sabato 2 novembre 2024

Patricia Martinelli: Il profumo della magnolia


«Valeria, amore. Quanto mi dispiace. So cosa provi.»
«No, Pietro. Non puoi saperlo. Non mi abbracciare. Lasciami.»
L’aereo proveniente da San Francisco era appena atterrato a Milano e Valeria ne era scesa, pallida, terrea. Non gli era volata tra le braccia come lui si era immaginato. Gli stava davanti con quell’espressione di dolore “cattivo” che gli mise un brivido nella schiena. Certo, la morte dell’uomo che l’aveva allevata come una figlia l’aveva sconvolta. E lui le leggeva sul viso un dolore rabbioso che non si sarebbe sciolto con le lacrime.
Fu in macchina, mentre venivano verso Milano, che Valeria riprese a parlare e disse quella cosa tremenda:
«Sono sicura che il nonno è stato ucciso».
«Ma amore, cosa dici? Si è spento piano. È morto di vecchiaia.»
«È stato ucciso, invece, ne sono sicura. Lo so.»
«E chi sarebbe l’assassino?» domandò un po’ infastidito
Pietro.
«Non sarebbe. È. È Davide, suo figlio.»
«Valeria! Ti prego. Stai dicendo delle sciocchezze, delle cose enormi. Il dolore ti fa straparlare.»
«Davide ha lo sguardo crudele, gli occhi da vipera, sai, quelli con le pupille che diventano come due fessure verticali. L’aveva anche detto.
“l’ammazzo quel vecchiaccio, non vedo l’ora di ereditare tutti i suoi quattrini”. Ecco. Ora l’ha fatto. E io non ero qui a impedirlo.»
«Valeria, basta! Se tutti quelli che hanno lo sguardo crudele fossero assassini, inciamperemmo nei cadaveri per la strada!» Questa volta Pietro gridò quasi. Non sopportava di sentire la sua dolce Valeria farneticare in quel modo. E di vederla con quell’espressione dura, così diversa da lei. Poi si calmò. Erano arrivati. Le sorrise:
«Dai, ora ti accompagno su, ti riposi. Ti fai un bel pianto consolatorio e a poco a poco…»
«Non ho voglia di riposarmi. Tanto meno di farmi un bel pianto consolatorio». Valeria scese in fretta, prese la valigia, si girò un attimo verso Pietro per dirgli:
«Non mi accompagnare. Tanto voglio stare sola a pensare» e sparì nell’atrio della sua casa.
Pietro guardò per qualche secondo il portone, indeciso se seguirla oppure no, poi optò per il no. Avrebbe voluto correrle dietro e stringerla forte tra le braccia perché l’amava. D’altra parte intuiva che lei in quel momento di lui proprio se ne infischiava. Voleva davvero stare sola.
Stare sola, già. Valeria si accese una sigaretta, sul divano del soggiorno dove non era entrata da otto mesi. La primavera precedente aveva vinto una borsa di studio di un anno per l’Università di Berkeley, in California. 
Ricordava che era corsa dal nonno, nella grande villa sul lago dove lui abitava. Gli era saltata al collo, pazza di gioia.
«Nonno, che felicità! Ancora non ci credo». Poi si era ritratta. «Ma come faccio? Io non voglio lasciarti…» perché DAVVERO non voleva lasciarlo. Il nonno si era messo a ridere, lì sulla sedia a rotelle sulla quale era inchiodato ormai da quattro anni.
«Ma cosa dici, Valeria? Vorrei aggiungere “non sono mica un vecchio paralitico”, invece molto evidentemente lo sono.» Il nonno aveva accettato la propria infermità con la sua solita forza d’animo, mantenendo persino il suo delizioso senso dell’umorismo. «Ma come tu ben sai, io su questa sedia tanto male non ci sto. Ho i miei libri, i miei ricordi, il “Cip” che mi fa compagnia, vero, Cip?» domandò rivolto all’amatissimo merlo che gli rispose fischiando dalla sua gabbia.
«Poi ho il “Miao”, e fece una carezza al micio che si allungò voluttuoso, come fanno i gatti, sotto la sua mano. «E poi ho il profumo della mia magnolia. Guarda, è tutta fiorita.»
