase in silenzio da quel momento in avanti, le sue unghie dorate ammiccarono verso di me.
Tirai fuori una sigaretta senza che mi sparassero addosso, la accesi e raccontai la mia storia. Non era tutta vera, ma una parte sì. Dissi loro degli appartamenti Berglund e che abitavo là e che anche Waldo ci abitava, nell’appartamento 31, al piano sotto il mio e che lo stavo tenendo d’occhio per ragioni professionali.
“Waldo chi?” intervenne l’uomo biondo. “E quali ragioni professionali?”
“Amico,” dissi, “tu segreti non ne hai?” Lui arrossì leggermente.
Gli dissi del bar di fronte agli appartamenti Berglund e di quello che era successo. Non gli dissi della giacca fantasia a bolero e della ragazza che l’aveva indossata. Tenni la ragazza completamente fuori dalla storia.
“Era un lavoro sotto copertura – per me,” dissi. “Se sai cosa intendo.” L’uomo arrossì di nuovo, serrò i denti. Ripresi: “Sono rientrato dal Comando di polizia senza avere detto a nessuno che conoscevo Waldo. Al momento opportuno, quando ero certo che quella notte non sarebbero riusciti a risalire a dove Waldo abitava, mi sono preso la libertà di esaminare il suo appartamento”.
“Per cercare cosa?” biascicò l’uomo grosso.
“Certe lettere. Potrei lasciarmi sfuggire che non c’era nulla di nulla là dentro – tranne un uomo morto. Strangolato e appeso con una cintura alla testiera del letto a muro. Ben nascosto. Un uomo piccolo, di circa quarantacinque anni, messicano o sudamericano, ben vestito in un abito marrone chiaro...”
“Basta così,” disse l’omone. “Ho afferrato, Dalmas. Era un caso di ricatto, quello su cui stavi lavorando?”
“Sì. L’aspetto strano è che questo piccoletto scuro aveva sotto l’ascella un bel po’ di pistola.”
“Non aveva in tasca anche cinquecento cocuzze in tagli da venti, giusto? O dici che le aveva?”
“Non le aveva. Ma Waldo ne aveva più di settecento in contanti quando è stato ucciso nel bar.”
“Si direbbe che io abbia sottovalutato questo Waldo,” disse l’omone con calma. “Ha fatto fuori il mio uomo e s’è preso la grana, la pistola e tutto. Waldo aveva un’arma?”
“Non addosso.”
“Facci un drink, dolcezza,” disse l’omone. “Sì, ho effettivamente preso questo Waldo per uno che valeva meno di una camicia in saldo.”
La bruna srotolò le gambe e preparò due drink con soda e ghiaccio. Poi ne preparò uno liscio per sé e tornò a rannicchiarsi sul divano. I suoi grandi occhi neri scintillanti mi guardarono con aria seria.
“Bene, alla salute,” disse l’omone, sollevando il bicchiere per un brindisi. “Io non ho ammazzato nessuno, ma da adesso ho una causa di divorzio per le mani. Tu non hai ammazzato nessuno, da come la racconti, ma hai fatto un bel casino giù al Comando di polizia. Che diavolo! La vita è un mare di guai, comunque la guardi. Io ho ancora la mia dolcezza, qui. E una russa bianca che ho incontrato a Shanghai. È sicura come una camera blindata e ha l’aria di una pronta a tagliarti la gola per dieci centesimi. È questo che mi piace di lei. Il fascino senza il rischio.”
“Parli come un dannato stupido,” sibilò la ragazza.
“A me tu sembri okay,” continuò l’uomo, ignorandola. “Cioè, per essere un occhio privato. C’è una via d’uscita?”
“Certo. Ma ti costerà un po’ di soldi.”
“Questo me lo aspettavo. Quanto?”
“Diciamo altri cinquecento.”
“Maledizione, questo vento caldo mi secca come le ceneri dell’amore,” disse la ragazza russa infastidita.
“Cinquecento potrebbero andare bene,” disse l’uomo biondo. “Che cosa ottengo in cambio?”
“Se me la gioco bene, rimani fuori dalla faccenda. Se me la gioco male, non paghi.”
Lui ci pensò su. Aveva una faccia rugosa e stanca adesso. Le goccioline di sudore luccicavano tra i suoi corti capelli biondi.
“Questo omicidio ti farà parlare,” grugnì. “Il secondo omicidio, intendo. E mi ritrovo senza quello che volevo. E se si tratta di labbra cucite, allora preferisco comprarmele in un modo più spiccio.”
“Chi era il piccoletto dalla pelle scura?” chiesi.
“Si chiamava Leon Valesanos, un uruguaiano. Un’altra delle mie importazioni. Il mio giro di affari mi porta in parecchi posti. Lavorava al Club Spezzia di Chiseltown – sai, quel tratto di Sunset Boulevard vicino a Beverly Hills. Lavorava alla roulette, penso. Gli ho dato i cinquecento per andare da... da questo Waldo, e farsi restituire certe fatture per della roba che la signorina Kolchenko aveva addebitato sul mio conto e fatto consegnare qui. Non una mossa brillante, o sbaglio? Le tenevo nella mia valigetta e Waldo ha avuto l’opportunità di rubarle. Per te cosa è successo?”
