sabato 13 settembre 2025

Leslie Charteris: L'uomo di ingegno, 3/6



4
 
«Puoi versare un po’ di birra, figliolo,» disse Simon Templar, sdraiato sulla poltrona. «E poi, puoi cominciare subito a raccontarmi la storia della tua vita. Ti posso concedere circa due minuti.»
Jerry Stannard andò obbediente verso un tavolino dove erano già pronti bottiglie e bicchieri, adempì il suo incarico con mano esperta, e tornò indietro con i risultati.
«Alla salute,» fece il Santo, e due schiumeggianti bicchieri furono vuotati a mezzo in un silenzio elogiativo.
Stannard fu quindi invitato a parlare. Posò il bicchiere con un sospiro e si mise a suo agio, appoggiandosi all’indietro, mentre il Santo stendeva un braccio verso il portasigarette da tavolo.
«Non riesco a capire perché voi dovreste essere interessato a me,» disse Stannard.
«Questi sono affari miei,» disse il Santo, seccamente. «E già che ci siamo, figliolo, io non sono un’istituzione benefica. Capita che io voglia un aiutante, e mi proponga di servirmi di te. Naturalmente ne ricaverai un guadagno, dato che mi interesso a te abbastanza da volerti aiutare; ma tu dovrai pagare, a modo tuo.»
Stannard accennò di sì con la testa.
«È gentile da parte vostra pensare che io ne valga la pena,» disse.
Non si era dimenticato, e sarebbe stato impossibile scordare un incidente simile in soli due giorni, l’occasione del suo primo incontro con il Santo. A Stannard era stato affidato un pacchettino, e gli era stato detto di consegnarlo a un indirizzo in Piccadilly; e, anche se non gli era stato detto che cosa conteneva, lui non aveva potuto fare a meno di intuirlo, facendo uso di un po’ di perspicacia. Perciò, quando una mano pesante gli era improvvisamente piombata sulla spalla solo pochi minuti dopo aver lasciato Hayn, egli non aveva avuto speranze…
E poi era avvenuto il miracolo, anche se al momento lui non s’era reso conto che si trattava di un miracolo. Un uomo lo aveva urtato mentre il poliziotto s’era voltato per chiamare un taxi, e poi s’era girato per scusarsi. In quel momento di crisi tutte le facoltà di Stannard erano state portate a quello stadio di particolare efficienza che precede di poco un collasso. L’anormale iperpercettività di Stannard, combinata con l’espressione singolare con cui lo sconosciuto si era voltato per scusarsi, facevano sì che il viso di quell’individuo si fosse stampato indelebilmente nella sua memoria…
Il Santo si levò un pacchetto dalla tasca e lo soppesò con aria assorta.
«Quarantotto ore fa,» mormorò, «pensavi, a ragione, che nessuno ti avrebbe levato di dosso cinque anni di soggiorno nelle patrie galere. Invece sei un uomo libero. I gongolanti piedipiatti di Vine Street non ti hanno trovato niente addosso e hanno dovuto lasciarti andare con tante scuse. Certo, in questo momento giurano di riparare all’errore e di prenderti con le
mani nel sacco la prossima volta; ma, per il momento, questo non ti tocca. Scommetto che ti stai chiedendo che prezzo mi farò pagare per averti ripulito le tasche al momento giusto.»
«Me lo sto chiedendo fin dall’inizio.»
«Te lo dirò subito,» disse il Santo. «Ma prima sbarazziamoci di questo.»
Uscì dalla stanza con il pacchetto e, attraverso la porta aperta, arrivò subito dopo il rumore dell’acqua corrente. Di lì a pochi minuti il Santo fu di ritorno spolverandosi le mani.
«Ecco eliminata la prova,» disse. «Ora, dimmi un po’: come hai fatto ad entrare nel giro della droga?»
Stannard alzò le spalle.
«Nessun segreto. Non c’è alcuna ragione eroica o intelligente. Tutto viene dal fatto che ho le mani bucate. A Cambridge ero dalla parte sbagliata e conoscevo quasi tutti i duri della città. Mio padre era morto lasciandomi senza il becco d’un quattrino. Ho cercato di trovare un lavoro, ma non sapevo fare niente di utile. Naturalmente bazzicavo sempre la stessa banda, e un po’ alla volta mi sono lasciato invischiare nei loro traffici. So che avrei dovuto resistere, ma non ne ho avuto la forza. Si trattava di danaro facile, e me lo son preso. Questo è tutto.»
Ci fu un breve silenzio, durante il quale il Santo soffiava monotonamente anelli regolari di fumo verso il soffitto.
«Ora parlerò io,» disse. «Ho fatto su di te tutte le indagini che mi erano necessarie. Conosco la storia della tua famiglia da due generazioni a questa parte, la tua vita, i tuoi risultati scolastici: tutto. Ne so abbastanza per ritenere che non appartieni all’ambiente che bazzichi attualmente. In primo luogo, tu sei fidanzato con una ragazza piuttosto bella, e lei è preoccupata per te. Non sa niente di preciso, ma ha dei sospetti. Anche tu sei preoccupato. Non ti trovi a tuo agio in quell’ambiente di criminali, anche se cerchi di non farlo notare. Non sei tagliato per fare il delinquente. Non è così?»
