Io non sono stato il protagonista di questa storia. Magari! Non nefui che l'umile spettatore. E forse per questo posso raccontarlaserenamente, più serenamente certo che non i lettori che laleggeranno. Perché io so che è vera, e gli altri non lo crederannomai. Non li condanno, ed anzi li scuso. lo per il primo, se nonl 'avessi vissuta, non ci crederei.Potrò scriverne con pazienza, con meticolosa memoria tutto losvolgimento, districarne tutte le fila, notare tutte le minuzie,che hanno avuto una sì grande importanza nella inverosimilestoria che voglio narrare? Mi proverò.Per intanto mi presento. il mio nome è Giovanni; mio padre,Sante Révere, fu antiquario assai stimato, ma dopo la morte dimia madre liquidò ogni cosa e si ridusse a Spoleto con una certaagiatezza, che poteva somigliare alla ricchezza prima dellaguerra. Ma nel 1919, quando fui libero, e mi trovai padrone dellamia sostanza per la morte del babbo, non ebbi tanto da scialaredavvero. Millecinquecento lire al mese, l'anno di grazia 1920,non erano troppe, ma adottai una risoluzione energica. Mi dissi:come libero cittadino puoi appena vivacchiare, come studenteinvece sei ricco. E ripresi l'università interrotta dalla guerra.Oggi, a meno di trentacinque anni, ho già due lauree, legge elettere, e mi avvio tranquillamente alla terza, medicina. Sedurante la strada troverò una fruttuosa occupazione mi fermerò,altrimenti farò lo studente vita natural durante. Poiché per unostudente cinquanta lire al giorno sono più che sufficienti.Giudicatene: stanza otto lire, pasti quindici lire, lavatura estiratura due lire, accantonamento per il guardaroba e labiancheria quindici: mi restano dieci lire al giorno per i piccolibisogni, che non ho. Comprendo nel guardaroba le tasse, neipasti il caffè, nella lavatura il bagno: sono assestato, non fumo,non bevo molto, la tessera universitaria mi procura uno scontonotevole per i rari spettacoli e quindi ho modo ancora di faredelle economie. Posso cioè vantare un discreto conto corrente eun libretto d'assegni che rni fa rispettare dalla padrona di casa edal trattore. Abito nei pressi del Palazzo di Giustizia e prendo imiei pasti in una piccola pulita familiare trattoria dietro piazzaCola di Rienzo: sono anzi il decano dei pensionanti. Ho trecompagni di tavola, due dei quali vecchi amici ritrovati: GiacomoSerra, che fa il pittore e che incomincia ad avere qualchefortuna, e Biondo Biondi (naturalmente con un simile nome ètoscano e nero come un creolo) maggiore dei bersaglieri, tutti edue press'a poco della mia età.Il terzo compagno è ... una compagna: una donna, una bellafigliola, studentessa in medicina.Fu così che diventò la nostra commensale. Finivamo una seradi pranzare, quando entrò una ragazza che si rivolse allacassiera. Parlarono per qua lche minuto ed evidentementes'accordarono.La ragazza alta, slanciata, bruna, avviluppata in un rossoimpermeabile, girò lo sguardo sulle tavole della sala e lo posòinfine su di me, con un leggero cenno di saluto che restituii unpo' interdetto. Venne il cameriere a chiederci se permettevamoche la signorina sedesse alla nostra tavola. Figuriamoci! Serra eBiondi, bollenti don Giovanni, si alzarono entusiasti, e l'ospite sipresentò. Si chiamava Maddalena Terzi, perugina, studentessa inmedicina. Mi conosceva. Chi non conosceva, all'università,Giovanni Révere che s'avviava alla terza laurea? Conoscevaanche il pittore: si dichiarò felice di essere nostra compagna, econfessò che invece di signorina preferiva d'esser chiamataMaud, ~:ome in famiglia. Ma tutto fìnì lì. Ho buone ragioni percredere che il bersaglie re si sia buscato uno schiaffo in pienaregola sotto un plausibile pretesto, e che il pittore abbiaavanzato inutilmente degli specchietti per allodole, come invitinel suo studio, pose per la mano, ritratti ed altri simili mezzi daMatusalemme. Il fatto si è che dopo una settimana Maud era pernoi una compagna, anzi un compagno, e la sua presenza fu comela quarta dimensione: quasi non esisteva, sotto specie femminili.[eco dunque come stavano le cose il 2 marzo 1930 eprecisamenle alle nove di sera, quando, intorno alla tavolanostra, nella trattoria del Gambero Verde, si prolungava unadiscussione, incominciata prima di pranzo. Raccontiamo perordine. Verso le cinque sedevamo da Latour, il maggiore ed io,dinanzi a due malinconici rabarbari, quando entrò Serra conun'aria da sbadigli più che coscienziosa.-Non vi vergognate? Andiamo piuttosto al cinema.Avevamo da attraversare appena la strada: un locale invitante ci prometteva Douglas Fairbanks nella Maschera di ferro.Ci trovammo in un ambiente familiare e sentimentale. Buonepiccole mogli borghesi e piccole commesse in procinto se non dibruciarsi di spiegazzarsi a lmeno le ali. Ciò che contemplammopassa ogni immaginazione.Con le mie due lauree e mezzo m'indignavo dinanzi alRichelieu e all'Anna d'Austria che sforna gemelli sotto la tuteladel padre Giuseppe; ma pittore e bersagliere, di bocca buona,prendevano tutto per moneta corrente. Anzi ad un tratto, a luceintervenuta, iJ maggiore esclamò: -Almeno si impara un po' distoria!Numi, pietà! Mi tennero i numi la santa mano sul capo, e colmio carattere placido potei godere di una santa sopportazionefinché non uscimmo e ci avviammo verso il fiume conaccompagnamento di ricordi alla moschettiera da parte degliamici miei.A udirli - e specialmente il bersagliere - d'Artagnandiventava un provinciale; in quanto al pittore, poi, ondeggiavafra i tre moschettieri di Dumas e la Bohème di Puccini.Rassegnato, li lasciavo sfogare, quando ad un tratto ecco il Biondiche urla sotto il cielo tenero, dinanzi alle acque lente,minacciando col pugno l'Augusteo che nulla ne poteva.-Dite quel che volete: nella vita non c'è che l'avventura!Lo guardai celando un sorriso da schiaffi. Me la figuravol'awenrura di Biondi col battaglione, la bicicletta, il circoloufficia li, la preparazione per gli esami, l'annuario militarecompulsato disperatamente. Sì, l'avventura! L'amico mio fissavail cielo tenero verso Monte Mario e i cipressi celebri e un volod'aeroplani che pareva un triangolo di gru. C'era tanta nostalgianei buoni occhi castani che il sorriso da schiaffi s'attenuò fra lemie labbra, sparì, fu surrogato da un complice guizzod'approvazione.
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