Sorseggiai il mio drink e guardai l’uomo dall’alto in basso. “Il tuo amico uruguaiano probabilmente ha parlato di farci su la cresta e Waldo non ci ha sentito bene, da quell’orecchio. Poi il piccoletto ha pensato che magari la Mauser poteva essere un argomento più convincente. Ma Waldo è stato troppo svelto per lui. Non direi che Waldo fosse un assassino, non intenzionalmente. Un ricattatore lo è di rado. Forse gli sono saltati i nervi e forse gli ha stretto il collo un po’ troppo a lungo. Dopodiché è stato costretto a tagliare la corda. Ma aveva anche un altro appuntamento, con altri soldi in arrivo. E ha setacciato il quartiere alla ricerca della persona in questione. E si è imbattuto in un soggetto che era abbastanza ostile e abbastanza ubriaco da farlo fuori.”
“Che diavolo, ce ne sono un bel po’ di coincidenze in tutta questa faccenda,” disse l’uomo grosso.
“E colpa del vento caldo,” sogghignai. “Sono tutti sballati questa notte.”
“In cambio dei cinquecento tu non mi garantisci niente? Se non ottengo il mio anonimato, tu non ottieni la tua grana. È così?”
“È così,” dissi, sorridendogli.
“Sballati è la parola giusta,” disse lui, e scolò il suo drink. “Affare fatto.”
“Ci sono solo due cose,” dissi piano, protendendomi in avanti sulla poltrona. “Waldo aveva una macchina per la fuga parcheggiata fuori dal bar dove è stato ucciso, aperta e con il motore acceso. L’assassino l’ha presa. Può sempre saltare fuori una mazzetta da lì. Vedi, tutta la roba di Waldo doveva trovarsi dentro quella macchina.”
“Comprese le mie fatture e le tue lettere.”
“Già. Ma la polizia è ragionevole su cose del genere, a meno che tu non sia uno che vale un sacco di pubblicità. Se non lo sei credo di poter ingoiare un paio di bocconi amari, giù al Comando, e cavarmela. Se invece lo sei... e questa è la seconda cosa. Come hai detto di chiamarti?”
La risposta ci mise molto tempo ad arrivare. Quando arrivò ne fui sorpreso meno di quanto mi sarei aspettato. D’un tratto la cosa fu fin troppo logica.
“Frank C. Barsaly,” disse.
Dopo un po’ la russa mi chiamò un taxi. Quando me ne andai, la festa dall’altra parte della strada continuava a essere tutto quello che una festa può essere. Notai che i muri della casa erano ancora in piedi. Mi sembrò un peccato.
6
Quando feci scattare la serratura della porta a vetri dell’ingresso al Berglund sentii puzzo di poliziotto. Guardai l’orologio al polso. Erano quasi le tre del mattino. Nell’angolo buio dell’atrio un uomo sonnecchiava su una sedia con un giornale sulla faccia. Due grossi piedi erano allungati davanti a lui. Un angolo del giornale si alzava di un paio di centimetri, tornava ad abbassarsi. L’uomo non faceva altri movimenti.
Attraversai l’atrio fino all’ascensore e salii al mio piano. Avanzai a passo leggero lungo il corridoio, aprii la mia porta, la spalancai con una spinta e infilai una mano all’interno alla ricerca dell’interruttore della luce.
Un interruttore a catenella tintinnò e si accese la luce di una lampada a stelo vicino alla poltrona, oltre il tavolino da gioco su cui erano ancora sparpagliati i pezzi dei miei scacchi.
Copernik era seduto là con un ghigno sgradevole stampato in faccia. L’uomo basso e bruno, Ybarra, sedeva dalla parte opposta della stanza rispetto a lui, alla mia sinistra, silenzioso, con quel suo solito mezzo sorriso.
Copernik scoprì ancora di più i suoi dentoni gialli da cavallo e disse: “Salve. Un pezzo che non ci vediamo. Sei stato fuori a ragazze?”.
Chiusi la porta, mi tolsi il cappello e mi asciugai lentamente la nuca, per un bel po’ di volte. Copernik continuò a sogghignare. Ybarra, con i suoi amabili occhi scuri, non guardava da nessuna parte.
“Mettiti seduto, amico,” mi invitò Copernik strascicando le parole. “Fa’ pure come se fossi a casa tua. Dobbiamo fare due chiacchiere. Ragazzi, se le odio queste investigazioni notturne. Lo sapevi che sei rimasto senza più nemmeno un goccio da bere?”
“Avrei potuto scommetterci,” dissi. Mi appoggiai alla parete.
Copernik continuò a sogghignare. “Li ho sempre odiati gli sbirri privati,” disse, “ma non ho mai avuto la possibilità di spremerne uno come ce l’ho stanotte.”