«Sì,» disse recisamente Stannard. «Darei qualsiasi cosa per esserne fuori.»
«E fai sul serio, a proposito di questa ragazza, Gwen Chandler?»
«Assolutamente! Davvero, Templar! Ma che ci posso fare? Se pianto la combriccola di Hayn, resto senza un centesimo. Per di più, non so neanche se mi permetterebbero di andarmene senza storie. Gli devo dei soldi. Quando ero a Cambridge, ho perso nelle sale da gioco di Hayn una piccola fortuna, almeno in rapporto alla mia condizione, e lui ha in mano alcune mie lettere di credito per quasi mille sterline. Sono stato un matto, ho fatto debiti da tutte le parti. Non potete immaginare in che guaio mi trovo.»
«Tutto al contrario, figliolo,» disse il Santo con la massima calma,» ho un ottimo fiuto per queste cose. È proprio questo il motivo per cui ora sei qui. Avevo bisogno di avere un mio uomo nella banda di Hayn, e li ho fatti passare tutti prima di scegliere te.»
Si alzò dalla poltrona e andò su e giù per la stanza. Stannard aspettava; il Santo si fermò di botto.
«Tu sei a posto,» disse.
Stannard aggrottò le ciglia.
«Significa?…»
«Significa che mi fiderò di te. Ti voglio associare alla mia impresa. Ne ricaverai abbastanza da poter pagare i tuoi debiti, e alla fine ti troverò un lavoro. Continuerai con Hayn, ma lavorerai per me. Mi devi dare la tua parola d’onore che filerai dritto per tutto il resto della tua vita. Questa è la mia offerta. Che te ne pare?»
Il Santo se ne stava appoggiato mollemente al caminetto, ma non c’era stato niente di molle nelle sue frasi incisive. Ripensandoci in seguito, a Stannard sembrava che si fosse risolto in pochi minuti e si meravigliava della straordinaria personalità di quell’uomo che, con quattro parole, era riuscito a spazzar via le abitudini di anni e a riaccendere in lui una scintilla di dignità che era ormai praticamente morta. Ma, al momento, Stannard non poteva analizzare i suoi sentimenti.
«Ti do un’occasione di uscirne e di rimetterti sulla buona strada,» proseguì il Santo. «Non lo faccio alla cieca, lo ti credo, quando dici che vorresti avere la possibilità di ripartire da capo. Credo che ci siano in te le basi dell’uomo onesto. Comunque sono disposto a correre questo rischio. Non ho neanche intenzione di minacciarti e potrei farlo dicendoti che cosa ti può capitare se mi dovessi ingannare. Ti pongo una domanda sincera, e voglio subito la risposta.»
Stannard si alzò in piedi.
«C’è una sola risposta,» disse e tese la mano.
Il Santo gliela strinse vigorosamente.
«Ora ti dirò esattamente di cosa si tratta.»
Lo fece, parlando, come prima, in tono energico. Il suo viso si era un po’ rilassato, perché quando il Santo faceva qualche cosa non la faceva mai a metà, e ora parlava a Stannard come a un amico e a un alleato. In compenso, il giovane seguiva il suo discorso con la massima attenzione. Il Santo gli disse tutto quanto era necessario che lui sapesse.
«Devi abituarti a pensare a ogni cosa, quindi a un sacco di cose, se vuoi uscirne intero,» concluse Simon, con la solita incisività. «Il gioco che conduco io non è di quelli che si fanno negli asili infantili, Mi ci sono messo solamente perché non so vivere in pace. Con le mie avventure, potrei riempire una dozzina di libri; ma, invece di saziarmi, le avventure mi fanno venire un appetito maggiore. Se dovessi vivere una vita calma e tranquilla, morirei dalla noia. Il rischio è il mio cibo e la mia bevanda. Forse tu sei diverso. Se lo sei, mi dispiace, ma non ci posso fare niente. Ho bisogno di un po’ di aiuto, e sarai tu a darmelo; ma non sarebbe leale metterti in mezzo senza spiegarti i rischi che corri. Quelli della tua combriccola non sono ragazzini. Prima che tu venga fuori da quest’affare, a Londra tu ti sentirai al sicuro quanto un paffuto missionario nelle Isole dei Cannibali. Hai capito bene?»
Stannard fece segno che aveva capito bene.
«Allora ti darò le disposizioni per l’immediato futuro,» disse il Santo.
Spiegò tutto dettagliatamente; e si fece ripetere ogni cosa due volte, per essere sicuro che non ci sarebbero stati errori e che niente sarebbe stato dimenticato.
«Da ora in poi voglio che tu stia alla larga da me fino a quando ti darò il via,» concluse. «Se il Serpente è in circolazione, io non potrò durare per molto al <Danny’s> ed è assolutamente necessario che non abbiano nessun sospetto su di te, il più a lungo possibile. Quindi, questo sarà il nostro ultimo incontro per parecchio tempo; ma puoi sempre telefonarmi, a patto d’essere sicuro che nessuno ti senta.»
