Non lo sopporto, disse la signora Packington.
Non lo sopporto! Rimase pensierosa per qualche istante, poi mormorò: Quella civetta. Quella perfida, astuta gattina! Come fa George a essere così sciocco?
L’ira sbollì; tornò lo sconforto. Le lacrime salirono agli occhi della signora Packington, e rotolarono lentamente giù, lungo le sue guance di mezza età. Si fa presto a dire non lo sopporto, ma cosa posso fare?
Tutt’a un tratto si sentì sola, impotente, completamente abbandonata a se stessa. Lentamente prese il giornale del mattino e lesse, non per la prima volta, un annuncio sulla prima pagina.
ANNUNCI PERSONALI.
SIETE FELICI? IN CASO CONTRARIO, CONSULTARE MISTER PARKER PYNE, 17 Richmond Street.
Assurdo! disse la signora Packington. Assolutamente assurdo. E poi: Dopotutto, potrei anche vedere…
Il che spiega come mai alle undici in punto la signora Packington, un po’ tesa, veniva introdotta nell’ufficio privato di Mister Parker Pyne. Come si é già detto, la signora Packington era tesa, ma in un modo o nell’altro la semplice vista di Mister Parker Pyne la rassicurò. Costui era un uomo grande, per non dire grasso; aveva una testa calva di nobili proporzioni, occhiali robusti, e due occhietti luccicanti.
La prego, si accomodi, disse Mister Parker Pyne. E’ venuta per il mio annuncio? aggiunse sollecito.
Sì, disse la signora Packington, e qui tacque.
E non é felice, continuò Mister Parker Pyne con voce allegra, positiva. Molto pochi lo sono. Rimarrebbe davvero sorpresa se sapesse quanto sono poche le persone felici.
Davvero? disse la signora Packington, non sembrandole tuttavia affatto importante
La cosa non la interessa, lo so, disse Mister Parker Pyne, ma interessa me, e parecchio. Vede, io ho passato trentacinque anni della mia esistenza a compilare statistiche in un ufficio governativo. Ora sono in pensione, e ho pensato di usare tutta l’esperienza che avevo accumulato in un modo diverso. E’ semplicissimo. L’infelicità può essere classificata in cinque punti fondamentali, non di più, glielo assicuro. Una volta nota la causa di una malattia, la cura non é impossibile.
Io sono il medico. Il dottore prima diagnostica il male del paziente, poi procede a raccomandargli un certo tipo di terapia. Ci sono casi nei quali non c’é cura che tenga. Quando le cose stanno così, io dico francamente che non ci posso fare nulla. Ma le assicuro, Signora Packington, che se assumo un caso, il successo é praticamente garantito.
Possibile? Era un’assurdità, o poteva forse essere vero? La signora Packington lo guardò speranzosa.
Vogliamo diagnosticare il suo caso? disse Mister Parker Pyne sorridendo. Si appoggiò allo schienale della sua poltrona e unì le punte delle dita. Il problema riguarda suo marito. Finora la sua vita matrimoniale é stata nel complesso felice. Suo marito, ritengo, ha fatto carriera. Ritengo inoltre che nel caso sia coinvolta una signorina… magari una signorina che lavora nell’ufficio di suo marito.
Una dattilografa, disse la signora Packington. Un’odiosa civetta ripicchiata, tutta rossetto, riccioli e calze di seta. Le parole le sgorgarono fuori con impeto.
Mister Parker Pyne annuì conciliante. E che male c’é?… Come senza dubbio dice suo marito.
Le sue parole precise.
E allora perché non dovrebbe godersi un’amicizia pura con questa signorina, portando al contempo un po’ di piacere nella grigia esistenza di lei? Povera piccola, ha così pochi svaghi. Immagino che lui la pensi così.
La signora Packington annuì con vigore. Frottole… tutte frottole! La porta sul fiume… anch’io adoro andare sul fiume, ma cinque o sei anni fa lui dichiarò che era incompatibile con il suo golf. Però può rinunciare al golf per lei. A me piace il teatro… George ha sempre detto che la sera é troppo stanco per uscire. E adesso la porta fuori a ballare… a ballare! E rientra alle tre del mattino. Io… io…
E senza dubbio deplora il fatto che le donne siano così gelose, così irragionevolmente gelose, quando non c’é il minimo motivo di esserlo.
La signora Packington annuì di nuovo. E’ proprio così. E chiese, secca: Lei come lo sa tutto questo?
