giovedì 14 agosto 2025

Isaac Asimov - La risatina ghiotta



Quella sera era Hanley Bartram l'ospite dei Vedovi Neri, che si riunivano una volta al mese nel loro tranquillo rifugio e votavano la condanna a morte di qualsiasi donna si fosse intromessa… solo per quella notte in un mese, comunque.
Il numero dei partecipanti variava: quella volta i presenti erano cinque.
Geoffrey Avalon fungeva da anfitrione. Era alto, con baffi ben curati e una barbetta ormai più bianca che nera: i capelli invece erano neri quasi come lo erano sempre stati.
Come anfitrione, Avalon aveva il dovere di pronunciare il rituale brindisi che segnava l'inizio della cena. Con entusiasmo, a voce alta, disse: «Al Vecchio Re Cole di venerata memoria. Che la sua pipa sia sempre accesa, il calice sempre pieno, i suoi orchestrali sempre in gamba e che noi possiamo essere tutta la vita lieti come lui».
Tutti gridarono «Amen», portarono il bicchiere alle labbra e sedettero.
Avalon posò il bicchiere accanto al piatto. Era il secondo e pieno esattamente a metà. Sarebbe rimasto lì per tutta la cena e Avalon non l'avrebbe più toccato. Era avvocato e portava nella vita sociale la pignoleria del suo lavoro. Un bicchiere e mezzo era esattamente quanto si concedeva in queste occasioni.
Thomas Trumbull salì le scale a precipizio all'ultimo minuto urlando, come al solito: «Henry, uno scotch con soda per un moribondo».
Henry, ormai da parecchi anni cameriere di queste riunioni ufficiali (nessuno dei Vedovi Neri aveva mai sentito il suo cognome), aveva già pronto lo scotch. Era sulla sessantina ma il suo viso serio non aveva una ruga. Quando parlava pareva che la sua voce si perdesse in distanza. «Ecco, signor Trumbull».
Trumbull notò subito Bartram e chiese sottovoce ad Avalon: «È il tuo ospite?»
«Ha chiesto lui di venire» disse Avalon cercando, per quanto gli riuscì, di bisbigliare. «Un tipo simpatico. Ti piacerà».
Come sempre al club dei Vedovi Neri, la cena fu molto animata. Emmanuel Rubin, il solo, dopo Avalon, ad avere la barba, una barba sparuta e incolta sotto una bocca dai denti molto radi, aveva appena lasciato il suo dattiloscritto e raccontava con fervore i particolari del racconto che aveva finito di scrivere. James Drake, un uomo dal viso rettangolare, con baffi ma senza barba, interveniva ricordando altri racconti. Era chimico, ma aveva una conoscenza enciclopedica della letteratura popolare.
Trumbull, esperto di cifrari, si dava molte arie perché partecipava alle più ristrette riunioni di governo: quella sera si era messo in testa di mostrarsi indignato dalle dichiarazioni politiche di Mario Gonzalo. «Accidenti!» gridò in uno dei suoi eccessi meno ingiuriosi, «perché non ti limiti ai tuoi collage senza senso e alle tue tele di sacco e lasci la politica mondiale a chi ne sa più di te?»
Trumbull non si era ancora riavuto della visita alla personale che Gonzalo aveva tenuto al principio dell'anno. L'artista comprensivo, rise bonario: «Dimmi chi è che ne sa più di me. Fai un nome».
Bartram, corpulento, basso e dai capelli ricciutissimi, si atteneva strettamente alla sua parte di ospite. Stava a sentire tutti, sorrideva a tutti e parlava poco.
Venne finalmente il momento per Henry di versare il caffè e di servire i dessert con destrezza consumata. A questo punto cominciava il tradizionale fuoco di fila contro l'ospite.
Toccava a Trumbull di solito, quando era presente, attaccare con le domande. Quando esordì con l'invariabile: «Signor Bartram, come giustifica la sua esistenza?» il suo viso abbronzato tradì una certa irritazione.