«D’accordo, Santo,» disse Stannard.
Simon Templar si mise una sigaretta in bocca e tese la mano per prendere i fiammiferi.
L’altro ebbe per un istante la strana sensazione che tutto fosse irreale. Gli sembrava un sogno essere coinvolto in un progetto come quello che il Santo gli aveva esposto. Altrettanto fantastico gli sembrava che il Santo potesse aver concepito e messo in atto un tale progetto. Quel giovane distaccato, indifferente, vestito in modo impeccabile, con quella sua parlata biascicata e piena di espressioni in gergo e il suo sorriso chiaro e fuggente, aveva proprio l’aspetto di uno abituato a frequentare a proprio agio, e con piacere, i campi di tennis e di cricket, e cocktail-parties e balli; e invece…
E non si poteva non credergli: stava anzi diventando, secondo dopo secondo, quasi un articolo della nuova fede del nuovo Stannard. Il fascino del Santo era unico. Una certa aria di tranquilla sicurezza nel suo portamento, una certa tinta acciaio che prendevano a volte i suoi occhi azzurri, una certa indefinibile sensazione di forza, di temerarietà e di coraggio donchisciottesco: tutte cose che rendevano credibile tutto quanto era fantastico. E Stannard non aveva nemmeno il vantaggio di conoscere qualcosa degli ultimi otto anni della fulminea carriera del Santo; otto anni di allegra pirateria che, concesso anche ci fosse un po’ di esagerazione, facevano di lui un uomo di una solidità per niente ordinaria o salottiera…
Il Santo accese la sigaretta e tese la mano per porre termine all’incontro; gli angoli della sua bocca erano tirati nel suo irresistibile sorriso.
«Arrivederci, figliuolo,» disse. «E buona caccia!»
«Altrettanto a voi,» rispose Stannard con calore.
Il Santo gli batté la mano sulle spalle.
«So che non mi pianterai in asso,» disse. «C’è del buono in te e scommetto che sono riuscito a prenderne un po’. Te ne uscirai bene. Starò a vedere quello che farai. Stai attento!»
Ma prima di andarsene, Stannard fece una domanda.
«Non avevate detto che eravate in cinque?»
Con le mani in tasca, bilanciandosi elasticamente sui talloni, il Santo mostrò a Stannard il suo più serafico sorriso.
«Certo che l’ho detto,» disse strascicando la voce. «Quattro piccoli Santi e il sottoscritto.»
Stannard lo guardò con la bocca aperta.
«Che significa,» domandò.
«Sono io che lo chiedo a te, ragazzo mio,» rispose il Santo, sempre con quell’esasperante sorriso serafico sulle labbra, «forse che qualcuno ha mai visto un Grande Bianco Lanoso Wugga-Wugga nelle pianure di Astrakan? Dormici sopra, cherubino: preserverà la tua mente da pensieri impuri.»
 
 
5
 
A tutti i fini ufficiali, il proprietario e personaggio più rappresentativo del night club di Edgar Hayn, a Soho, era l’uomo dal quale il locale prendeva nome: Danny Trask.
Danny era piccolo e tarchiato, una specie di piccola e pigra botticella umana, con una faccia rotonda e rubiconda, la testa con radi capelli biondi e i baffi sottili e rossicci. I suoi occhi chiari erano profondamente affossati nel grasso delle sue palpebre carnose; quando sorrideva, cosa che avveniva spesso e generalmente senza che ci fosse una ragione apparente, essi sparivano completamente in una fitta rete di grinze.
La sua intelligenza non era eccezionale. Tuttavia, aveva scoperto molto presto che la professione di uomo di paglia, una professione che non richiedeva brillanti qualità intellettuali, consentiva una vita agiata: e Danny aveva fatto da sempre quel mestiere. Come prestanome era quanto di meglio si potesse desiderare, perché era poco invadente e si accontentava di poco. Aveva un tipo di mentalità comune alla sua categoria di fuorilegge. Fin tanto che il suo stipendio, che non era roba da poco, veniva pagato regolarmente, non si lamentava mai, non mostrava alcuna ambizione di arrivare a dividere i profitti del suo capo su una base di maggiore eguaglianza e, se qualcosa andava per il verso sbagliato, teneva la bocca chiusa e sostituiva senza batter ciglio il suo principale in una delle prigioni di Sua Maestà. La trasferta di Danny durante il soggiorno in carcere era di 10 sterline la settimana, con un extra di due sterline per ogni settimana di prigione dura. La scaltrezza del CID e la negligenza di uno o due dei suoi precedenti datori di lavoro avevano fatto sì che queste condizioni risultassero quanto mai redditizie per Danny. Pensava di ritirarsi un giorno e di finire la sua vita in un relativo lusso, quando i suoi risparmi fossero stati sufficientemente grandi; ma questa speranza aveva ricevuto colpi severi, negli ultimi tempi. Era stato al servizio di Hayn per quattro anni, e la fantastica abilità di Hayn di evitare le attenzioni della polizia stava diventando una spina nel fianco di Danny Trask. Quando Danny non era al fresco, il massimo che poteva racimolare erano sette miserabili sterline la settimana, e doveva vivere attingendo a questi suoi soldi anziché alle casse del governo. Danny sentiva di subire, sotto questo aspetto, un torto personale da parte di Hayn.