Le statistiche, disse con semplicità Mister Parker Pyne.
Sono così depressa, disse la signora Packington. Sono sempre stata una buona moglie per George. Ce l’ho messa proprio tutta, nel primi tempi. L’ho aiutato a tirare avanti. Non ho mai guardato nessun altro. Lui é sempre lavato e stirato, trova dei buoni pranzetti, e la casa é amministrata bene e oculatamente. E ora che ci siamo sistemati e che potremmo godercela, vedere un po’ il mondo e fare tutte quelle cose che avrei desiderato di fare un giorno… be’, ecco questo! E deglutì.
Mister Parker Pyne annuì gravemente. Le assicuro che capisco perfettamente il suo caso.
E… può fare qualcosa? Lo chiese quasi in un sussurro.
Certo, mia cara signora. Una cura c’é. Oh, sì, una cura c'é.
E quale? Attese la risposta a occhi sgranati, con una certa ansia.
Mister Parker Pyne parlò con calma e fermezza. Dovrà mettersi nelle mie mani, e l’onorario sarà duecento ghinee.
Duecento ghinee!
Precisamente. E’ una tariffa che si può permettere, Signora Packington. Per una operazione la spenderebbe. La felicità non é meno importante della salute fisica.
La pagherò dopo, immagino.
Al contrario, disse Mister Parker Pyne. Lei mi pagherà in anticipo.
La signora Packington si alzò in piedi. Non sono sicura di voler…
Comprare a scatola chiusa? disse allegramente Mister Parker Pyne. Be’, forse ha ragione. E’ una bella somma da rischiare. Deve fidarsi di me, capisce. Deve pagare e correre il rischio. Queste sono le mie condizioni.
Duecento ghinee!
Esattamente. Duecento ghinee. Sono un mucchio di soldi. Buongiorno, Signora Packington. Se cambia idea me lo faccia sapere. Le strinse la mano, con un sorriso imperturbabile.
Quando la signora fu uscita premette un bottone sulla scrivania. Si presentò una donna occhialuta, dall’aspetto intimidatorio.
Un fascicolo, per cortesia, Miss Lemon. E dica pure a Claude che probabilmente avrò presto bisogno di lui.
Una nuova cliente?
Una nuova cliente. Al momento recalcitra, ma tornerà. Magari oggi pomeriggio verso le quattro. La registri.
Programma A?
Programma A, naturalmente. Interessante come tutti credono che il proprio caso sia unico. Bene, bene, avverta Claude. Non troppo esotico, gli dica. Niente profumi, e farebbe bene a tagliarsi i capelli corti.
Erano le quattro e un quarto quando la signora Packington entrò ancora una volta nell’ufficio di Mister Parker Pyne. Estrasse un libretto, riempì un assegno e glielo porse. Le fu consegnata una ricevuta.
E ora? La signora Packington lo guardò speranzosa.
E ora, disse Mister Parker Pyne con un sorriso, lei tornerà a casa. Domani con la prima posta riceverà certe istruzioni che sarò lieto se seguirà.
La signora Packington tornò a casa in uno stato di piacevole aspettativa. Mister Packington rientrò tenendosi sulle difensive, pronto a difendere le sue posizioni qualora la questione della colazione del mattino si fosse riaperta. Ma fu sollevato quando constatò che sua moglie non sembrava di umore bellicoso.
Ella era insolitamente assorta nei suoi pensieri.
George si mise a ascoltare la radio e si chiese se quella cara bambina di Nancy gli avrebbe permesso di regalarle una pelliccia. Era molto orgogliosa, lo sapeva. Lui non voleva offenderla. Tuttavia, si era lamentata del freddo. Quel suo cappottino di tweed era una cosa da due soldi, contro il freddo serviva a poco. Forse avrebbe trovato il modo di mettere la cosa in modo di non ferirla…
Ci voleva un’altra uscita serale, e presto. Era un vero piacere portare a un ristorante alla moda una ragazza come quella. Aveva notato l’invidia di molti giovanotti. Era eccezionalmente graziosa. E aveva simpatia per lui. Lei non lo trovava affatto vecchio, così gli aveva detto.
Alzò gli occhi e incontrò quelli di sua moglie. Si sentì immediatamente colpevole, cosa che lo irritò. Che donna sospettosa e di vedute ristrette era Maria! Gli rinfacciava ogni minima briciola di felicità.
Spense la radio e andò a letto.
La mattina seguente la signora Packington ricevette due lettere inattese. Una era un foglietto stampato che confermava l’appuntamento con un noto estetista.