«Ma nonno, non può bastare…» aveva detto piano Valeria.
«Certo non è come avere te, ma questa è un’occasione fantastica e non puoi, non devi lasciartela scappare. Per un anno farò a meno di te. Dai, togliti dai piedi e vai a San Francisco» aveva concluso abbracciandola.
Maria, la governante, era arrivata in quel momento col tè e i pasticcini fatti da lei. Si occupava del nonno con devozione e affetto da quindici anni, da quando la nonna era morta.
«So che lo lascio in buone mani. E poi comunque, non partirò prima di ottobre» aveva sorriso Valeria a Maria. Uscendo dalla villa per tornare a Milano, nell’elegante appartamentino che il nonno le aveva regalato perché fosse più autonoma e comoda per l’Università, Valeria aveva in crociato la macchina di Davide, il figlio del vecchio. Si erano guardati male, come al solito. Davide aveva trentacinque anni, era figlio unico di Andrea Rocca e non gli era certo piaciuto quando Valeria, diciannove anni prima, aveva fatto il suo ingresso nella loro casa.
Era figlia di una cugina di terzo grado, la sua famiglia era stata annientata da un terribile incidente automobilistico. Valeria, che aveva solo due anni, sarebbe finita in un istituto, ma Andrea Rocca, buono e generoso, l’aveva presa con sé e allevata come una figlia. Valeria lo ricambiava con la sua allegria, la vivacità e un mare di affetto – per inciso – disinteressato. Davide, in compenso, la detestava, avevano sempre litigato, da bambini, da ragazzini, da adulti. Anche Valeria detestava Davide, la sua ipocrisia, la voglia che aveva di fregare il vecchio che lei gli aveva sempre letto negli occhi, in quei famosi occhi da serpente. Ed era ben sicura di non sbagliare.
Andrea Rocca era indulgente con quel figlio che non era stato capace di studiare, che non sapeva combinare niente. Però non l’aveva messo a fare l’amministratore delegato del suo stabilimento, come probabilmente si aspettava Davide. Gli passava una cospicua rendita annuale e stop. Non doveva certo stimarlo granché. Stimava invece Valeria e l’amava con tutto il cuore, quella ragazza dolce e deliziosa era davvero la sua gioia.
* * *
«Il signor Andrea in gennaio si era preso una bronchite ed era costretto a letto. Ma non si lamentava, signorina Valeria. Lei lo sa com’era. Si era fatto portare la gabbia col suo Cip qui nella sua camera, davanti alla finestra.»
«A proposito, dov’è?» Valeria interruppe il flusso delle parole, mescolate a lacrime di autentico dolore, di Maria, che parlava e piangeva. Erano nella camera da letto del nonno, dove era morto, quattro giorni prima.
«Dov’è chi?» chiese Maria asciugandosi gli occhi.
«Dov’è Cip» ripeté un po’ impaziente Valeria. «Non l’ho visto giù in soggiorno e qui non c’é.»
«Ah già. È morto, Cip. In marzo, così all’improvviso.»
«Morto? Chissà che dolore per il nonno. Lo adorava… Ma perché non me l’aveva scritto? E perché non mi aveva scritto di sentirsi così male, così giù?»
«Non voleva preoccuparla. Aveva paura che per causa sua, lei tornasse dall’America. Sarebbe una stupidaggine, ripeteva. Così, quando le scriveva, faceva un grande sforzo per essere spiritoso e allegro, per sembrare normale. Doveva costargli fatica, perché poi era stanco, disfatto. Si appoggiava sui cuscini, diventava pallido. Il mio povero signor Andrea…»
«E lei, Maria, perché non mi ha scritto lei?» chiese Valeria quasi con rabbia.
«Ma, signorina… io… io ne avevo parlato col signor Davide. Aveva detto che ci avrebbe pensato lui. Non l’ha fatto? Anzi, io ero stupita che lei non tornasse sapendo che il signor Andrea stava così male…»
Davide. Maledetto. Certo che non le aveva scritto niente. Non poteva rischiare che lei gli impedisse di uccidere il nonno.