Bartram sorrise e rispose, con meticolosa precisione: «Non ho mai tentato di farlo. I miei clienti, quando sono soddisfatti di me, trovano che sia giustificata».
«I suoi clienti?» disse Rubin. «E che cosa fa, signor Bartram?»
«Sono investigatore privato».
«Bene» disse James Drake. «Finora non ne abbiamo mai avuti, mi sembra. Manny, una volta tanto potrai avere dati esatti per le tue sconce storie di “duri”».
«Non certo da me» si affrettò a dire Bartram.
Trumbull aggrottò le sopracciglia. «Signori, vi prego di lasciar fare a me, quale torchiatore designato, se non vi dispiace. Signor Bartram, lei ha accennato alle occasioni in cui ha soddisfatto i clienti. Li soddisfa sempre?»
«Alle volte la cosa può essere controversa» disse Bartram. «Per la verità, stasera, vorrei parlarvi di un caso particolarmente dubbio. Magari qualcuno dei presenti può essermi utile. Proprio per questo ho pregato il mio buon amico Jeff Avalon di invitarmi alla riunione, dopo aver saputo quali erano le caratteristiche dell'associazione. Mi ha accontentato e ne sono felicissimo».
«È pronto a parlare della dubbia soddisfazione che ha dato o non ha dato, secondo quanto risulterà?»
«Sì, se me lo permettete».
Trumbull guardò gli altri per eventuali indicazioni di dissenso. Gonzalo, fissando gli occhi prominenti su Bartram, disse: «Possiamo interromperla?» Stava scarabocchiando in fretta, con ammirevole parsimonia di tratti, la caricatura di Bartram sul retro del menù. Avrebbe raggiunto le altre che, schierate in bell'ordine alle pareti, ricordavano gli ospiti.
«Entro limiti ragionevoli» disse Bartram. Fece una pausa per sorseggiare il caffè, poi continuò: «La storia comincia con Anderson, che chiamerò con il solo cognome. Era un acquirente».
«Un inquirente?» chiese Gonzalo, perplesso.
«Un acquirente. Vinceva oggetti, se li procurava, li comprava, li scovava, li collezionava. Tutto si muoveva in una sola direzione, rispetto a lui; si muoveva sempre verso di lui mai in senso contrario. Questo flusso materiale, di vario valore, si fermava a casa sua e non ne ripartiva più. Con gli anni si fece sempre più consistente e sorprendentemente eterogenea. Aveva anche un socio, che chiamerò semplicemente Jackson».
Trumbull lo interruppe aggrottando la fronte, non perché ne avesse motivo ma perché aggrottava sempre la fronte. Disse: «È una storia vera?»
«Racconto solo storie vere» disse lentamente Bartram, scegliendo con cura le parole. «Non ho la fantasia che ci vorrebbe per mentire».
«È confidenziale?»
«Racconterò la storia in modo che non sia facilmente riconoscibile ma, se lo fosse, va considerata confidenziale».
«Capisco quel “se”» disse Trumbull, «ma voglio assicurarla che quanto viene detto tra queste mura non sarà mai ripetuto fuori e non vi si farà mai la più lontana allusione. Anche Henry rispetta questa regola».
Henry, che stava versando dell'altro caffè in due tazzine, accennò un sorriso e inchinò la testa, assentendo.
Anche Bartram sorrise e continuò. «Ma Jackson aveva un guaio. Era onesto, irrimediabilmente e profondamente onesto. Questa caratteristica permeava il suo animo come se fosse stato marinato nell'integrità fin dall'infanzia.
«Per uno come Anderson era oltremodo utile avere come socio l'onesto Jackson perché il loro lavoro, che mi guarderò bene dal precisare, presupponeva il contatto con il pubblico. Questo contatto non era lasciato ad Anderson, perché la sua mania possessiva costituiva un inconveniente. Ogni oggetto che acquisiva aggiungeva al suo viso una nuova ruga di scaltrezza fino a farlo sembrare una tela di ragno che spaventava a prima vista qualsiasi mosca. Toccava a Jackson, puro e onesto, essere in primo piano: a lui si rivolgevano ansiose le vedove con i loro oggettini e gli orfani con i loro spiccioli.