In teoria, il club apriva alle 18, ma il cibo non era buono e la maggior parte dei suoi membri preferivano cenare altrove. I primi clienti arrivavano generalmente verso le 22, ma l’ambiente non diventava mai eccitante prima delle 23. Le ore tra le 18 e l’inizio del divertimento, Danny le passava seduto, in maniche di camicia, nella sua stanzetta vicino all’ingresso, succhiando una vecchia pipa puzzolente e tirando a indovinare su un giornale della sera quello che si sarebbe rivelato il solito perdente alle corse del giorno dopo. Era incapace di annoiarsi: la sua mente non aveva mai raggiunto quello stadio di sviluppo in cui si possono distinguere i concetti di attività e inattività. La sua mente non era mai stata attiva, quindi non poteva cogliere la differenza.
In queste piacevoli faccende era appunto occupato Danny, una certa sera verso le otto, quando arrivò Jerry Stannard.
«Danny, è già arrivato il signor Hayn?»
Danny annotò con una matita il numero di chili che, secondo i suoi calcoli, Wilco avrebbe avuto di handicap su Man of Kent nella Lingfield Plate, ripiegò il suo giornale e sollevò lo sguardo.
«Di solito non viene fino a tardi, signor Stannard,» disse. «Comunque, adesso non c’è.»
Danny metteva sempre il carro davanti ai buoi. Se ti doveva descrivere vivacemente una scena di morte, di sicuro incominciava a parlare del funerale.
«Va bene. Mi aspetta,» disse Stannard. «Quando arriva, digli che sono al bar.»
Era piuttosto agitato. Mentre parlava, non aveva mai smesso di gingillarsi con l’anello; a Danny sfuggivano assai poche cose, e il suo occhio attento notò che la cravatta di Stannard era storta e allentata, come se fosse stata annodata alla meglio da una mano incerta.
«D’accordo.»
La faccenda non riguardava Danny, comunque.
«Ah, stavo dimenticando…»
«Sì?»
«Più tardi, dovrebbe arrivare un certo Signor Templar. Una persona a posto. Mandami a chiamare quando arriva, e provvederò io a iscriverlo.»
«Benissimo, signore.»
Danny ritornò al suo studio sui cavalli e Stannard andò oltre.
Attraversò la sala che occupava il pianterreno e scese le scale che si trovavano sul fondo. Di fronte a queste scale, dietro un opportuno tendaggio, nella rivestitura di pannelli, c’era una porta segreta, manovrata elettricamente, che era controllata da un interruttore posto sulla scrivania dell’ufficio privato di Hayn. Questa porta, quando era aperta, lasciava vedere una fuga di scale che salivano verso l’alto. Le scale comunicavano con le stanze superiori, che costituivano una delle attrezzature più redditizie del club, perché in queste stanze, ogni notte, si giocava a chemin-de-fer, poker, trente-et-quarante, senza alcuna limitazione nelle puntate.
L’ufficio di Hayn era ai piedi della rampa discendente di scale. Egli aveva personalmente diretto l’installazione di un ingegnoso sistema di specchi che, per mezzo di una grande finestra a prova di suono, inserita nella parete di fondo dell’ufficio, gli permetteva di controllare, senza muoversi, chiunque attraversasse la sala. Oltre a questo, quando la porta segreta si apriva in risposta alla pressione del suo dito sull’interruttore, un altro sistema di specchi disposti nella parte superiore delle scale gli permetteva la visione completa delle scale stesse e delle sale da gioco. Hayn era un uomo astuto e, soprattutto, prudente.
Fuori dell’ufficio, nel seminterrato, vi era una sala da ballo circondata da tavoli, nella quale due sole coppie stavano mangiando. All’estremità più lontana si trovava la piattaforma sulla quale suonava l’orchestra; all’altra estremità, sotto le scale, vi era un piccolo bar.
Stannard si diresse appunto lì e distolse il barman, in giacca bianca, dalla lettura di La Vie Parisienne.
«Non so cosa faccia al caso,» disse, «ma voglio qualcosa capace di far risuscitare un morto.»
Il barman lo scrutò con occhio esperto per un momento, quindi si diede a preparare. Il risultato conteneva certamente qualcosa capace di rianimare. Stannard lo stava tracannando, quando entrò Hayn, che sembrava pallido e stanco, e aveva profonde borse sotto gli occhi.
«In un minuto sono da te,» disse. «Vado un momento a lavarmi.»
Non era una cosa ordinaria per Hayn. In genere, era uno specialista nei vari metodi di salutare rumorosamente e calorosamente. Stannard lo osservò pensieroso.
Braddon, che era rimasto fuori, seguì Hayn nell’ufficio.
«Chi è l’amico?» disse prendendo una sedia.
