venerdì 11 luglio 2025

Jack C. Haldeman II: Topi nello spazio



Gli scarafaggi non mi danno fastidio. Sono i topi che mi fanno impazzire.
Gli scarafaggi vivono dietro il pannello di controllo del propulsore principale.
Escono solo quando è buio. Ma non mi creano problemi. Però quando un topo mi
passa galleggiando a zero davanti alla faccia, con quella brutta coda spelacchiata che
si contorce e le zampette che si agitano freneticamente, be’, allora penso davvero che
non mi paghino abbastanza.
Prima avevo un lavoro fantastico: pilotavo gli ipersonici della Pan American sulla
rotta New York-Sidney. Solo io e le hostess a portare avanti e indietro i passeggeri
della “Grande Mela” agli antipodi. Tre giorni di lavoro e cinque di riposo. Una meraviglia.
Avevo una lussuosa uniforme, e tutti mi chiamavano “signore”. Adesso parlo
con le formiche per non impazzire. Questa volta si sono infilate nella dispensa. È un
disastro.
Con la Pan Am ebbi qualche contrasto. Io volevo più soldi e meno ore di lavoro.
Loro offrivano meno soldi e più ore. Così cominciai a leggere gli annunci economici
sui giornali.
Una compagnia cercava piloti per le O’Neill. La paga era buona, e non avrei più
dovuto vedermela con gli ubriachi. Niente è più sgradevole di un ubriaco che infila la
testa nella cabina mentre cercate di calcolare la planata su Sidney e allo stesso tempo
di evitare il volo della Delta delle 8,15. Volare sull’ipersonico è come fare un viaggio
su un grosso ascensore, e quando un ubriaco entra e vede l’orizzonte scivolare via sul
vetro della cabina, di solito restituisce quello che ha appena mangiato. È successo
varie volte, e non c’è niente di peggio.. Eccetto forse i topi. Sì, probabilmente i topi,
ora che ci penso. Soprattutto i topi.
Le O’Neill sono splendide. Stanno lì sospese fra la Terra e la Luna come l’ottava
meraviglia del mondo. Non riesco ancora a credere che si sia andati d’accordo tanto a
lungo da riuscire a costruirle, eppure è così e adesso eccole là. Sei fantastiche colonie
spaziali abitate soltanto da diecimila persone.
L’idea venne a qualcuno molto prima che io nascessi, altri poi si misero insieme e
le costruirono. Lanciavano dalla Luna i materiali che venivano lavorati e assemblati lì
nello spazio. E le colonie sono realmente splendide, un vero capolavoro d’ingegneria.
Il gruppo che le costruì aveva molti progetti e il denaro necessario per realizzarli.
Era l’occasione giusta per un nuovo corso dell’umanità. Volevano ricominciare tutto
daccapo ma questa volta volevano farlo bene. Progettarono sei piccoli paradisi e li
costruirono.
Sono molto grandi e con molto spazio per tutti. Ci sono posti tranquilli dove ci si
può rilassare, e posti per riunirsi per quelli che amano la compagnia. I boschi e i
parchi che hanno realizzato sono in perfetta armonia con le aree cittadine e le fattorie.
Le O’Neill furono costruite per essere autosufficienti e completamente autonome.
Una volta terminate, non ebbero più bisogno di niente di importante dalla Terra. Le
piante eliminano l’eccesso di biossido di carbonio e producono ossigeno. I rifiuti vengono
riciclati. È un sistema chiuso: tutto viene utilizzato all’infinito, I processi industriali
avvengono invece su alcuni globi in orbita intorno alle O’Neill. Le materie
prime arrivano dalla Luna grazie a lanciatori di massa che usano pochissima energia.
Sulle O’Neill tutto funziona a energia solare, che è gratuita. L’atmosfera è migliore
di quanto lo sia mai stata sulla Terra. Niente smog, niente ciminiere, niente che non
dovrebbe esserci.
È questo il punto. Non volevano costruire altre Terre in miniatura. Volevano
costruire quello che la Terra sarebbe potuta essere se l’uomo non avesse rovinato
ogni cosa.
Era un’idea grandiosa.
Progettarono tutto con molta attenzione fin dall’inizio: quello che c’è sulle O’Neill
è stato approvato dal comitato di controllo. Il comitato era composto di undici membri,
il cui lavoro non era difficile: volevano soltanto il meglio.
Consultarono botanici e genetisti e scelsero soltanto le sementi migliori.
Le sementi davano ottimi raccolti e le piante crescevano bene. Non c’erano
malattie a ridurre la produzione, né siccità, né giorni nuvolosi. Tutto era perfetto.
Dato che non esistevano stagioni, venivano fatti vari raccolti all’anno e con una resa
infinitamente superiore a quella di un qualsiasi scavafango terrestre. Le varie specie
di piante furono facili da scegliere. Naturalmente non venivano mandati in orbita
semi qualsiasi.
La stessa cosa avveniva con gli animali, sia quelli domestici sia quelli commestibili.
Furono scelti solo i migliori. Per quanto riguardava il rendimento di quelli