Abbassò pigramente una mano a lato della sedia e raccolse una giacca fantasia a bolero, la gettò sul tavolino da gioco. Abbassò di nuovo la mano e mise accanto alla giacca un cappello a tesa larga.
“Scommetto che sei carino da far paura con questa roba addosso,” disse.
Afferrai una sedia, la ruotai e mi ci sedetti a cavalcioni, appoggiai le braccia conserte alla spalliera e guardai Copernik.
Lui si alzò molto lentamente, con una lentezza elaborata, attraversò la stanza e si fermò di fronte a me lisciandosi il cappotto. Poi alzò la mano destra, ben aperta, e mi colpì in faccia, forte. Fece male ma non mi mossi.
Ybarra guardò il muro, guardò il pavimento, guardò il nulla.
“Vergogna, amico,” disse pigramente Copernik. “Per il modo in cui ti stavi prendendo cura di questa bella roba di lusso. Appallottolata malamente sotto le tue vecchie camicie. Voi investigatori balordi mi avete sempre fatto venire la nausea.”
Rimase davanti a me per un momento. Io non mi mossi e non parlai. Fissai i suoi occhi vitrei da beone. Lui serrò un pugno lungo il fianco, poi scrollò il capo, si girò e tornò alla sua poltrona.
“Okay,” disse. “Il resto a dopo. Dove le hai trovate queste cose?”
“Appartengono a una signora.”
“Non mi dire. Appartengono a una signora. Sei o non sei un cuore tenero del –? Te lo dico io a quale signora appartengono. Alla signora di cui un tizio di nome Waldo è entrato a chiedere in un bar dall’altra parte della strada, circa due minuti prima che qualche pallottola lo colpisse parecchio a morte. O questo magari ti era sfuggito?”
Non dissi nulla.
“Anche tu eri curioso di sapere chi fosse,” riprese beffardo Copernik. “Ma sei stato furbo, amico. Mi hai fregato.”
“Non serve essere furbi per questo,” dissi.
Copernik, la faccia distorta d’un tratto in una smorfia, fece per alzarsi. Ybarra rise, all’improvviso e sommessamente, quasi sottovoce. Gli occhi di Copernik schizzarono su di lui, ci rimasero per un momento. Poi si spostarono nuovamente su di me, inespressivi.
“Allo spic sei simpatico,” disse. “Pensa che sei in gamba.”
Il sorriso sparì dalla faccia di Ybarra, ma nessuna espressione prese il suo posto. Nessuna espressione in assoluto.
“Tu lo sapevi fin dall’inizio chi era la donna,” disse Copernik. “Sapevi chi era Waldo e dove abitava. Giusto la porta di fronte alla tua ma un piano sotto. Sapevi che Waldo aveva fatto fuori qualcuno e stava tagliando la corda, solo che chissà come questa bambola era diventata un affare per lui e dunque era ansioso di incontrarla prima di andarsene. Peccato che non ne ha avuto la possibilità. Un rapinatore dell’Est chiamato Al Tessilore ha sistemato la questione sistemando Waldo. Così tu incontri la donna e nascondi i suoi vestiti e la lasci andare e tieni il becco chiuso. È in questo modo che i tipi come te tirano su la grana. Ho ragione?”
“Già,” dissi. “Eccetto che queste cose io le ho scoperte molto di recente. Chi era Waldo?”
Copernik mi mostrò i denti. Chiazze rosse gli incendiavano le guance giallastre. Ybarra, lo sguardo sul pavimento, disse a voce molto bassa: “Waldo Ratigan. Ce lo ha comunicato Washington per telescrivente. Era un ladruncolo da quattro soldi con qualche piccola condanna sulle spalle. Ha guidato la macchina in una rapina a mano armata a Detroit. In seguito ha denunciato la banda e ha ottenuto il non luogo a procedere. Questo Al Tessilore era uno della banda. Non ha detto una parola, ma riteniamo che l’incontro nel bar sia stato puramente accidentale”.
Ybarra parlava con la voce bassa, calma e modulata di un uomo per il quale i suoni hanno un significato. “Grazie, Ybarra,” dissi. “Posso fumare... oppure Copernik mi farebbe saltare a calci la sigaretta dalla bocca?”
Ybarra sorrise improvvisamente. “Puoi fumare, certo,” disse.
“Ma certo che gli sei simpatico allo spic,” provocò Copernik. “Non sai mai che cosa può essere simpatico a uno spic, giusto?”
Accesi una sigaretta. Ybarra guardò Copernik e a voce molto bassa disse: “La parola spic, tu la usi troppo. E non è che mi piaccia se riferita a me”.
“All’inferno quello che ti piace, spic.”
Ybarra sorrise ancora un po’. “Stai commettendo uno sbaglio,” disse. Tirò fuori una limetta da unghie e cominciò a usarla, guardando in basso.