«D'altra parte anche Anderson era indispensabile a Jackson perché Jackson, con la sua grande onestà e forse proprio per essa, non sapeva trasformare un dollaro in due dollari. Lasciato a se stesso avrebbe perduto ogni centesimo affidatogli, senza minimamente volerlo e ben presto sarebbe stato costretto al suicidio, dubbia forma di risarcimento. In ogni modo le mani di Anderson erano, per il denaro, come il fertilizzante per le rose e lui e Jackson, uniti, erano un'accoppiata vincente.
«Eppure nessun paradiso dura in eterno: una caratteristica predominante, non frenata a dovere, si approfondirà e si estenderà fino all'eccesso. L'onestà di Jackson crebbe a proporzioni tali che Anderson, con tutta la sua avvedutezza, ogni tanto si trovò con le spalle al muro e fu costretto a rimetterci denaro. Similmente, la mania di possesso di Anderson arrivò a un livello così infernale che Jackson, con tutto il suo rigore morale, si trovò invischiato in certe iniziative discutibili.
«Com'era ovvio, dato che ad Anderson dispiaceva rimetterci denaro e Jackson aborriva rimetterci in reputazione, tra i due nacque una certa freddezza. In una situazione del genere il vantaggio era di Anderson, che non metteva limiti ragionevoli al suo comportamento, mentre Jackson si sentiva legato al socio dal suo codice di etica professionale.
«Anderson si dette da fare, manovrò con scaltrezza e alla fine il povero, onesto Jackson si vide costretto a cedere la propria quota sociale alle peggiori condizioni possibili.
«La mania di possesso di Anderson raggiunse l'apice, una volta ottenuto il controllo personale della ditta. Era intenzionato a ritirarsi, a quel punto, e lasciare la gestione di routine agli impiegati, per occuparsi solo di intascare gli utili. A Jackson, d'altra parte, rimaneva solo l'onestà, che pur essendo una qualità ammirevole, ha scarso valore effettivo in un'agenzia di pegni.
«Fu a questo punto, signori, che entrai in scena… Ah, Henry, grazie».
Veniva servito il brandy.
«Per cominciare, lei conosceva quelle persone?» chiese Rubin ammiccando con i suoi occhi penetranti.
«Per niente» disse Bartram fiutando con delicatezza il brandy e portandolo appena alle labbra, «ma credo che uno di voi, qui, li abbia conosciuti. Qualche anno fa.
«Vidi Anderson per la prima volta quando venne nel mio ufficio in preda a una collera tremenda. “Lei deve trovarmi quello che ho perduto,” disse. Nella mia carriera ho trattato molti casi di furto, perciò non mi scomposi. “Che cosa ha perduto, esattamente?” gli domandai. E lui: “Maledizione, amico, è proprio questo che deve scoprire.”
«La storia venne fuori a brandelli. Anderson e Jackson avevano avuto una lite tremenda. Jackson si sentiva oltraggiato come può esserlo solo un uomo onesto quando scopre che la sua integrità non lo protegge dal sospetto di connivenza con altri. Aveva giurato vendetta e Anderson aveva risposto con una scrollata di spalle e una risata».
«Guardatevi dall'ira dei pazienti» citò Avalon, con il tono di ricercata precisione che metteva in tutte le sue affermazioni, anche le più banali.
«Così si dice» fece Bartram, «ma non ho mai avuto occasione di verificare questa massima. Né, pare, l'aveva avuta Anderson, visto che non temeva Jackson. Mi spiegò che Jackson era così patologicamente onesto e così insensatamente ligio alla legge che non avrebbe mai potuto commettere un reato. Almeno così credeva. Non gli venne nemmeno in mente di chiedere a Jackson di restituirgli la chiave dell'ufficio, cosa assai strana dato che l'ufficio si trovava nella casa di Anderson, dove erano tutte le cianfrusaglie.