commestibili era semplice, era solo un problema di proteine e di economia. Con
quelli domestici era un’altra faccenda. C’erano alcune implicazioni estetiche, e i
comitati hanno sempre avuto problemi in questo campo. Alla fine si decise che
sarebbe stata ammessa una quantità limitata di alcuni tipi specifici di cani e di gatti, i
cui istinti riproduttivi sarebbero stati attentamente controllati. Questa decisione causò
problemi con gli amanti dei pappagalli e con gli appassionati di pesci tropicali, per,
cui furono ammesse alcune eccezioni. Niente serpenti, comunque. Quelli furono
vietati.
In effetti il comitato non aveva torto quando decise di fare quelle concessioni per
motivi estetici. Si erano accorti che anche nello spazio la gente aveva bisogno di
circondarsi di cose belle. Furono magnanimi con i colibrì perché aiutavano le piante e
allo stesso tempo volavano tutt’intorno delicati e graziosi. I pettirossi piacevano quasi
a tutti, così ne ammisero parecchi. Le colombe erano belle, ed inoltre erano anche
simboliche. Le coccinelle e i lombrichi ebbero via libera perché utili all’agricoltura.
Le api impollinavano i fiori, e il miele era un ottimo sottoprodotto. I cardinali erano
di un rosso tanto attraente che non si poteva non accettarli. Le pecore davano un
senso di tranquillità, e alla gente piaceva vedere i greggi che pascolavano. A nessuno
venne fatto di pensare ai lupi, e le mosche della frutta non furono certo richieste.
E così avevano creato il paradiso ed io avevo ottenuto un lavoro: volavo lassù una
volta alla settimana. Mi parve una cosa fantastica mentre firmavo sulla linea tratteggiata.
Potevo riposarmi sulla Terra tra un volo e l’altro, oppure su una delle O’Neill,
se volevo. Credevo che sarebbe stato come una vacanza. Mi sembrava d’aver conquistato
anch’io un pezzetto di quel paradiso.
Ma state a sentire quello che è successo. Sono qui ficcato in una scatola di latta, e
non ho nemmeno una lussuosa uniforme da infilarmi. I miei passeggeri lasciano
molto a desiderare. Non ci sono hostess. E non credo che ormai mi importi più delle
O’Neill. La luce della mia radio si è accesa. Caccio via un ragno e premo il pulsante.
— Navetta uno — dico. — Parla pure, O’Neill cinque.
— Sei tu, Frank? Credevamo che non saresti venuto.
— Tranquilli — dico. — Sono in perfetto orario.
— Serpenti. Hai portato per caso qualche serpente questa volta? O qualche falco?
Non ne possiamo più di cardinali e pettirossi. Ci stanno facendo impazzire.
Dobbiamo assolutamente trovare qualcosa.
— Qualche serpente sì, ma niente falchi, mi dispiace. Però ho alcuni splendidi scarabei
stercorari per voi.
— Ottimo. Abbiamo ormai perso ogni controllo sulle colombe. Dovresti vedere
come stanno conciando le panchine dei parchi.
Sento un brivido. Non ho bisogno di molta fantasia per immaginare lo schifo che
devono avere combinato quelle colombe. Escrementi dappertutto. Neanche gli scarabei
ce l’avrebbero fatta.
Hanno creato il paradiso, ma hanno creato un sistema senza controlli e contrappesi.
Era tutto bellissimo ma c’era troppo di ogni cosa. Gli animali domestici potevano
anche sterilizzarli, ma non c’era niente che potessero fare contro i colibrì. Senza
nemici naturali che ne regolassero la riproduzione, erano diventati milioni. Non si
poteva uscire di casa senza essere costretti a togliersene a decine dai vestiti.
Un cardinale è bello. Cinque cardinali fuori dalla vostra finestra sono uno
spettacolo gradevole. Ma cinquanta? Mille? Diecimila? Ben presto diventerebbero
una questione di Stato. Una fase che sulle O’Neill è stata superata da molto tempo. Le
colombe vi bombardano per strada; ci sono pecore in agguato dietro ogni angolo,
pronte a mordervi le caviglie. Rose e calendule hanno eliminato ogni altro tipo di
fiore. Le coccinelle si attaccano ai capelli. Le api pungono braccia e gambe. E da un
momento all’altro un colibrì vi può ficcare il becco nell’orecchio.
E così questo è il mio lavoro. Sono io che fornisco i controlli e i contrappesi.
Trasporto sulle O’Neill tutta quella roba che non avevano voluto. Ho portato mosche
e millepiedi e vari tipi di cimici e di ragni. Ho portato topi e talpe. Ho persino portato
alcune poiane.
Non ho una bella uniforme né un lavoro fantastico. E nessuno mi chiama più “signore”.
Non ci sono passeggeri ubriachi a bordo, ma credo di essermi preso le pulci e
non erano nemmeno sulla lista.
Un topo mi galleggia davanti al naso e mi fissa con i suoi occhietti luminosi. Rimpiango
le hostess. A volte rimpiango anche gli ubriachi.
 

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