«Stannard?» Hayn faceva passare in fretta le lettere che aspettavano sulla sua scrivania. «Uno dei soliti giovani stupidi. Ha perso ottocento sterline su di sopra, all’inizio. Dio sa quanti altri debiti ha. Ne aveva già perse un mucchio, prima che io cominciassi a prestargli del danaro.»
Braddon cercò un sigaro nelle sue tasche e alla fine ne trovò uno. Ne staccò la punta e sputò.
«C’è qualcosa in arrivo? Deve entrare in scena un ricco papà?»
«No. Ma si presenta bene e passa dovunque. Io mi servivo di lui.»
«Ti servivi?»
Hayn esaminava con aria preoccupata il francobollo di una delle sue lettere.
«Suppongo che lo farò ancora,» disse. «Non seccarmi: questo artistico giustiziere mi ha sconvolto. Comunque il ragazzo ha una fidanzata; l’ho conosciuta recentemente. Mi piace.»
«Hai combinato qualcosa di buono?»
«La combinerò.»
Hayn aveva aperto la lettera con il suo tagliacarte, ma diede solo uno sguardo al contenuto. La gettò quindi a Braddon, e fu così il «manager» di Laserre che estrasse il disegno ormai familiare.
«Uno di questi è arrivato a casa mia con la prima posta del mattino,» disse Hayn. «È vecchio come le montagne, questo gioco. Dunque, pensa di riuscire a innervosirmi!»
«Non ci riesce?» chiese Braddon, con pesante ironia.
«Certo che no!» rispose furiosamente Hayn. «Ho sguinzagliato il Serpente e gli uomini che erano con lui a caccia nel West End, con l’ordine di tenere gli occhi ben aperti, alla ricerca dell’uomo che li ha picchiati sul treno di Brighton. Se è a Londra, non potrà starsene sempre nascosto. Quando gli uomini di Ganning lo avranno trovato, ci rifaremo subito dello scherzo!»
Quindi si ricompose.
«Devo cenare con Stannard,» disse. «Tu cosa fai, ora?»
«Vado a fare un giretto, e cenerò anche. Ritorno più tardi,» disse Braddon. «Pensavo di fare un salto di sopra.»
Hayn annuì. Ricondusse quindi Braddon alla porta dell’ufficio e richiuse a chiave la porta dietro a lui, perché nemmeno Braddon poteva restare solo nel suo santuario. Braddon se ne andò e Hayn raggiunse Stannard al bar.
«Scusa se ti ho fatto aspettare, vecchio mio,» si scusò nel tentativo di riassumere la sua posa di cordiale giovialità.
«Mi sono divertito,» disse Stannard e indicò una serie di bicchieri vuoti. «Accetti un goccio?»
Hayn accettò e Stannard guardò l’orologio.
«A proposito,» disse, «tra un’ora verrà un uomo. L’ho incontrato l’altro ieri, e mi è sembrato a posto. Ha detto che è sudafricano e che riparte dopodomani. Siccome si lamentava che in Inghilterra non ci si poteva divertire, gli ho lasciato capire che conoscevo un club privato, dove avrei potuto introdurlo; è stato subito d’accordo. Ho pensato che poteva fare al caso: siccome parte dopodomani, difficilmente potrà piantar grane. Gli ho detto di venire a prendere il caffè con noi. Ho fatto bene?»
«Molto bene, vecchio.» Un pensiero colpì Hayn. «Sei sicuro che non sia uno sbirro, uno di quelli furbi?»
«Mi gioco la tua pelle,» scherzò Stannard. «Penso di riconoscere a colpo d’occhio un ficcanaso, ormai. Ne ho visti abbastanza ballare, qui. Sembra che quel tipo abbia soldi da buttar via.»
Hayn annuì.
«Pensavo di combinar qualcosa con te, durante la cena,» disse. «Questo uccellino può passare come il tuo primo affare, su commissione. Se sei pronto, possiamo incominciare.»
Stannard acconsentì e si accomodarono al tavolo già imbandito.
Hayn era preoccupato. Se la sua mente non fosse stata alle prese con altri problemi, avrebbe probabilmente notato il nervosismo malcelato di Stannard e si sarebbe chiesto quale ne fosse la causa. Invece non notò niente di strano nelle maniere del giovane.
Mentre aspettavano la frutta, chiese con negligenza: «Come si chiama il sudafricano?»
«Templar — Simon Templar,» rispose Jerry.
Il nome non diceva niente a Hayn.
6
Durante la cena Hayn fece la sua proposta: una provvigione del venti per cento per ogni affare procurato. Stannard esitò appena, prima di accettare.
«Non fare lo schizzinoso,» consigliò Hayn. «So che è illegale, ma non è il caso di voler dividere il capello in quattro. Il puntare sulle corse di cavalli è un gioco di azzardo. Ci saranno sempre degli stupidi che vogliono diventar ricchi senza lavorare, e non c’è motivo perché noi non ci prendiamo i loro soldi. Tu non dovrai fare niente che ti possa far finire in prigione; è vero che alcuni dei miei uomini possono finire in prigione, se la polizia dovesse pizzicarli, ma tu saresti al sicuro. I giochi sono perfettamente regolari. Noi vinciamo solo perché la legge delle probabilità favorisce il banco.»