«Anderson si accorse della dimenticanza pochi giorni dopo la lite quando, rientrato da un appuntamento verso sera, trovò Jackson a casa sua. Jackson aveva con sé una vecchia borsa per documenti e quando Anderson entrò la stava chiudendo: in fretta, con fare allarmato, sembrò ad Anderson.
«Anderson corrugò la fronte e disse: “Cosa fai qui?”
«“Sono venuto per restituirti delle carte che ora ti appartengono,” disse Jackson, “e anche la chiave dell'ufficio.” Così dicendo porse la chiave, indicò delle carte sullo scrittoio e con dita tremanti, avrebbe giurato Anderson, chiuse la serratura a combinazione della borsa, logora per l'uso. Jackson si guardò intorno con un sorriso che ad Anderson parve strano, quasi segretamente soddisfatto e disse: “Ora me ne vado.” E così fece.
«Anderson riuscì a scuotersi dallo stupore che lo aveva paralizzato solo quando sentì avviarsi, e svanire in distanza, il motore della macchina di Jackson. Capì di essere stato derubato e il giorno dopo venne da me».
Drake increspò le labbra, fece girare tra le dita il bicchiere di brandy mezzo vuoto e disse: «Perché non è andato alla polizia?»
«C'era un inconveniente» disse Bartram. «Anderson non sapeva cosa fosse stato portato via. Quando in lui si radicò la certezza del furto si precipitò alla cassaforte. Pareva non mancasse nulla. Fece il giro di tutte le camere. Tutto sembrava al proprio posto».
«Non ne era sicuro?» chiese Gonzalo.
«Non poteva esserlo. La casa era talmente piena degli oggetti più svariati che Anderson non ricordava tutto ciò che possedeva. Mi disse, ad esempio, che in un certo periodo aveva collezionato orologi antichi. Li teneva in un cassetto nello studio; erano sei. C'erano tutti e sei, ma a Anderson sorse il dubbio che fossero stati sette. Ne fosse andata la sua vita, non avrebbe potuto ricordare con esattezza. Anzi, ancor peggio, uno dei sei orologi gli sembrava strano. Non poteva darsi che ne avesse avuti solo sei, ma che uno di poco valore fosse stato sostituito a un altro più prezioso? Ebbe la stessa sensazione per un'altra dozzina di volte, per ogni nascondiglio e per cianfrusaglie di ogni genere. Quindi venne da me…»
«Un momento» disse Trumbull battendo con forza la mano sulla tavola. «Cosa gli faceva credere con certezza che Jackson gli avesse portato via qualcosa?»
«Ah» disse Bartram, «questo è il lato affascinante della storia. La borsa e il sorriso misterioso di Jackson mentre si guardava intorno avevano contribuito a far sorgere i sospetti in Anderson ma, quando la porta si chiuse dietro di lui, Jackson fece una risatina. Non era una semplice risatina… Ma per descriverla preferisco usare le parole di Anderson.
«“Bartram,” disse, “ho sentito quella risatina innumerevoli volte. Io stesso ho ridacchiato in quel modo migliaia di volte. È una risatina caratteristica, inconfondibile, una risatina che non si può dissimulare. È la risatina ghiotta, la risatina di uno che ha appena ottenuto qualcosa che desiderava moltissimo, a spese di qualcun altro. Se c'è un uomo al mondo che conosca quella risatina e la sappia individuare, anche dietro una porta chiusa, quell'uomo sono io. Non posso sbagliarmi. Jackson aveva preso qualcosa di mio e se ne gloriava!”