Copernik sbraitò: “Ho sentito che puzzavi di marcio fin dall’inizio, Dalmas. Così una volta che identifichiamo questi due grugni, io e Ybarra pensiamo di fare una scappata qui a scambiare altre due chiacchiere con te. Io porto una delle foto di Waldo scattate all’obitorio – un bel lavoro, la luce che gli arriva dritta sugli occhi, la cravatta ben sistemata e un fazzoletto bianco che gli spunta fuori giusto giusto dal taschino. Proprio un bel lavoro. E mentre veniamo qui, tanto per seguire il manuale, tiriamo giù dal letto l’amministratore di questo palazzo e gli facciamo vedere la foto di Waldo. E lui lo riconosce. Si è registrato come A.B. Hummel, appartamento Trentuno. Così andiamo là e troviamo un cadavere. Allora ci mettiamo a spremerci le meningi. Il morto ancora nessuno lo conosce, ma sul collo, sotto la cinghia, ha dei lividi di dita niente male e io scopro che combaciano proprio bene con le dita di Waldo”.
“È già qualcosa,” dissi. “Pensavo che magari ero stato io ad ammazzarlo.”
Copernik mi squadrò a lungo. La sua faccia aveva smesso di sogghignare e adesso era solamente una faccia dura, brutale. “Già. E c’è dell’altro,” disse. “Abbiamo trovato la macchina della fuga di Waldo, e quello che Waldo ci aveva messo dentro da portare con sé.”
Sbuffai il fumo della sigaretta a più riprese. Il vento sbatteva contro le finestre chiuse. L’aria nella stanza era fetida.
“Oh, siamo proprio dei tipi svegli,” sghignazzò Copernik. “Non ci immaginavamo che avessi tutto questo fegato. Da’ un’occhiata a questo.”
Affondò la mano ossuta nella tasca del cappotto e lentamente tirò fuori qualcosa, sollevandolo oltre il bordo del tavolino da gioco, lo spinse sul ripiano verde e lo lasciò là in bella posa, luccicante. Un filo di perle bianche con un fermaglio a forma di elica d’aereo a due pale. Le perle brillavano debolmente nell’aria densa di fumo.
Le perle di Lola Barsaly. Le perle che le aveva dato l’aviatore. L’uomo che era morto, l’uomo che lei amava ancora.
Le fissai, ma non mi mossi. Dopo un lungo momento Copernik disse, quasi gravemente: “Belle, non è vero? Adesso te la sentiresti di raccontarci una storia, signor Dalmas?”.
Mi alzai e spinsi via la sedia da sotto le mie gambe, attraversai tranquillamente la stanza e mi fermai a osservare le perle. La più grossa aveva forse un diametro di circa otto millimetri. Erano di un bianco puro, iridescente, di una delicatezza calda. Le sollevai lentamente dal tavolino, dove giacevano accanto ai vestiti di Lola. Erano pesanti, levigate, perfette.
“Belle,” dissi. “Hanno creato un sacco di guai, queste. Sì, ora parlerò. Devono valere un mucchio di soldi.”
Dietro di me Ybarra rise. Una risata molto gentile. “Circa cento dollari,” disse. “Sono buone copie, ma sono copie.”
Sollevai di nuovo le perle. Gli occhi vitrei di Copernik mi fissavano gongolanti. “Come fai a dirlo?” chiesi.
“Conosco le perle,” disse Ybarra. “Queste sono roba buona, del genere che le donne si fanno fare di proposito, come una sorta di assicurazione. Ma sono lisce come il vetro. Le perle vere sono ruvide a sentirle tra i denti. Prova.”
Me ne misi due o tre in bocca e mossi i denti avanti e indietro, poi di lato. Senza propriamente mordere. Le perle erano dure e lisce.
“Sì, sono molto buone,” disse Ybarra. “Parecchie hanno perfino piccole onde e zone piatte, come ce le hanno le perle vere.”
“Potrebbero costare quindici bigliettoni da mille – se fossero vere?” chiesi.
“Sì. Probabilmente. È difficile dirlo. Dipende da un sacco di cose.”
“Questo Waldo non era così male,” dissi.
Copernik si alzò rapidamente, ma non lo vidi assestare il colpo. Avevo lo sguardo ancora abbassato sulle perle. Il suo pugno mi centrò al lato della faccia, sui molari. Sentii immediatamente il sapore del sangue. Barcollai all’indietro e lo feci sembrare un colpo peggiore di quanto non fosse.
“Siediti e parla, razza di –!” Copernik quasi sussurrò.
Mi sedetti e mi tamponai la guancia con un fazzoletto. Leccai il taglio all’interno della bocca. Poi mi alzai di nuovo e andai a raccogliere la sigaretta che Copernik mi aveva fatto saltare dalla bocca. La schiacciai nel portacenere e tornai a sedermi.
Ybarra si limò le unghie e ne alzò una contro la lampada. C’erano gocce di sudore sulle sopracciglia di Copernik, alle estremità interne.
“Avete trovato le perle nella macchina di Waldo,” dissi, guardando Ybarra. “Trovato anche dei documenti?”
Ybarra scosse la testa senza alzare lo sguardo.