La seconda era un appuntamento con una sarta.
La terza lettera era da parte di Mister Parker Pyne, che richiedeva il piacere della sua compagnia a colazione al Ritz, quel giorno stesso. Mister Packington accennò a una propria possibile assenza da casa per cena, poiché doveva vedere qualcuno per affari. La signora Packington si limitò a annuire con aria assente, e Mister Packington uscì di casa congratulandosi con se stesso per la burrasca evitata.
L’estetista fu energico. Che trascuratezza! Madame, ma PERCHE’? La situazione andava impugnata anni fa. Tuttavia, non era troppo tardi. Delle cose furono fatte alla sua faccia, che venne compressa e massaggiata e esposta al vapore.
Venne anche spalmata di fango. Venne cosparsa di cipria. Ci furono svariati ritocchi conclusivi. Da ultimo le fu consegnato uno specchio. E’ vero, sembro più giovane, pensò lei fra sé e sé.
La seduta dalla sarta risultò egualmente eccitante. La signora Packington ne uscì sentendosi elegante, alla moda, aggiornata.
All’una e mezza la signora Packington si recò al suo appuntamento al Ritz.
Mister Parker Pyne, vestito in modo impeccabile e sempre avvolto nella sua atmosfera distensiva e rassicurante, la aspettava.
Incantevole, disse, percorrendola con occhi esperto dalla testa ai piedi. Mi sono permesso di ordinarle un White Lady.
La signora Packington, che non aveva contratto l’abitudine ai cocktails, non si tirò indietro. Sorseggiando vivacemente l’eccitante liquido, ascoltò il suo benevolo istruttore.
Suo marito, Signora Packington, cominciò Mister Parker Pyne, va svegliato. Lei mi capisce… svegliato. Per aiutarci in questo, voglio presentarle un mio giovane amico. Oggi farà colazione con lui. In quel momento un giovane si fece avanti, guardandosi intorno. Notò Mister Pyne e si diresse con grazia verso di loro.
Mister Claude Luttrell, la signora Packington.
Mister Claude Luttrell era forse prossimo ai trent’anni. Era elegante, disinvolto, vestito impeccabilmente, estremamente avvenente.
Incantato di fare la sua conoscenza, mormorò.
Tre minuti più tardi la signora Packington sedeva davanti al suo nuovo accompagnatore, a un tavolino per due.
Sulle prime la signora Packington fu timida, ma ben presto Mister Luttrell la mise a suo agio. Conosceva bene Parigi e aveva trascorso un bel po’ di tempo in Riviera. Domandò alla signora Packington se le piaceva ballare. La signora Packington rispose sì, ma che adesso andava a ballare molto di rado, poiché a Mister Packington non piaceva uscire la sera.
Ma non può essere così scortese da lasciare a casa lei, disse Claude Luttrell sorridendo e così mostrando un’abbagliante fila di denti. Le donne non devono più tollerare la gelosia degli uomini, al giorno d’oggi.
La signora Packington stava per rispondere che la gelosia non c’entrava affatto.
Ma le parole le morirono sulle labbra. Dopotutto, era un’idea gradevole.
Claude Luttrell chiacchierò allegramente di night clubs. Si decise che la sera dopo la signora Packington e Mister Luttrell avrebbero patrocinato il popolare Lesser Archangel.
La signora Packington era un po’ nervosa al pensiero di doverlo annunciare a suo marito. George, lo sentiva, lo avrebbe trovato assurdo e forse ridicolo. Ma non dovette affrontare alcun inconveniente su questo punto. Era stata troppo nervosa per dare il suo annuncio alla prima colazione, e quando furono le due giunse un messaggio telefonico secondo il quale Mister Packington avrebbe cenato in città.
La serata fu un gran successo. Da ragazza la signora Packington era stata una buona ballerina, e sotto la guida esperta di Claude Luttrell fece presto a impadronirsi dei passi nuovi. Lui le fece dei complimenti per il suo vestito e anche per la sua pettinatura. (Quella mattina era stato preso per lei un appuntamento da un parrucchiere alla moda). Al momento di congedarsi, lui le baciò la mano in un modo assolutamente emozionante. Erano anni che la signora Packington non si godeva tanto una serata.