«Era inutile discutere con Anderson su questo punto. Era letteralmente furioso al pensiero di esser stato turlupinato e in verità, dovetti credergli. Dovetti accettare la supposizione che Jackson, con tutta la sua onestà patologica, avesse perso la pazienza e si fosse lasciato indurre al furto. La conoscenza che aveva di Anderson doveva averlo tentato. Sicuramente conosceva la mania di possesso di Anderson anche per oggetti di poco valore e si rendeva conto che il dolore sarebbe stato molto più profondo e di gran lunga superiore al valore effettivo dell'oggetto sottratto, qualunque fosse stato questo valore».
Rubin disse: «Forse aveva preso la borsa per documenti».
«No, no, quella era di Jackson, l'aveva da anni. Ecco quindi il problema. Anderson voleva che scoprissi cosa era stato preso, perché se non si riusciva a identificare l'oggetto rubato e a dimostrare che era o era stato in possesso di Jackson, questi non poteva essere perseguito legalmente, cosa che Anderson era decisissimo a fare. Il mio compito, quindi, era di cercare per tutta la casa e dirgli cosa mancasse».
«E come avrebbe potuto se lo stesso Anderson non era in grado di dirlo?» borbottò Trumbull.
«Glielo feci notare» disse Bartram, «ma lui era fuori di sé. Mi offrì moltissimo denaro, che ce la facessi o meno; davvero un ottimo onorario, e versò subito un considerevole acconto. Era chiaro che risentiva oltre misura il deliberato insulto al suo amore per il possesso. Il pensiero che un dilettante nell'arte del possesso, come Jackson, avesse osato sfidarlo nella più sacra delle sue passioni, lo aveva reso pazzo, ed era pronto a pagare qualsiasi somma pur di impedire che la vittoria dell'altro fosse definitiva.
«Anch'io sono un essere umano. Accettai l'acconto e l'onorario. Dopo tutto, pensai, ho i miei metodi. Come prima cosa guardai gli elenchi per l'assicurazione. Erano tutti vecchi, ma servirono ad accertare che i mobili e tutti gli oggetti di notevoli dimensioni non erano stati vittime del furto di Jackson perché tutti gli articoli degli elenchi erano ancora nella casa».
Avalon lo interruppe. «Erano comunque da scartare, dato che l'oggetto rubato era stato messo nella borsa».
«Sempre che fosse stata usata la borsa per trasportare l'oggetto fuori dalla casa» fece notare Bartram con pazienza. «Avrebbe potuto essere un tranello. Prima che arrivasse Anderson, Jackson avrebbe potuto far venire un furgone alla porta e far portar via il piano a coda, se avesse voluto. Poi avrebbe chiuso la borsa davanti ad Anderson per metterlo fuori strada.
«Ma in realtà non era probabile. Condussi Anderson per tutta la casa, stanza per stanza, seguendo il procedimento sistematico di prendere in esame il pavimento, le pareti e il soffitto, di osservare attentamente tutti gli scaffali, aprendo tutte le porte, esaminando ogni mobile, rovistando in ogni armadio. E non trascurai l'attico né l'interrato. Anderson non era mai stato costretto, prima d'allora, a prendere in considerazione ogni singolo pezzo della sua estesa e disorganica collezione per scoprire se, per associazioni di idee, qualcosa gli facesse notare la mancanza di un oggetto.
«Era una casa enorme, eterogenea, che non finiva mai. Impiegammo giorni e giorni, e il povero Anderson diventava ogni giorno più frastornato.
«Poi affrontai il problema in tutt'altro modo. Era ovvio che Jackson aveva deliberatamente preso qualcosa che sfuggisse all'attenzione, forse qualcosa di piccolo; certo non qualcosa di cui Anderson avrebbe sentito facilmente la mancanza e quindi non qualcosa a cui tenesse molto. D'altra parte, bisognava supporre che si trattasse di qualcosa che Jackson desiderasse portar via, che giudicasse di un certo valore. Infatti la sua impresa gli avrebbe dato maggiore soddisfazione se anche Anderson avesse ritenuto prezioso l'oggetto, naturalmente dopo aver individuato cosa fosse scomparso. Cosa poteva essere, quindi?»