“Se me lo dici tu ci credo,” dissi. “Ecco qui. Non ho mai visto Waldo fino a questa notte, quando è entrato nel bar e ha chiesto della ragazza. Non sapevo nulla che non vi abbia già raccontato. Quando sono tornato a casa e sono uscito dall’ascensore questa ragazza, con indosso la giacca fantasia a bolero e il cappello a tesa larga e il vestito blu di crespo di seta – esattamente come descritto da Waldo – stava aspettando l’ascensore, qui, al mio piano. E aveva l’aria di essere una brava ragazza.”
Copernik sghignazzò. La cosa non mi toccò minimamente. Lo tenevo in pugno. Tutto quello che doveva fare era rendersene conto. Stava per rendersene conto ora, molto presto.
“Sapevo che cosa l’aspettava come testimone della polizia,” dissi. “E sospettavo che ci fosse qualcos’altro. Ma non ho sospettato neanche per un minuto che ci fosse qualcosa che non andava in lei. Era solo una brava ragazza nei guai. E nemmeno sapeva di esserlo. L’ho fatta entrare qui. Mi ha puntato contro una pistola. Ma non aveva intenzione di usarla.”
Copernik si raddrizzò sulla sedia tutto a un tratto e cominciò a leccarsi le labbra. La sua faccia sembrava di pietra, adesso. Una pietra grigia e bagnata. Copernik non proferì parola.
“Waldo era stato il suo autista,” continuai. “Il suo nome all’epoca era Joseph Choate. La ragazza è moglie di un certo Frank C. Barsaly, un grosso ingegnere idroelettrico. Un tizio una volta le regalò le perle e lei disse al marito che si trattava solamente di perle da quattro soldi. In qualche modo Waldo capì che tra la ragazza e il tizio c’era una storia d’amore e quando Barsaly rientrò dal Sudamerica e lo licenziò, perché era troppo bello d’aspetto, lui rubò le perle.”
Ybarra sollevò improvvisamente la testa e fece balenare i denti. “Vuoi dire che non sapeva che erano false?”
“Secondo me ha venduto quelle vere e al loro posto si è fatto fare delle imitazioni,” dissi.
Ybarra annuì. “È possibile.”
“Waldo ha rubato anche qualcos’altro,” dissi. “Qualcosa dalla valigetta di Barsaly, da cui risultava evidente che lui manteneva una donna, su a Brentwood. Waldo stava ricattando sia la moglie sia il marito, senza che l’una sapesse niente dell’altro e viceversa. Ci siete fin qui?”
“Io ci sono,” disse Copernik con asprezza, a labbra serrate. La sua faccia era ancora di grigia pietra bagnata. “Va’ avanti, accidenti a te.”
“Waldo non aveva paura di loro,” dissi. “Non gli tenne nascosto dove viveva. Questo era stupido da parte sua, ma gli risparmiava un sacco di intrallazzi, se era disposto a correre il rischio. Stasera la ragazza è venuta quaggiù con cinquemila dollari per ricomprarsi le perle. Non ha mai incontrato Waldo. È venuta qui per cercarlo e ha fatto a piedi un piano in più prima di tornare di sotto. Questa è l’idea femminile della prudenza. È così che l’ho incontrata. È così che l’ho portata qui. È così che lei si è ritrovata in quella cabina-armadio quando Al Tessilore è venuto a farmi visita per eliminare un testimone.” Indicai la porta della cabina-armadio. “È così che lei è venuta fuori con la sua piccola pistola e gliel’ha spianata nella schiena salvandomi la vita,” dissi.
Copernik non si mosse. Adesso c’era qualcosa di orribile nella sua faccia. Ybarra fece scivolare la limetta da unghie in una piccola custodia di cuoio e con calma se la mise in tasca.
“Questo è tutto?” chiese gentilmente.
Annuii. “Eccetto che è stata la ragazza a dirmi dove si trovava l’appartamento di Waldo e che ci sono andato per cercare le perle. Ho trovato l’uomo morto. In tasca, nel portachiavi di una concessionaria Packard, gli ho trovato le chiavi di una macchina nuova. E giù in strada ho trovato la Packard e l’ho riportata là da dove era venuta. A casa della mantenuta di Barsaly. Barsaly aveva mandato da Waldo un suo amico del Club Spezzia per comprare qualcosa e l’amico aveva cercato di fare l’acquisto con la pistola invece che con i soldi ricevuti da Barsaly. E Waldo lo ha battuto sul tempo.”
“Questo è tutto?” chiese piano Ybarra.
“Questo è tutto,” dissi, leccandomi la ferita all’interno della guancia.
Con lentezza Ybarra disse: “Che cosa vuoi?”.
Copernik fece come una smorfia nervosa, poi si diede una pacca a mano aperta sulla lunga coscia dura. “Questo tizio è in gamba,” sbottò sarcastico. “Si prende una cotta per una femmina che si è trovato davanti, infrange tutti gli articoli del Codice e tu gli chiedi cosa vuole? Glielo do io quello che vuole, spic!”