Questo non era del tutto esatto, perché c’erano altri fattori che influivano sulla cattiva sorte dei giocatori al piano superiore; ma su questi aspetti meschini del mestiere, Hayn non riteneva necessario soffermarsi.
«Va bene, sarò anch’io della partita,» disse infine Stannard. «Avevo capito che ci stavo arrivando. Non ho mai pensato che tu mi regalassi o mi prestassi soldi solo perché contribuivo al decoro del locale e perché facevo di tanto in tanto qualche stupido lavoretto.»
«Mio caro amico…»
«Lascia perdere l’amicizia. So che vuoi da me qualcosa di più che non l’attirare qualche stupido al piano di sopra. Vorresti farmi credere che non sai che l’altro ieri mi hanno beccato?»
Hayn si grattò il mento.
«Volevo complimentarmi con te. Come hai fatto a liberarti di quel pacchetto di coca?»
«L’importante è che me ne sia liberato,» tagliò corto Stannard. «Se non fossi riuscito a liberarmene, a quest’ora starei aspettando il processo nella prigione di Brighton. Non è che mi lamenti. So che devo pur guadagnarmi da vivere. Però non è stato leale, da parte tua, tenermi all’oscuro.»
«Tu sapevi…»
«Tiravo ad indovinare. Ad ogni modo non faccio questioni. Ma da oggi in poi, voglio entrarci bene, se ci devo entrare. Mi associo a te in tutto e per tutto e tu non devi assolutamente più raccontarmi frottole. D’accordo?»
«Benissimo,» disse Hayn, «se vuoi metterla giù così, nuda e cruda. Ma non devi fare lo schizzinoso neanche in questo: se alla gente piace rincretinirsi con quel sistema, affari suoi. Noi non dobbiamo star lì a sottilizzare su cosa è legale e cosa non lo è. In fin dei conti, l’alcool è venduto legalmente nel nostro paese e nessuno se la prende con un oste se il suo cliente va a casa ubriaco ogni sera e muore di delirium tremens.»
Stannard alzò le spalle.
«Non posso permettermi di discutere, comunque,» disse. «Quanto ne ricaverò?»
«Venti per cento, come ti ho detto.»
«E quanto verrò a guadagnare?»
«Moltissimo,» disse Hayn. «Qui giochiamo con le poste più alte di tutta Londra, e non c’è molta concorrenza sul mercato della cocaina. Puoi facilmente guadagnare più di settanta sterline alla settimana.»
«Mi darai una mano allora, Hayn? Io ho molti debiti fuori di qui. Prenderò come anticipo le tremila che dovrei guadagnare nel primo anno. Mi serviranno per saldare tutti i debiti e restare con un gruzzolo in mano.»
«Tremila sterline sono tante,» osservò allora Hayn, giudiziosamente. «Me ne devi già quasi mille.»
«Se non credi che le valga…»
Hayn rifletté, ma non per molto. Prendere decisioni rapide era il segreto del suo successo, e non gli importava il prezzo di una cosa, se sapeva che lo valeva. Non aveva alcun timore che Stannard potesse tentare di ingannarlo. Tra l’altro il «Danny’s Club» serviva da quartier generale per i ragazzi del Serpente. Stannard non poteva ignorare la fama della banda e sapeva sicuramente che nel passato i suoi componenti avevano compiuto le vendette di Hayn sui traditori. No, non era possibile, non era proprio possibile che Stannard osasse tentare di fare il doppio gioco…
«Ti darò un assegno questa sera,» disse Hayn.
Stannard si mostrò molto riconoscente.
«Non ci perderai,» promise. «Templar rappresenta solo un tentativo, lo ammetto, e l’ho incontrato solo una volta. Ma c’è dell’altra gente con un mucchio di soldi, gente che conosco da anni, e della quale posso garantire completamente…»
Continuò a parlare, ma Hayn lo ascoltava solo a metà; era ansioso di portare la conversazione su un altro argomento e lo fece alla prima occasione.
Mostrando un interesse paterno per gli affari del suo nuovo agente, lo riempì di domande sulla sua vita privata e sui suoi interessi. La maggior parte delle notizie che riceveva non gli erano nuove, perché da molto tempo aveva preso la precauzione di informarsi su tutto quanto valeva la pena di conoscere sui suoi uomini; ma in questa nuova indagine, Hayn riuscì a far sì che la fidanzata di Stannard fosse al centro della conversazione. La cosa fu condotta con molta intelligenza e molta astuzia, e mezz’ora dopo, per mezzo di questo processo di domande indirette, Hayn sapeva tutto quanto gli interessava sapere sulla vita e le abitudini di Gwen Chandler.
«Pensi di poterla invitare qui a cena, giovedì?» chiese. «L’unica volta che l’ho incontrata, se ti ricordi, hai fatto in modo che si formasse una cattiva opinione di me. Tocca a te rimediare.»
«Vedrò cosa posso fare,» disse Stannard.
A questo punto, Hayn aveva avuto quanto voleva e non cercò più di mantenere la conversazione su un binario preciso. I due stavano chiacchierando del più e del meno quando arrivò Simon Templar.