«E dov’è Davide adesso?» chiese Valeria.
«Mah, lo sa com’è lui. Viene ogni tanto per andare a cavallo. Adesso poi erediterà tanti soldi, diventerà padrone dello stabilimento…»
Già. Il nonno sicuramente nel suo testamento aveva diviso le cose in modo che a Valeria andasse una gran fetta di patrimonio, ma lo stabilimento ora sarebbe appartenuto a quel verme di Davide. Davide che aveva ucciso il vecchio. Valeria ne era sicura. Ucciso. Ma come?
* * *
«Morto di vecchiaia, Valeria» aveva detto il dottor Risi, che la conosceva da quando era bambina, ed era da sempre il medico curante del nonno.
«Ma non stava male quando sono partita! Com’è possibile un crollo così rapido, così…»
«Andrea Rocca era energico e volitivo. Ma aveva passato gli ottant’anni,
Valeria. A quell’età ogni cosa può essere l’inizio della fine. Ricordo un giorno, era gennaio, lui era da pochi giorni costretto a letto, Davide inavvertitamente urtò la cornice con la foto di tua nonna, Gemma.»
«Quella di lei con l’abito da sposa? Il nonno la teneva sempre sul comodino.»
«La cornice cadde, il vetro si ruppe e produsse un taglio proprio sul viso di Gemma. Quei lineamenti bellissimi sembravano deturpati da un’orrenda cicatrice. Avessi visto il nonno! Era disperato, gli venne quasi un collasso. Quell’avvenimento diventò una tragedia. A quell’età non si sopporta la perdita di un oggetto tanto amato.»
«Il nonno è morto in giugno» pensò ad alta voce Valeria.
«Rimase a letto sei mesi perdendo progressivamente le forze. E una mattina lo trovammo morto.»
* * *
«Maria, parliamo ancora un po’ del nonno, vuoi?»
Valeria era tornata alla villa con un’idea in testa. Un’idea che ormai si era impadronita di lei come un brutto incubo. «Dunque in gennaio si ruppe la cornice del ritratto, vero?»
«Che dolore per il signor Andrea… poi fu tutto un susseguirsi di cose brutte. Qualche giorno dopo sparì il micio.»
«Miao? Cosa gli è successo? Non c’è in giro, ma pensavo fosse a spasso con qualche sua micina.»
«L’aveva pensato anche il signor Andrea i primi giorni, ma passò una settimana, poi un’altra….»
«Chissà com’era disperato il nonno! Adorava il suo Miao.»
«E Miao adorava lui. Passava intere giornate sul suo letto a fargli compagnia. Faceva un freddo, nevicava. Il signor Andrea guardava fuori e continuava a ripetere “Ma quel gattino, cosa gli sarà successo”. Lo trovarono dopo quindici giorni, morto, dietro le stalle. Qualcuno lo aveva avvelenato.»
«E per il nonno fu un altro colpo al cuore…»
«Signorina Valeria, sembrava proprio un rosario di disgrazie! La fotografia della signora, poi il gatto, poi dopo neanche un mese va a morire anche il merlo… il signor Andrea era triste triste, non leggeva più, non aveva appetito. Io speravo che presto sarebbe arrivata la primavera e con il rifiorire della natura anche il nonno avrebbe ripreso le forze. Infatti la primavera venne, la magnolia fiorì tutta, proprio qui davanti alla finestra del signor Andrea…»
* * *
«La magnolia non c’è più, capisci, Pietro?»
«Capisco una serie di coincidenze molto negative per tuo nonno. Ma di qui a sostenere che è stato assassinato…»
«Ma non puoi non capire! Davide ha urtato la cornice forse davvero inavvertitamente e ha visto che per il nonno è stato un grosso dolore.
Allora ha fatto il suo piano per farlo morire. Un piano perfetto: dopo la foto gli toglie il gatto che il nonno adorava, poi il merlo. Davide, viscido, sottile, crudele come un serpente, gli toglieva piano i suoi amori, tutte le piccole cose di cui era piena la vita del nonno.»
«Valeria, vai troppo in là con la fantasia.»