Seguirono una decina di giorni sconcertanti. La signora Packington usciva a colazione, al té, a pranzo, ballava il tango, cenava. Apprese ogni particolare dell’infanzia infelice di Claude Luttrell. Venne a conoscenza delle tristi circostanze in cui suo padre aveva perso tutti i suoi averi. Ascoltò il tragico romanzo della sua vita e le sue amarezze verso le donne in genere. L’undicesimo giorno stavano ballando al Red Admiral. La signora Packington scorse il suo sposo prima di esser vista da lui. George era con la signorina del suo ufficio.
Entrambe le coppie stavano ballando.
Ciao, George, disse la signora Packington con disinvoltura, allorché le loro orbite li avvicinarono.
Fu con notevole divertimento che vide la faccia di suo marito diventare prima rossa, poi paonazza dalla meraviglia. Allo stupore si era mescolata un’espressione di colpevolezza smascherata.
La signora Packington si sentì piacevolmente padrona della situazione. Povero vecchio George! Una volta tornata a sedere al suo tavolo li guardò. Com’era tarchiato e calvo, e con quanta goffaggine rimbalzava sui piedi! Ballava con lo stile di vent’anni prima. Povero George, cosa non avrebbe dato per essere giovane! E quella malcapitata ragazza con cui ballava doveva fingere di apprezzarlo. Ma già aveva un’aria sufficientemente annoiata, col viso oltre la spalla di lui, dove lui non poteva vedere.
Quanto più invidiabile era la sua situazione, pensò soddisfatta la signora Packington. Lanciò un’occhiata al perfetto Claude, che ora, sempre pieno di tatto, taceva. Come la capiva al volo. Non sgarrava mai, al contrario di quanto inevitabilmente capita ai mariti dopo un certo numero di anni.
Lo guardò di nuovo. I loro sguardi si incontrarono. Lui sorrise; i suoi begli occhi scuri, così malinconici, così romantici, guardarono teneramente dentro quelli di lei.
Balliamo ancora? sussurrò.
Ballarono ancora. Era il paradiso!
Lei si sentiva addosso lo sguardo contrito di George, che li seguiva. L’idea, ricordò, era stata di ingelosire George. Quanto tempo era passato! Adesso non desiderava veramente che George fosse geloso. Si sarebbe potuto turbare. E
perché turbarlo, poverino? Erano tutti così felici…
Mister Packington era a casa da un’ora quando la signora Packington rientrò a sua volta. Sembrava confuso e poco sicuro.
Ehm, osservò. Sicché, sei tornata.
La signora Packington lasciò cadere una sciarpa da sera che le era costata quaranta ghinee quella mattina stessa. Sì, disse, con un sorriso. Sono tornata.
George tossì. Ehm… che strano, incontrarti.
Vero? disse la signora Packington.
Io… be’, mi é parso gentile portare quella ragazza da qualche parte. Ha un sacco di guai a casa in questo periodo. Ho pensato… be’, per gentilezza, capisci?
La signora Packington annuì. Povero vecchio George, che saltellava sui piedi riscaldandosi, tutto soddisfatto di sé.
Chi era quel tipo con te? Non lo conosco, vero?
Luttrell, si chiama così. Claude Luttrell.
Come l’hai conosciuto?
Oh, me lo ha presentato qualcuno, disse la signora Packington, vagamente.
Un po’ strano che tu vada a ballare… alla tua età. Stai attenta a non renderti ridicola, mia cara.
La signora Packington sorrise. Si sentiva troppo in pace con l’universo in genere per dare la risposta ovvia. Cambiare un po’ fa sempre piacere, disse amabile.
Devi essere prudente, sai. Girano tanti di questi ballerini a pagamento. A volte le donne di mezza età fanno delle terribili sciocchezze. Ti sto solo mettendo in guardia mia cara. Non mi piace vederti fare qualcosa di sconveniente.
Lo trovo un esercizio molto salutare, disse la signora Packington.
Uhm… sì.
Come te del resto, immagino, disse gentilmente la signora Packington. La cosa importante é essere felici, no? Mi ricordo che lo dicevi anche tu a colazione, una mattina, circa dieci giorni fa. Il marito le scoccò un’occhiata penetrante, ma l’espressione di lei era priva di sarcasmo. Ella sbadigliò.
Devo andare a letto. A proposito, George, ultimamente sono stata terribilmente stravagante. Arriveranno dei conti spaventosi. Non ti dispiace, vero?
Conti? disse Mister Packington.
Sì. Di vestiti. E massaggi. E acconciature. Mi sono comportata malissimo. Ma so che non ti dispiace.