«Un piccolo dipinto» disse Gonzalo con calore, «che Jackson sapeva essere un autentico Cézanne, ma che Anderson riteneva privo di valore».
«Un francobollo della collezione di Anderson» disse Rubin, «nel quale Jackson aveva notato un raro errore di incisione». Una volta aveva scritto un racconto imperniato su un simile argomento.
«Un libro» disse Trumbull, «in cui era nascosto un segreto di famiglia con il quale, a tempo debito, Jackson avrebbe potuto ricattare Anderson».
«Una fotografia» disse Avalon con tono melodrammatico, «che Anderson aveva dimenticata, una fotografia di una sua innamorata d'altri tempi, per la quale Anderson avrebbe forse dato una fortuna».
«Non so che genere di affari trattassero» disse Drake pensieroso, «ma potrebbero esser stati tali, per cui una bazzecola non apprezzata avrebbe potuto, in effetti, essere di grande valore per un concorrente e avrebbe potuto causare il fallimento di Anderson. Ricordo il caso di una formula di passaggio intermedio dell'idrazide…»
«Per quanto possa sembrarvi strano» intervenne Bartram con risolutezza, «ho pensato a tutte queste possibilità e le ho discusse con Anderson. Evidentemente non gli interessava l'arte e i pezzi che possedeva erano veramente cianfrusaglie. senza possibilità d'errore. Non collezionava francobolli e, sebbene avesse molti libri e non potesse affermare con sicurezza che non gliene mancasse qualcuno, giurò che non esistevano segreti di famiglia della benché minima importanza per un ricattatore. Né in passato aveva avuto innamorate perché in gioventù si era dedicato solo a donne d'affari, delle quali non apprezzava le fotografie. Quanto ai suoi segreti d'affari, essi avrebbero interessato molto di più il governo che qualsiasi concorrente. Del resto, in primo luogo, gli “oggetti” del genere erano stati tenuti lontani dagli occhi dell'onesto Jackson e, in secondo luogo, si trovavano ancora nella cassaforte (o erano stati bruciati nel caminetto, da lungo tempo). Pensai ad altre possibilità ma dovemmo scartarle tutte, una dopo l'altra.
«Jackson avrebbe potuto tradirsi, naturalmente. Avrebbe potuto diventare improvvisamente ricco e, scoprendo la fonte della sua ricchezza, avremmo potuto identificare l'oggetto rubato.
«Fu lo stesso Anderson a suggerire questa idea e non badò a spese per far tenere Jackson sotto controllo ventiquattro ore su ventiquattro. Non servì a nulla. L'individuo conduceva una vita scialba e si comportava esattamente come farebbe una persona priva di mezzi. Viveva con parsimonia e finì col trovare un umile impiego in cui la sua onestà e il suo contegno posato gli giovarono molto.
«Infine, non mi restava che una alternativa…»
«Un momento, un momento» disse Gonzalo, «mi lasci indovinare, mi lasci indovinare». Trangugiò il resto del brandy, fece un cenno a Henry perché gli riempisse di nuovo il bicchiere e disse: «Lo ha domandato a Jackson!»
«Sono stato molto tentato di farlo» ammise mestamente Bartram, «ma la cosa non sarebbe stata possibile. Nella mia professione non si può nemmeno accennare ad una accusa senza avere delle prove. Le nostre licenze sono troppo vulnerabili. E comunque Jackson, se accusato, non avrebbe dovuto fare altro che negare il furto e sarebbe stato messo in guardia e non avrebbe commesso azioni che potessero incriminarlo».
«Bene, allora…» disse Gonzalo scoraggiato e tacque.