Ybarra girò lentamente la testa e lo guardò. “Non credo che lo farai,” disse. “Credo che gli darai un certificato di buona salute e qualsiasi altra cosa voglia. Ti sta dando una lezione su come si lavora in polizia.”
Per un lungo minuto Copernik non si mosse e non proferì parola. Nessuno di noi si mosse. Poi Copernik si protese in avanti e la giacca gli si aprì. Il calcio della sua pistola d’ordinanza occhieggiò dalla fondina ascellare.
“Quindi cos’è che vuoi?” mi chiese.
“Quello che c’è sul tavolino da gioco. La giacca e il cappello e le perle false. E certi nomi tenuti fuori dai giornali. È troppo?”
“Sì, è troppo,” disse Copernik quasi con gentilezza. Ondeggiò di lato e la pistola gli saltò fluidamente in mano. Copernik appoggiò l’avambraccio alla coscia e mi puntò l’arma verso lo stomaco.
“Mi piace di più che ti becchi una palla nelle budella per aver resistito all’arresto,” disse. “Mi piace di più a causa di un rapporto che ho fatto sull’arresto di Al Tessilore e su come l’ho beccato. A causa di certe mie foto che stanno per apparire sui giornali del mattino. E mi piace di più che tu non viva abbastanza a lungo da riderci sopra, baby.”
All’improvviso mi sentii la bocca calda e secca. Molto lontano udii il vento che rombava. Sembrava il suono di pistole.
Ybarra mosse i piedi sul pavimento e disse con freddezza: “Hai un paio di casi completamente risolti, poliziotto. Tu non devi far altro che lasciare qui un po’ di robaccia e tenere un po’ di nomi fuori dai giornali. Il che significa lontano dal procuratore distrettuale. Se lui in qualche modo li scopre, sono guai per te”.
“Mi piace l’altro modo,” disse Copernik. La pistola brunita nella sua mano era come una roccia. “E Dio ti aiuti se non mi copri le spalle su questa cosa.”
“Se la donna verrà portata allo scoperto,” disse Ybarra, “tu avrai mentito in un rapporto ufficiale e avrai fregato il tuo collega. Nel giro di una settimana, al Comando non pronunceranno nemmeno più il tuo nome. Sentirselo in bocca gli farà venire il vomito.”
Il cane dell’arma di Copernik scattò indietro e io vidi il suo grosso dito ossuto scivolare ancora più in avanti, attorno al grilletto. La mia nuca era bagnata come il naso di un cane.
Ybarra si alzò. La pistola schizzò su di lui. Il poliziotto disse: “Ora vediamo quanto è vigliacco uno spic. Ti sto dicendo di mettere via quella pistola”.
Cominciò ad avanzare. Fece quattro passi avanti, con calma. Copernik non faceva il minimo movimento, era un uomo di pietra.
Ybarra fece un altro passo e tutt’a un tratto la pistola cominciò a tremare.
Con voce pacata Ybarra disse: “Mettila via, Sam. Se tieni la testa a posto, tutto rimane così com’è. Se non lo fai, hai chiuso”.
Fece un altro passo. Copernik spalancò la bocca ed emise un suono rantolante, poi si afflosciò sulla sedia come se fosse stato colpito alla testa. Le sue palpebre si chiusero.
Ybarra gli strappò la pistola di mano con un movimento talmente rapido da non essere neppure un movimento. Arretrò in fretta, tenendo la pistola abbassata lungo il fianco.
“È questo vento caldo, Sam. Lasciamo perdere,” disse con la voce pacata, quasi raffinata.
Le spalle di Copernik si afflosciarono ancora di più. L’uomo affondò la faccia tra le mani. “Okay,” disse tra le dita.
Ybarra attraversò con calma la stanza e aprì la porta. Mi guardò con occhi pigri, semichiusi. “Anch’io farei molto per una donna che mi ha salvato la vita,” disse. “Lo mando giù questo boccone ma, come poliziotto, non puoi aspettarti che mi piaccia.”
Dissi: “Il piccoletto ucciso da Waldo si chiamava Leon Valesanos. Lavorava come croupier al Club Spezzia”.
“Grazie,” disse Ybarra. “Andiamo, Sam.”
Copernik si alzò pesantemente, attraversò la stanza, fu fuori dalla porta aperta e fuori dalla mia vista. Ybarra infilò la porta dopo di lui e fece per chiuderla.
“Aspetta un momento,” dissi.
Ybarra girò lentamente la testa, con la mano sinistra sulla porta, la pistola brunita tenuta lungo il fianco destro.
“Non lo sto facendo per soldi,” dissi. “I Barsaly abitano al duecentododici di Fremont Place. Puoi riportare le perle alla donna. Se il nome Barsaly resta fuori dai giornali, a me vengono cinquecento dollari. I quali andranno al Fondo della Polizia. Non sono così maledettamente furbo come credi. Le cose sono semplicemente andate a questo modo – e tu avevi una canaglia per collega.”
