martedì 28 gennaio 2025

MONDADORI n.21 - Alessandro Varaldo: Il sette bello



Io non sono stato il protagonista di questa storia. Magari! Non ne
fui che l'umile spettatore. E forse per questo posso raccontarla
serenamente, più serenamente certo che non i lettori che la
leggeranno. Perché io so che è vera, e gli altri non lo crederanno
mai. Non li condanno, ed anzi li scuso. lo per il primo, se non
l 'avessi vissuta, non ci crederei.
Potrò scriverne con pazienza, con meticolosa memoria tutto lo
svolgimento, districarne tutte le fila, notare tutte le minuzie,
che hanno avuto una sì grande importanza nella inverosimile
storia che voglio narrare? Mi proverò.
Per intanto mi presento. il mio nome è Giovanni; mio padre,
Sante Révere, fu antiquario assai stimato, ma dopo la morte di
mia madre liquidò ogni cosa e si ridusse a Spoleto con una certa
agiatezza, che poteva somigliare alla ricchezza prima della
guerra. Ma nel 1919, quando fui libero, e mi trovai padrone della
mia sostanza per la morte del babbo, non ebbi tanto da scialare
davvero. Millecinquecento lire al mese, l'anno di grazia 1920,
non erano troppe, ma adottai una risoluzione energica. Mi dissi:
come libero cittadino puoi appena vivacchiare, come studente
invece sei ricco. E ripresi l'università interrotta dalla guerra.
Oggi, a meno di trentacinque anni, ho già due lauree, legge e
lettere, e mi avvio tranquillamente alla terza, medicina. Se
durante la strada troverò una fruttuosa occupazione mi fermerò,
altrimenti farò lo studente vita natural durante. Poiché per uno
studente cinquanta lire al giorno sono più che sufficienti.
Giudicatene: stanza otto lire, pasti quindici lire, lavatura e
stiratura due lire, accantonamento per il guardaroba e la
biancheria quindici: mi restano dieci lire al giorno per i piccoli
bisogni, che non ho. Comprendo nel guardaroba le tasse, nei
pasti il caffè, nella lavatura il bagno: sono assestato, non fumo,
non bevo molto, la tessera universitaria mi procura uno sconto
notevole per i rari spettacoli e quindi ho modo ancora di fare
delle economie. Posso cioè vantare un discreto conto corrente e
un libretto d'assegni che rni fa rispettare dalla padrona di casa e
dal trattore. Abito nei pressi del Palazzo di Giustizia e prendo i
miei pasti in una piccola pulita familiare trattoria dietro piazza
Cola di Rienzo: sono anzi il decano dei pensionanti. Ho tre
compagni di tavola, due dei quali vecchi amici ritrovati: Giacomo
Serra, che fa il pittore e che incomincia ad avere qualche
fortuna, e Biondo Biondi (naturalmente con un simile nome è
toscano e nero come un creolo) maggiore dei bersaglieri, tutti e
due press'a poco della mia età.
Il terzo compagno è ... una compagna: una donna, una bella
figliola, studentessa in medicina.
Fu così che diventò la nostra commensale. Finivamo una sera
di pranzare, quando entrò una ragazza che si rivolse alla
cassiera. Parlarono per qua lche minuto ed evidentemente
s'accordarono.
La ragazza alta, slanciata, bruna, avviluppata in un rosso
impermeabile, girò lo sguardo sulle tavole della sala e lo posò
infine su di me, con un leggero cenno di saluto che restituii un
po' interdetto. Venne il cameriere a chiederci se permettevamo
che la signorina sedesse alla nostra tavola. Figuriamoci! Serra e
Biondi, bollenti don Giovanni, si alzarono entusiasti, e l'ospite si
presentò. Si chiamava Maddalena Terzi, perugina, studentessa in
medicina. Mi conosceva. Chi non conosceva, all'università,
Giovanni Révere che s'avviava alla terza laurea? Conosceva
anche il pittore: si dichiarò felice di essere nostra compagna, e
confessò che invece di signorina preferiva d'esser chiamata
Maud, ~:ome in famiglia. Ma tutto fìnì lì. Ho buone ragioni per
credere che il bersaglie re si sia buscato uno schiaffo in piena
regola sotto un plausibile pretesto, e che il pittore abbia
avanzato inutilmente degli specchietti per allodole, come inviti
nel suo studio, pose per la mano, ritratti ed altri simili mezzi da
Matusalemme. Il fatto si è che dopo una settimana Maud era per
noi una compagna, anzi un compagno, e la sua presenza fu come
la quarta dimensione: quasi non esisteva, sotto specie femminili.
[eco dunque come stavano le cose il 2 marzo 1930 e
precisamenle alle nove di sera, quando, intorno alla tavola
nostra, nella trattoria del Gambero Verde, si prolungava una
discussione, incominciata prima di pranzo. Raccontiamo per
ordine. Verso le cinque sedevamo da Latour, il maggiore ed io,
dinanzi a due malinconici rabarbari, quando entrò Serra con
un'aria da sbadigli più che coscienziosa.
-Non vi vergognate? Andiamo piuttosto al cinema.
Avevamo da attraversare appena la strada: un locale invitante ci prometteva Douglas Fairbanks nella Maschera di ferro.
Ci trovammo in un ambiente familiare e sentimentale. Buone
piccole mogli borghesi e piccole commesse in procinto se non di
bruciarsi di spiegazzarsi a lmeno le ali. Ciò che contemplammo
passa ogni immaginazione.
Con le mie due lauree e mezzo m'indignavo dinanzi al
Richelieu e all'Anna d'Austria che sforna gemelli sotto la tutela
del padre Giuseppe; ma pittore e bersagliere, di bocca buona,
prendevano tutto per moneta corrente. Anzi ad un tratto, a luce
intervenuta, iJ maggiore esclamò: -Almeno si impara un po' di
storia!
Numi, pietà! Mi tennero i numi la santa mano sul capo, e col
mio carattere placido potei godere di una santa sopportazione
finché non uscimmo e ci avviammo verso il fiume con
accompagnamento di ricordi alla moschettiera da parte degli
amici miei.
A udirli - e specialmente il bersagliere - d'Artagnan
diventava un provinciale; in quanto al pittore, poi, ondeggiava
fra i tre moschettieri di Dumas e la Bohème di Puccini.
Rassegnato, li lasciavo sfogare, quando ad un tratto ecco il Biondi
che urla sotto il cielo tenero, dinanzi alle acque lente,
minacciando col pugno l'Augusteo che nulla ne poteva.
-Dite quel che volete: nella vita non c'è che l'avventura!
Lo guardai celando un sorriso da schiaffi. Me la figuravo
l'awenrura di Biondi col battaglione, la bicicletta, il circolo
ufficia li, la preparazione per gli esami, l'annuario militare
compulsato disperatamente. Sì, l'avventura! L'amico mio fissava
il cielo tenero verso Monte Mario e i cipressi celebri e un volo
d'aeroplani che pareva un triangolo di gru. C'era tanta nostalgia
nei buoni occhi castani che il sorriso da schiaffi s'attenuò fra le
mie labbra, sparì, fu surrogato da un complice guizzo
d'approvazione.

 

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