Gli altri quattro aggrottarono la fronte, ma nessuno parlò. Bartram, dopo aver atteso cortesemente, disse: «Non potete indovinare, signori, perché non siete dei professionisti nel mio campo. Sapete solo quanto leggete nei romanzi e quindi ritenete che le persone come me abbiano un numero illimitato di risorse e siano capaci di risolvere tutti i casi. Io, essendo del ramo, so che le cose stanno in un altro modo. Signori, non mi era rimasta altra alternativa che confessare l'insuccesso.
«Comunque Anderson mi pagò. Di questo devo dargli credito. Quando lo lasciai, aveva speso inutilmente circa dieci sterline. Aveva gli occhi privi di espressione e, stringendomi la mano, continuava a guardare in giro alla stanza, sempre alla ricerca, sempre cercando. Mormorò: “Le dico che non posso sbagliarmi su quella risatina. Mi ha preso qualcosa. Mi ha preso qualcosa.”
«Da allora l'ho rivisto in due o tre occasioni. Non smise mai di cercare, non scoprì mai l'oggetto mancante e divenne sempre più malandato di salute. I fatti che ho descritto hanno avuto luogo circa cinque anni or sono e il mese scorso Anderson è morto».
Seguì un breve silenzio. Avalon disse: «Senza aver trovato l'oggetto mancante?»
«Senza averlo mai trovato».
Trumbull, con tono di disapprovazione, disse: «È venuto da noi per avere aiuto in questo problema?»
«Sì, in un certo senso. È un'occasione troppo buona perché me la lasci sfuggire. Anderson è morto e qualunque cosa venga detta entro queste mura non trapelerà, lo abbiamo stabilito, quindi ora posso chiedere ciò che prima non potevo… Henry, posso avere del fuoco?»
Henry, che aveva ascoltato con assorta deferenza, esibì una scatola di fiammiferi e accese la sigaretta a Bartram.
«Permetta che la presenti, Henry, a coloro che serve con tanta efficienza… Signori, vi presento Henry Jackson».
Vi fu un attimo di palese sorpresa e Drake disse: «Quel Jackson».
«Precisamente» disse Bartram. «Sapevo che lavorava qui e quando seppi che per la solita riunione mensile vi incontravate in questo club, dovetti pregare, piuttosto sfacciatamente, di essere invitato. Solo qui potevo trovare la persona dalla risatina ghiotta e, soprattutto, in un'atmosfera di rilassatezza e discrezione».
Henry sorrise e chinò la testa.
Bartram disse: «Qualche volta, durante le ricerche, Henry, non ho potuto fare a meno di chiedermi se Anderson non si fosse sbagliato, se in realtà non ci fosse stato alcun furto. Mi ritrovavo sempre, però, alla famosa risatina e su questo punto mi fidavo del giudizio di Anderson».
«E faceva bene» disse Jackson a bassa voce, «perché avevo rubato qualcosa al mio ex socio, la persona che ha indicato con il nome di Anderson. Non mi sono mai rammaricato di quell'atto per un solo istante».
«Era qualcosa di valore, immagino».
«Di grande valore, e non passava giorno in cui non pensassi al furto e non mi rallegrassi del fatto che quell'uomo malvagio non avesse più ciò che gli avevo portato via».
«E ha destato i suoi sospetti deliberatamente, per provare un piacere maggiore».
«Sì, signore».
«E non ha mai temuto di essere arrestato?»
«Non un solo istante, signore».
«Per Giove» ruggì all'improvviso Avalon, quasi in un urlo. «Torno a ripeterlo. Guardatevi dall'ira della persona tollerante. Anch'io sono tollerante e sono stanco di questo interrogatorio esasperante. Si guardi dalla mia ira, Henry. Cosa ha portato via in quella borsa?»
«Niente, signore» disse Henry. «La borsa era vuota».
«Che il cielo mi aiuti! Ma qualunque cosa fosse, dove ha messo quello che gli ha portato via?»
«Non era necessario metterlo in nessun posto, signore».
«Ma allora, cosa ha portato via?»
«Solo la pace del suo spirito, signore» disse Henry dolcemente.

 

Nessun commento:

Posta un commento