Il Santo, dopo aver soppesato i meriti relativi di un completo da sera e di un ordinario abito da passeggio per gli scopi che si proponeva, aveva optato per un compromesso e si pavoneggiava in uno smoking.
Ma lo portava con lo stesso stile con cui l’avrebbe portato un ambasciatore in una visita di stato in pompa magna.
«Salve, angelo mio!» gridò a Stannard, di buon umore.
Quindi notò Hayn e si volse a lui tendendogli la mano.
«E voi dovete essere Zio Ambrogio,» disse cordialmente. «Felice di conoscervi… È così, vero Jerry? È lo zio che è morto lasciando tutti i suoi soldi alla Casa dei Gatti?… Spiacente di vedere che avete una cera così bella, Zio Ambrogio, vecchia mangusta!»
Hayn sembrò preso alla sprovvista. Quell’uomo non vestiva come tradizionalmente si pensa che dovrebbero vestire i rozzi coloniali pieni di quattrini, e se il suo linguaggio rappresentava una caratteristica dei forti e taciturni uomini delle grandi pianure lontane, Hayn decise che la cultura di Piccadilly doveva essersi spinta nelle terre dell’impero britannico molto più lontano di quanto avesse mai sperato Cecil Rhodes nei suoi sogni più sfrenati. Per la verità, Hayn non aveva mai sentito parlare di Rhodes (per lui Rhodes era un’isola dove si allevavano le galline rosse) ma se avesse saputo chi era Rhodes, avrebbe espresso probabilmente così la sua sorpresa.
Lanciò uno sguardo a Jerry Stannard, sollevando le sopracciglia, e Stannard si toccò la fronte e sollevò il bicchiere in un gesto significativo.
«Così, vedremo una vera e dannata bisca,» disse il Santo tirando a sé una sedia. «Non è divertente? Facciamoci sopra una bella bevuta!»
Ordinò dei liquori e li pagò prendendo i soldi da un grosso fascio di banconote che aveva tirato fuori di tasca. A quella vista, Hayn si illuminò tutto e stabilì che l’eccentricità di Templar, in fin dei conti, era scusabile. Si protese in avanti, proponendosi di essere gentilissimo.
Ma il Santo aveva delle idee tutte particolari circa il modo di impostare la conversazione; ad un certo punto, infatti, se ne venne fuori con una frase che rivelava la scarsa attenzione prestata a quanto era stato detto fino a quel momento.
«Ho comperato un libro che parla dei trucchi che si possono fare con le carte,» disse. «Pensavo che mi avrebbe aiutato a individuare i bari, ma la parte migliore del libro era quella che riguardava la cartomanzia. Prendete una carta e io vi dirò tutti i vostri peccati.»
Tirò fuori un mazzo di carte nuovo di zecca e lo spinse verso Hayn.
«A voi per primo, zio,» esclamò. «E badate che i vostri pensieri siano puri, mentre estraete, altrimenti farete una cattiva impressione alle carte. Recitate un verso del vostro salmo preferito, per esempio.»
Hayn non se n’intendeva di salmi, ma accondiscese con compiacenza. Se quel pazzo aveva tutti quei soldi, e forse ne aveva anche di più, valeva comunque la pena di mormorare salmi.
«Carino!» esclamò il Santo sollevando la carta scelta da Hayn. «Jerry, cocco mio, il tuo Zio Ambrogio ha scelto Tasso di cuori, il che significa generosità principesca. Ci prendiamo un altro brandy a vostre spese, zio, per mostrare quanto apprezziamo questa qualità. Cameriere!… Ancora tre brandy, per favore. È viso pallido, voglio dire Zio Ambrogio, che paga… Zio, dovete provare un’altra volta!»
Simon Templar meditò in silenzio sulla seconda carta di Hayn, finché arrivarono i bicchieri. Vedendogli scuotere le spalle a intervalli regolari, Hayn pensò che avesse il singhiozzo, ma si sbagliava. Il Santo alzò infine lo sguardo.
«Per caso, una vostra zia per parte di madre,» chiese solennemente, «non ha mai sofferto di un attacco di bile in seguito a un pasto a base di salsicce fatte da un macellaio tedesco con un dito a martello e tre bambini epilettici?»
Hayn scosse la testa, sorpreso.
«Non ho zie,» disse.
«Scusatemi,» mormorò il Santo, che sembrava profondamente scosso dal fatto che il povero Hayn non avesse mai avuto neanche una zia. «Significa che quello stupido libro è sbagliato. Non importa. Non preoccupiamocene.»
Respinse lontano il mazzo. Doveva essere proprio matto, pensò Hayn.
«Non vuoi indovinare?» chiese Stannard, con una strizzatina d’occhi a Hayn.
«Zio Ambrogio arrossirebbe, se dovessi continuare,» disse Templar. «Guarda il pasticcio che ho già combinato. Ma, se insisti, proverò ancora una carta.»
Hayn lo invitò a continuare sorridendo gentilmente. Cominciava ad abituarsi. Era evidente che per instaurare buoni rapporti con Templar, bisognava lasciarlo fare a modo suo.