Passò oltre, salendo le scale. Mister Packington rimase a bocca aperta. Maria era stata incredibilmente gentile sulla faccenda di quella sera; non sembrava curarsene affatto. Peccato però che tutt’a un tratto si fosse messa a spendere dei soldi. Maria… quel modello di economia!
Le donne! George Packington scosse il capo. I guai in cui si erano cacciati i fratelli di quella ragazza. Be’, sarebbe stato lieto di dare una mano. Ad ogni modo… e poi al diavolo, le cose non stavano andando troppo bene nella City.
Con un sospiro, Mister Packington si avviò a sua volta su per le scale.
A volte certe parole che non producono il loro effetto sul momento vengono ricordate più tardi. Così fino alla mattina seguente certe parole pronunciate da Mister Packington non si erano ancora veramente fatte strada nella consapevolezza di sua moglie.
Ballerini a pagamento; donne di mezza età; rendersi ridicola.
La signora Packington aveva un cuore coraggioso. Si sedette e affrontò i fatti.
Un gigolò. Dei gigolò aveva letto tutto sulle riviste. Aveva anche letto delle scempiaggini delle donne di mezza età.
Claude era un gigolò? Probabilmente sì. D’altro canto, i gigolò si facevano pagare, e Claude pagava sempre per lei. Sì, ma chi pagava era Mister Parker Pyne, non Claude… o meglio, in realtà erano le sue duecento ghinee.
Era una ridicola signora di mezza età? E Claude Luttrell le rideva dietro? A questo pensiero il viso le avvampò.
Bene, e con ciò? Claude era un gigolò. Lei era una ridicola signora di mezza età. Forse avrebbe dovuto regalargli qualcosa. Un portasigarette d’oro. Un oggetto di quel genere.
Uno strano impulso la spinse a recarsi lì per lì da Asprey’s. Il portasigarette fu scelto e pagato. Doveva incontrare Claude al Claridge’s per colazione.
Mentre sorseggiavano il caffé lo estrasse dalla borsetta. Un regalino, mormorò.
Lui alzò lo sguardo, rabbuiandosi. Per me?
Sì io… io spero che ti piaccia.
La mano di lui si serrò sull’oggetto e lo respinse violentemente attraverso il tavolo. Perché me lo dai? Non lo accetto. Riprendilo. Riprendilo, ti dico. Era furente. I suoi occhi scuri mandavano lampi.
Lei sussurrò, Scusa, e lo rimise nella borsetta.
Ci fu tensione fra loro quel giorno.
La mattina dopo lui le telefonò. Devo vederti. Posso venire a casa tua oggi pomeriggio?
Lei gli disse di venire alle tre.
Arrivò molto pallido e teso. Si salutarono. La tensione era più evidente.
All’improvviso lui si alzò in piedi e la affrontò. Per chi mi hai preso? E’
questo che sono venuto a chiederti. Eravamo amici, no? Sì, amici. Ma nonostante ciò, tu pensi che io sia… bene, un gigolò. Un individuo che vive sulle donne.
Un ballerino a pagamento. Pensi questo, non é vero?
No, no.
Lui non tenne in alcun conto la sua protesta. Il suo viso era diventato pallidissimo. Sì che lo pensi! Ebbene, é vero. Ecco cosa sono venuto a dirti. E’ vero! Avevo l’incarico di farti uscire, di divertirti, di corteggiarti, di farti dimenticare tuo marito. Questo era il mio lavoro. Spregevole, eh?
Perché mi stai dicendo queste cose? chiese lei.
Perché ho chiuso. Non posso continuare. Almeno con TE. Tu sei diversa. Tu sei il tipo di donna nella quale potrei credere, di cui potrei fidarmi, che potrei adorare. Pensi che lo stia solo dicendo; che fa parte del gioco. Le si fece più vicino. Ti dimostrerò che non é così. Me ne vado… per te. Per te trasformerò la disgustosa creatura che sono in un uomo.
Improvvisamente la prese fra le braccia. La sua bocca si avvicinò a quella di lei. Poi la lasciò andare e si tirò indietro.
Addio. Sono stato una carogna… sempre. Ma giuro che da ora in poi sarà diverso. Ti ricordi di quando mi hai detto che ti piaceva leggere gli annunci economici personali? In questo giorno ogni anno ci troverai un messaggio da parte mia per dirti che non ti ho dimenticata e che mi sto comportando bene.
Allora capirai che cosa hai significato per me. Si sfilò dal dito un anello d’oro, semplice, con un sigillo.
Era di mia madre. Voglio che lo tenga tu. E ora, addio.