Ybarra guardò le perle sul tavolino da gioco dall’altra parte della stanza. I suoi occhi luccicarono. “Portagliele tu,” disse. “I cinquecento sono okay. Credo che il Fondo li avrà.”
Chiuse piano la porta e un momento dopo udii sbattere le porte dell’ascensore.
7
Aprii una finestra, sporsi la testa fuori nel vento e osservai l’autopattuglia allontanarsi lungo l’isolato. Il vento soffiava forte dentro l’appartamento e io lo lasciai soffiare. Un quadro cadde dal muro e due pezzi degli scacchi rotolarono giù dal tavolino da gioco. La stoffa della giacca a bolero di Lola Barsaly si sollevò e si agitò.
Raggiunsi il cucinotto, bevvi un goccio di scotch, tornai nel soggiorno e la chiamai, anche se era così tardi.
Fu lei a rispondere al telefono, subito, nessuna traccia di sonno nella voce.
“Dalmas,” dissi. “Puoi parlare?”
“Sì... sì,” disse. “Sono sola.”
“Ho trovato qualcosa,” dissi. “O piuttosto l’ha trovata la polizia. Ma il tuo uomo nero ti ha ingannata. Ho un filo di perle. Non sono vere. Quelle vere lui le ha vendute, credo, e se le è fatte rifare, con il tuo fermaglio.”
Lola rimase in silenzio per molto tempo. Poi, con voce flebile, disse: “Le ha trovate la polizia?”.
“Nella macchina di Waldo. Ma loro non parleranno. Abbiamo un accordo. Guarda i giornali del mattino e capirai perché.”
“Non sembra esserci altro da dire,” disse. “Posso riavere il fermaglio?”
“Sì. Riesci a venire domani alle quattro al bar del Club Esquire?”
“Sei molto gentile,” disse Lola sforzandosi di far uscire le parole. “Riesco. Frank è ancora via per la riunione.”
“Queste riunioni... riducono un uomo a uno straccio,” dissi. Ci dicemmo addio.
Chiamai un numero di West Los Angeles. Lui era ancora là, assieme alla ragazza russa.
“In mattinata puoi mandarmi un assegno per cinquecento dollari,” gli dissi. “Intestato al Fondo della Polizia, se vuoi. Perché è là che sarà versato.”
Copernik ebbe gli onori della terza pagina dei giornali del mattino con due foto e una celebratoria mezza colonna. Il piccoletto dalla pelle scura nell’appartamento 31 di onori non ne ebbe nessuno. Anche l’Associazione dei Residence ha una buona lobby.
Uscii dopo colazione e il vento era sparito del tutto. C’era un’aria mite, fresca, con una leggera nebbia. Il cielo era basso e tranquillo e grigio. Percorsi in auto il Sunset Boulevard, scelsi la migliore gioielleria del viale e distesi una collana di perle su un tappetino di velluto nero, sotto la luce di una lampada blu. Un uomo con colletto rigido e pantaloni a righe le guardò languidamente.
“Quanto valgono?” chiesi.
“Sono spiacente, signore. Noi non facciamo stime. Posso darle il nome di uno stimatore.”
“Non mi prenda in giro,” dissi. “Sono olandesi.”
L’uomo aggiustò un poco la luce, si chinò in avanti e giocherellò con alcuni centimetri di collana.
“Voglio una collana di perle esattamente uguali a queste, montate su quel fermaglio, e la voglio in fretta,” aggiunsi.
“Come, uguali a queste?” L’uomo non alzò lo sguardo. “E non sono olandesi. Sono boeme.”
“Okay. Potete duplicarle?”
Lui scosse il capo e spinse lontano il tappetino di velluto come se potesse restarne contaminato. “In tre mesi, forse. Non soffiamo vetro del genere in questo paese. Se le volesse identiche – perlomeno tre mesi. E comunque questa gioielleria non esegue lavori simili.”
“Deve essere magnifico avere tutta questa puzza sotto il naso,” dissi. Misi un biglietto da visita sotto la sua manica nera. “Mi dia il nome di chi li esegue – e non in tre mesi – e magari le perle non esattamente identiche.”
L’uomo scrollò le spalle, se ne andò con il biglietto da visita, tornò cinque minuti dopo e me lo restituì. C’era qualcosa scritto sul retro.
Il vecchio levantino aveva il negozio su Melrose, un negozio di cianfrusaglie che nella vetrina esponeva di tutto, da una carrozzina pieghevole per bambini a un corno francese, da un binocolo da teatro in madreperla dentro uno sbiadito astuccio di lusso a uno di quei revolver a sei colpi calibro 44 Special Single Action che continuano a fabbricare per i vicesceriffi del West i cui nonni erano dei veri duri.
Il vecchio levantino aveva una papalina in testa, due paia di occhiali e la barba. Studiò le mie perle, scosse tristemente il capo e disse: “Per venti dollari, buone quasi quanto queste. Non così buone, lei capisce. Il vetro non è così buono”.
“Quanto si assomiglieranno?”