«Poi fiorì la magnolia, proprio davanti alla camera da letto, il nonno ne sentiva il profumo dalle finestre aperte. Avrebbe potuto ricominciare a sorridere. Invece…»
«Anche la magnolia morì, okay, e allora? Una serie di coincidenze sfortunate, tutto qui.»
«No, Pietro, è stato Davide. Sono andata in legnaia a guardare i pezzi della magnolia, il giardiniere l’aveva tagliata per farne legna per il camino. E ho notato una cosa strana. Vieni, te la faccio vedere». Valeria uscì con Pietro nel giardino, girò dietro la villa dove c’erano le stalle con i cavalli. C’era anche Davide, che si preparava per una delle sue galoppate.
«Ciao Valeria, Pietro…» salutò distrattamente.
Un minuto dopo Valeria e Pietro erano nella legnaia.
«Questa è la base della magnolia. Pietro, la vedi quest’incisione?
Capisci adesso?»
«No. Devo dire che la mia conoscenza sui tronchi delle magnolie è limitatissima». A Pietro non piaceva quella storia. Le congetture di Valeria gli sembravano le fantasie di una mente che stava diventando malata. Cosa andava a pensare di morti sospette di gatti e di merli, che stupidaggini. Adesso poi cosa c’era di nuovo? Era stata assassinata anche la magnolia? Ma che bel titolo per un romanzo “La magnolia assassinata”, roba da morir dal ridere.
«Ora ti spiego» continuò Valeria. «La parte interna del tronco è solo una struttura, non ha funzioni vitali. Con questa incisione lungo tutta la circonferenza del tronco si interrompe il flusso della linfa verso l’alto. In pratica si uccide l’albero, lo capisci o no? Davide ha ucciso la magnolia.»
«Basta, Valeria! Non voglio più sentirti parlare così! Se anche tu avessi capito giusto, nessuno incriminerebbe mai Davide perché ha “ucciso” cornici, gatti, merli e magnolie!»
«Pietro, Davide ha ucciso il nonno! Gli ha tolto tutto ciò che amava.
L’ultima cosa che gli ha tolto è stato il profumo della magnolia. Il nonno piano piano si è lasciato morire, ma l’ha ucciso lui. Io volevo bene al nonno. Voglio vendicarlo.»
«Basta, Valeria. Lascia questa casa e vieni via con me.»
«No, Pietro. Se non capisci, allora vattene.»
* * *
Fu qualche mese dopo che Pietro lesse sul giornale che Davide Rocca aveva fatto una brutta caduta da cavallo, mentre faceva una galoppata nella brughiera. Una vertebra spezzata aveva leso il midollo spinale e Davide era rimasto paralizzato.
Costretto a letto, totalmente immobile.
Pietro sentì come un pugno forte alla bocca dello stomaco, poi scacciò il pensiero. Cosa c’entrava Valeria con quella caduta, cosa andava a pensare.
Ma era più forte di lui, l’amava ancora, anche se non l’aveva più vista da quel giorno.
* * *
Suonò al cancello della villa sul lago.
Capì subito che era stata lei. Lo capì da quegli occhi che ormai erano diventati crudeli e lo diventarono ancora di più, quando lei, versandogli il tè, gli raccontò che aveva messo un piccolo oggetto irritante sotto la sella del cavallo.
«Un minuscolo chiodo a più punte. Il cavallo è diventato come un pazzo, sai. L’ha sbalzato di sella, come volevo io. Lui è caduto, ed è andata ancora meglio di quanto pensassi. Addirittura paralizzato! Splendido. Non fare quella faccia, Pietro. Adesso tocca a me. Ieri gli ho spaccato una coppa di cristallo che lui amava molto. Avessi visto la sua espressione… era disperato. Ma cosa fai? Te ne vai già, Pietro?»
Lui correva via, e ancora sentiva le parole di lei. “La prossima cosa che gli toglierò sarà un roseto, una vecchia pianta che fa delle rose profumatissime, arriva proprio alla sua finestra. Te l’ho detto, tocca a me adesso…”.
E le pupille dei suoi occhi, gli occhi della sua dolce, tenera Valeria, diventavano due fessure verticali come quelle dei serpenti…

 

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