sabato 18 novembre 2023

Maria Cristina Buoso: Vernissage


La sera era avvolta da una lieve nebbia che sembrava sciogliersi tra le case della città.
Eva alzò il bavero sul viso e continuò a camminare veloce verso il palazzo illuminato in fondo alla strada. Si fermò sotto un lampione, aprì il cappotto sul davanti per mostrare l’eleganza dell’abito, si ritoccò veloce i capelli con la mano e si stampò un sorriso sul viso. Soddisfatta, entrò nella confusione colorata di quel party collegato al vernissage.
La prima persona che le venne incontro abbracciandola, era l’ultima che avrebbe voluto incontrare, ma sarebbe stato impossibile evitarla, dal momento che quella era la sua serata.
L’inaugurazione serviva a presentare i suoi ultimi quadri ai critici, che l’avrebbero come sempre osannato. Agli amici, che lo avrebbero vezzeggiato, e ai possibili acquirenti, che lo avrebbero coccolato per avere uno sconto. Ma lui, il grande pittore trevigiano, era al di sopra di tutto questo.
Se lo poteva permettere, non solo perché aveva più di sessant’anni, ma soprattutto perché si sapeva genio.
E come tale, si poneva al di sopra degli altri, con la sua arrogante saccenteria che riversava sulle persone e sulle donne della sua vita.
Eva era l’ultima di una lunga serie e nella sua presunzione d’innamorata,
sperava che sarebbe stata l’ultima.
Ma sapeva che, ben presto, era destinata a divenire la penultima.
Ricambiò il bacio sulla guancia, il sorriso di circostanza, e si allontanò con la scusa di ammirare i suoi ultimi capolavori artistici.
Mentre si soffermava a fissare un quadro, quello più lontano da lui, cercò di ricordare come tutto fosse iniziato.
Un anno prima si erano incontrati a un altro vernissage.
Era il terzo di Eva ed era molto nervosa. Si guardava attorno, impacciata e con la voglia di scappare lontano da tutta quella gente incuriosita che la salutava, le stringeva la mano, le chiedeva spiegazioni sui quadri e addirittura le domandava della sua attività e della sua vita, e di come, una bella donna come lei, riuscisse a trovare il tempo di dipingere, oltre che lavorare.
Eva era rimasta frastornata nel fronteggiare la marea di parole e di sguardi, avvertiva il panico salirle dentro mentre cercava di mantenere un’immagine rilassata e sorridente.
Quella volta non era come le due precedenti, era la prova del fuoco per farsi accettare come pittrice e non come una con l’hobby della pittura.
In mezzo a tutta quelle persone, un uomo, alto e con una barba brizzolata, le venne in soccorso con un sorriso. La prese sottobraccio e la condusse fuori. Si appoggiarono al muro e rimasero in silenzio a fissare il buio della notte che copriva la strada.
A un tratto, le chiese come avrebbe dipinto quella strada con quel nero, senza rendere il quadro cupo, ma vivo e con una certa allegria di vita. Eva si voltò verso di lui, stupita per l’insolita richiesta cercò di rispondere alla strana domanda, ma non riusciva a trovare le parole adatte per raffigurare l’ipotetico quadro.
Le sorrise, le mise tra le mani un cartoncino e le disse che, quando fosse riuscita a dipingerlo, l’avrebbe visto volentieri.
La salutò con un bacio affettuoso sulla guancia e si allontanò nella notte. Eva, rigirando il cartoncino tra le dita, rimase per un po’ a fissare il punto in cui il tipo si era allontanato.
In quel momento uscì il proprietario della galleria, che la trascinò di nuovo tra il rumore della folla.
Passarono alcuni mesi saturi d’impegni: i suoi quadri si vendevano bene. La critica non era stata troppo severa e la gente ne era rimasta affascinata al punto da comprarli quasi tutti, rendendola felice. Ma questo significava altre mostre, altri incontri, altre interviste, altro stress.
Finalmente, tutto quel lavoro di rappresentanza finì, lasciandola stanca ma con la voglia di rimettere mano ai pennelli.
Si ricordò dell’uomo che le aveva fatto quella strana richiesta.
Chi era? Non lo sapeva.
Si ricordava che la gente quella sera lo aveva trattato con deferenza.
La sua curiosità si era risvegliata. Dove aveva messo il suo biglietto da visita? Non riusciva a trovarlo.
Stava per chiederlo al suo gallerista, ma le venne meno il coraggio.
Se era un critico importante o un pittore di prestigio, che figura avrebbe fatto dimostrando la sua ignoranza?
Si rimise a cercarlo stizzita e finalmente lo trovò tra le pagine del suo dépliant di quella sera. Lesse il nome e il drappo nero che aveva davanti agli occhi scese a terra lasciandola stupita a fissare il nome scritto sul biglietto: “Leo Leopoldi”.
Per giorni provò a dipingere quella strada di notte, senza riuscire a catturare con i pennelli quella sensazione di vitalità che Leopoldi le aveva chiesto. Esasperata, decise di recarsi lo stesso da Leo con tutti i suoi tentativi mal riusciti.
Scese dall’auto e suonò aggressiva alla porta: ammettere la sconfitta non le piaceva. Si sentiva defraudata di qualcosa e aveva voglia di litigare.
L’artista aprì e senza salutarla ritornò al suo lavoro.
Una tela enorme era stesa per terra e lui con le mani e i piedi stava imbrattandola di colori e forme. Aveva i vestiti e la barba sporchi di diversi colori e non si curava della presenza dell’ospite, che, esasperata, lasciò cadere a terra i propri lavori con un suono secco e lo fissò stupita. Senza voltarsi, le disse di levarsi cappotto, scarpe, calze, e di “rimboccarsi le mani”. Lei ripeté
l’ultima frase sottovoce, come a cercare una spiegazione:
«Come ci si può rimboccare le mani?»
Stizzito, Leo si girò e le ordinò di entrare nel quadro con lui.
Come in trance, Eva obbedì, e sempre in trance si trovò distesa sulla tela, l’uomo sopra di lei. Fecero l’amore tra colori e odori, tra la passione di lui e lo stupore di lei.
Un mese dopo, quel dipinto nato in modo così singolare fu venduto per trentamila dollari a un ricco americano.
Dal giorno di quel “quadro” diventarono amanti, ma anche allieva e maestro. Leo le insegnava a entrare nel cuore della pittura, nella vita dei colori, nella passione che bisogna lasciare uscire, quando si lavorava a un nuovo quadro, perché doveva essere vivo e trasportare le persone nel centro delle emozioni,
che spesso erano ignorate.
Per lei, questo non era facile, perché aveva un forte autocontrollo e difficilmente lasciava fuoriuscire quello che provava.
Lo si percepiva nei suoi lavori: pur essendo belli, mancavano di qualcosa, quel qualcosa che lui cercava di insegnarle obbligandola a trasmetterlo sulla tela senza paura di mostrarsi.
Quello fu un anno molto importante, perché diventò una pittrice famosa e le sue opere vennero quotate molto bene, ma soprattutto imparò ad apprezzare quella parte di lei che aveva sempre negato: la femminilità e la passione.
Leo le insegnò anche ad accettare il suo ruolo di donna.
Purtroppo, quando smise di essere allieva, egli perse il suo interesse per lei.
Eva si ritrovò di nuovo nella sua casa con quella sensazione di solitudine che prima ignorava e che adesso doveva imparare ad accettare. E doveva imparare a convivere con la nuova Eva, la donna che era nata dopo quella tumultuosa relazione con uno dei maggior pittori viventi.
 

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