Lui allargò le sue forti, solide mani. “Le dico la verità,” disse. “Non ingannerebbero nemmeno un bambino.”
“Le faccia,” risolsi. “Con questo fermaglio. E voglio indietro anche le altre, è chiaro.”
“Già. Alle due,” disse il levantino.
Leon Valesanos, il piccoletto scuro dell’Uruguay, fu sui giornali del pomeriggio. Era stato trovato impiccato in un appartamento anonimo. La polizia stava indagando.
Alle quattro entrai nel bar lungo e fresco del Club Esquire e percorsi la fila dei séparé finché ne trovai uno in cui una donna sedeva da sola. Indossava un cappello simile a una scodella dal bordo basso e molto largo, un abito marrone di sartoria con camicia e cravatta severe, mascoline.
Mi sedetti accanto a lei e feci scivolare un pacchetto sul sedile. “Non devi aprirlo,” dissi. “In realtà, puoi gettarlo dritto nell’inceneritore, se vuoi.”
Mi guardò con stanchi occhi scuri. Le sue dita tormentavano un bicchiere sottile che sapeva di menta piperita. “Grazie.” In viso era molto pallida.
Ordinai scotch & soda e il cameriere se ne andò. “Letto i giornali?”
“Sì.”
“Ora capisci la storia di questo Copernik che ti ha rubato la scena? Ecco perché non cambieranno versione né ti coinvolgeranno.”
“Non ha più importanza adesso,” disse lei. “Grazie comunque. Per favore... Per favore, fammele vedere.”
Tirai fuori di tasca una collana di perle avvolta alla meglio in una carta velina e la feci scivolare verso di lei. Il fermaglio d’argento a forma di elica d’aereo scintillò sotto la luce della lampada a muro. Il piccolo diamante scintillò. Le perle erano opache come sapone bianco. Non erano nemmeno della stessa grandezza.
“Avevi ragione,” disse Lola con voce incolore. “Queste non sono le mie perle.”
Il cameriere tornò con il mio drink e lei coprì svelta le perle con la borsetta. Quando se ne fu andato, Lola le toccò lentamente con il dito un’ultima volta, le lasciò cadere nella borsetta e mi rivolse un sorriso asciutto, privo di allegria.
“Come hai detto tu, terrò il fermaglio.”
Lentamente dissi: “Tu non sai nulla di me. Ieri notte mi hai salvato la vita e c’è stato un attimo fra noi, ma è stato solo un attimo. Tu continui a non sapere nulla di me. C’è un detective al Comando di polizia di nome Ybarra, un messicano di quelli a posto, che era in servizio quando le perle sono state trovate nella valigia di Waldo. Questo nel caso tu voglia essere certa...”.
“Non essere sciocco,” disse Lola. “È tutto finito. Era un ricordo. Sono troppo giovane per aggrapparmi ai ricordi. Forse è stato meglio così. Io amavo Stan Phillips, ma lui non c’è più, da molto tempo.”
La guardai, non dissi niente.
Quietamente Lola aggiunse: “Questa mattina mio marito mi ha detto qualcosa che non sapevo. Stiamo per separarci. Così ho ben poco di cui rallegrarmi oggi”.
“Mi dispiace,” dissi debolmente. “Non c’è nulla da dire. Forse un giorno ti rivedrò. Forse no. Non lo frequento molto, il tuo mondo. Buona fortuna.”
Mi alzai. Ci guardammo l’un l’altra per un momento. “Non hai toccato il tuo drink,” disse Lola.
“Bevilo tu. Quella roba alla menta ti farà sicuramente rivoltare lo stomaco.”
Rimasi immobile per un attimo con una mano sul tavolo.
“Se mai qualcuno dovesse darti noia,” dissi, “fammelo sapere.”
Uscii dal bar senza voltarmi indietro a guardarla, salii in macchina e mi diressi a ovest sul Sunset Boulevard, giù fino alla Coast Highway. I giardini lungo la strada erano tutti pieni di foglie appassite e annerite e di fiori che il vento caldo aveva bruciato.
Ma l’oceano appariva fresco e languido e lo stesso di sempre. Andai quasi fino a Malibu, parcheggiai, scesi alla spiaggia e mi sedetti su una grande roccia che si trovava dentro alla recinzione metallica di qualche proprietà privata. L’aria sapeva di alghe. Rimasi a osservare l’acqua per qualche tempo, poi tirai fuori di tasca una collana di finte perle di vetro di Boemia; tagliai il nodo a un’estremità e sfilai le perle una a una.
Quando furono tutte nella mia mano sinistra le tenni così per un po’, e pensavo. In realtà non c’era niente da pensare. Ne ero certo.
“Alla memoria del signor Stan Phillips,” dissi a voce alta. “Solo un altro imbroglione.”
Lanciai una dopo l’altra le perle nell’acqua, ai gabbiani fluttuanti.
Cadendo sollevarono piccoli spruzzi, i gabbiani si alzarono dall’acqua e vi si tuffarono sopra.
FINE
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