«Spero solo che non sia il cinque di quadri,» disse il Santo, con convinzione. «Ogni volta che mi metto a leggere le carte, sono atterrito all’idea che a qualcuno tocchi il cinque di quadri. Vedete, io sono tenuto a dire la verità, e in questo caso la verità è terribilmente difficile dirla a una persona con cui si ha poca confidenza. Infatti, stando al mio libro, una persona a cui tocca il cinque di quadri, corre il rischio di dover fare, da un momento all’altro, una donazione anonima di diecimila sterline al London Hospital. Per di più, le carte gli sono proprio nemiche: per loro, si tratta di uno spregevole furfante e ha una faccia abietta e repellente.»
Hayn continuò a sorridere e scoprì la sua carta.
«Il cinque di quadri, signor Templar,» fece notare gentilmente.
«No! Davvero?» disse il Santo, ostentando il più serafico stupore. «Bene, bene, bene!… Ecco, Jerry, te l’avevo detto che tuo zio sarebbe stato in difficoltà, se avessi continuato. Adesso ho combinato un altro pasticcio. Parliamo d’altro alla svelta, prima che sia troppo tardi. Zio Ambrogio, ditemi: avete mai visto un panino con salsiccia combattere con un gatto a nove code?… No?… Bene, mescolate le carte e vi mostrerò un gioco di prestidigitazione.»
Dopo che Hayn ebbe mescolato e alzato, il Santo estrasse in fretta cinque carte, che sparse sulla tavola, tenendole coperte.
Era forse la prima occasione che si presentava ad Hayn di aprir bocca, e si sentì quindi obbligato a dire qualcosa.
«Credo che resterete deluso, signor Templar,» disse. «Io non sono lo zio di Jerry: sono solo un suo amico. Mi chiamo Hayn. Edgar Hayn.»
«Perché?» chiese il Santo, con ingenuo stupore.
«Si dà il caso che questo sia il nome con cui mi hanno battezzato, signor Templar,» rispose Hayn, con una certa durezza.
«Ah… già… così!» mormorò lentamente il Santo. «Mi dispiace, mi dispiace molto.»
Hayn aggrottò le ciglia. C’era qualcosa in quella atmosfera che lo rendeva ostile nei confronti del Santo, qualcosa che, oltre a colpirlo nei punti già deboli del suo carattere, incominciava anche a produrgli degli strani indefinibili brividi nella schiena.
«E a me dispiace che la cosa vi dispiaccia,» disse improvvisamente.
Simon Templar lo guardò fisso e rispose:
«Mi dispiace perché, come vi ho detto, ho il dovere di non sbagliare mai, e detesto cadere in qualche errore. Gli archivi di Somerset House mi avevano detto che il vostro nome era un tempo del tutto diverso e che voi non eravate stato assolutamente battezzato Edgar Hayn. E io ci ho creduto.»
Hayn non aprì bocca. Rimase immobile, mentre un fastidioso brivido di paura gli correva lungo la nuca. Gli occhi azzurri del Santo non abbandonavano mai il viso di Hayn.
«Se mi sono sbagliato in questo,» disse il Santo sommessamente, «è facile che mi sia sbagliato anche in altre cose, e questo mi secca tremendamente, perché non mi piace sciupare il mio tempo. Ho buttato via varie giornate per trovare un modo per incontrarvi, proprio per fare questa chiacchieratina, e pensavo fosse ora che la nostra relazione diventasse un po’ più intima. Mi si spezzerebbe il cuore, se mi dovessi accorgere che tutto è stato fatto per niente. Non ditemi così, Edgar, mio caro: non ditemi che non è servito a niente che io scoprissi che il piccolo caro Jerry era un vostro amico: non ditemi che avrei potuto risparmiarmi la fatica di far conoscenza con il qui presente Jerry, al solo scopo di aver un incontro amichevole con voi. Non ditemi questo, anima mia!»
Hayn si inumidì le labbra. Respingeva con tutte le sue forze una stupida e irragionevole sensazione di panico; era la voce calma e monotona del Santo e i suoi occhi canzonatori che, più di ogni altra cosa, tenevano Edgar Hayn inchiodato sulla sua sedia.
«E soprattutto non ditemi che non apprezzate il piccolo gioco di prestidigitazione che io sono venuto qui apposta per mostrarvi…» disse il Santo, più supplichevole che mai.
Poi si alzò di scatto e strappò dalla mano tremante di Hayn le carte che gli aveva dato. Hayn aveva indovinato cosa sarebbe successo, molto prima che Simon, con un gesto teatrale, avesse sparso sulla tavola le carte, scoprendole.
«E non ditemi che non vi fa piacere vedere i nostri biglietti da visita, presentati di persona!» disse Simon con la sua voce più serafica.
Scoprì i denti bianchissimi in un sorriso, e nei suoi occhi danzava una fiamma di avventurosa temerarietà mentre fissava Edgar Hayn, seduto dall’altra parte di quel tavolo su cui figuravano cinque graziosi esemplari dell’emblema del Santo.


FINE TERZA PUNTATA

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