La lasciò lì, sbalordita, con l’anello d’oro in mano.
Quella sera George Packington rincasò di buon’ora. Trovò sua moglie che fissava il fuoco con uno sguardo lontano. Gli parlava con gentilezza, ma era assente.
Senti, Maria, se ne uscì lui di punto in bianco. A proposito di quella ragazza.
Sì, caro?
Io… io non ho mai avuto intenzione di turbarti, sai. Riguardo a lei. Non c’é niente.
Lo so. Sono stata sciocca. Vedila quanto ti pare, se ti rende felice.
Certo queste parole avrebbero dovuto rallegrare George Packington.
Invece, strano a dirsi, lo irritarono. Che gusto c’é a portar fuori una ragazza quando tua moglie ti sollecita lealmente a farlo? Che diavolo, era un’indecenza!
Tutta quella sensazione di essere uno sveltone, un uomo forte che scherza col fuoco, sfrigolò e si estinse di una morte ignominiosa. Tutt’a un tratto George Packington si sentì stanco e assai più povero nelle sue finanze. Furba, quella ragazza. Potremmo andarcene per un po’ da qualche parte se ne hai voglia, Maria, suggerì timidamente.
Oh, non ti preoccupare per me. Non ho bisogno di nulla.
Ma mi piacerebbe portarti fuori. Potremmo andare in Riviera.
La signora Packington gli sorrise, lontana.
Povero vecchio George. Le faceva tenerezza. Era così patetico. Nella sua vita non c’era niente di simile al segreto splendore che ravvivava la sua. Gli sorrise ancora più teneramente.
Sarebbe splendido, mio caro, disse.
Mister Parker Pyne stava parlando a Miss Lemon. Conto intrattenimenti?
Centodue sterline, quattordici scellini e sei pence, disse Miss Lemon.
La porta si spalancò ed entrò Claude Luttrell. Sembrava di malumore. Buongiorno, Claude, disse Mister Parker Pyne. E’ andato tutto in modo soddisfacente?
Suppongo di sì.
E l’anello? Che nome ci hai fatto incidere, alla fine?
Matilda, disse scuro in viso Claude. 1899.
Ottimo. E il testo dell’inserzione?
Mi comporto bene. Ricordo sempre. Claude.
Se lo segni, per favore, Miss Lemon. Annunci personali. Tre novembre per…
vediamo, le spese sono centodue sterline, quattordici scellini e sei pence. Sì, per dieci anni, direi. Ci lascia un margine di novantadue sterline, due scellini e quattro pence. Adeguato.
Assolutamente adeguato.
Miss Lemon uscì.
Senta, sbottò Claude. Non mi piace. E’ un gioco schifoso!
Mio caro ragazzo!
Un gioco schifoso. Quella era una donna decente… una brava persona. Dirle tutte quelle bugie, riempirla di questi piagnistei, al diavolo, mi disgusta!
Mister Parker Pyne si aggiustò gli occhiali e osservò Claude con una sorta di interesse scientifico. Ahi, ahi! disse seccamente. Non mi risulta che la tua coscienza ti abbia mai disturbato durante la tua piuttosto… ehm!… notoria carriera. Le tue storie in Riviera sono state particolarmente sfacciate, e il tuo sfruttamento della signora Hattie West, moglie del Re dei Cetrioli della California, all’epoca si segnalò per l’incallito istinto mercenario che esibisti.
Be’, comincio a pensarla in un altro modo, borbottò Claude. Non é… pulito, questo gioco. Mister Parker Pyne parlò con il tono di un insegnante che ammonisce il suo alunno preferito. Mio caro Claude, tu hai compiuto un’azione meritoria. Hai dato a una donna infelice quello di cui ogni donna ha bisogno un’avventura romantica. Le donne si immergono nelle passioni fino a lacerarle e non ne traggono niente di buono, mentre un’avventura romantica é qualcosa che si può riporre con la lavanda e rivisitare nel corso degli anni venturi. Io conosco la natura umana, ragazzo mio, e ti dico che una donna di un episodio simile si può nutrire per anni e anni. Tossì. Abbiamo portato a termine l’impegno con la signora Packington in modo molto soddisfacente.
Bene, mormorò Claude, a me non piace. Lasciò la stanza.
Mister Parker Pyne prese un nuovo fascicolo da un cassetto. Scrisse: Interessanti tracce di coscienza rintracciate in incallito ballerino a pagamento. Nota: Studiare sviluppi.
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