giovedì 17 luglio 2025

Maurice Leblanc - Arsène Lupin ladro gentiluomo: L’arresto d’Arsène Lupin


Strano viaggio! Era cominciato così bene, tuttavia! Da parte mia, non ne feci mai uno che si annunciasse sotto migliori auspici. La Provence è un transatlantico veloce, confortevole, comandato dal più affabile degli uomini. La migliore società vi si trovava riunita. Si formavano relazioni, si organizzavano divertimenti. Avevamo la squisita impressione di essere separati dal mondo, ridotti nel numero come su un’isola sconosciuta, obbligati, di conseguenza, ad avvicinarci gli uni agli altri.
E noi ci avvicinavamo...
Avete mai pensato a ciò che vi è di originale e d’imprevisto in questo raggruppamento di individui che, il giorno prima, ancora non si conoscevano, e che, durante alcuni giorni, tra il cielo infinito e il mare immenso, vivranno la vita più intima, sfideranno insieme le collere dell’oceano, l’assalto terrificante delle onde e la calma sorniona dell’acqua dormiente?
In fondo, è la vita stessa vissuta in una sorta di tragico compendio, con le sue tempeste e le sue grandezze, la sua monotonia e la sua diversità, ed ecco perché, forse, si gusta con una fretta febbrile e una voluttà altrettanto intensa questo breve viaggio di cui s’intravede la fine dal momento stesso in cui comincia.
Ma, da parecchi anni, avviene qualcosa che aumenta in modo singolare le emozioni della traversata. La piccola isola galleggiante dipende ancora da questo mondo da cui ci si credeva affrancati. Un legame sussiste, che si snoda solo a poco a poco, in pieno oceano, e a poco a poco, in pieno oceano, si riannoda. Il telegrafo senza fili! Chiamate di un altro universo da dove si riceverebbero notizie nel modo più

misterioso che vi sia! L’immaginazione non possiede più la risorsa di evocare fili di ferro nel cui cavo scorre l’invisibile messaggio. Il mistero è ancora più insondabile, anche più poetico, e occorre far ricorso alle ali del vento per spiegare questo nuovo miracolo.
Così, durante le prime ore, ci sentimmo seguiti, scortati, preceduti da questa voce lontana che, di tanto in tanto, sussurrava a uno di noi alcune parole di laggiù. Due amici mi parlarono. Altri dieci, altri venti inviarono a noi tutti, attraverso lo spazio, i loro addii rattristati o sorridenti.
Ora, nel secondo giorno, a cinquecento miglia dalle coste francesi, in un pomeriggio tempestoso, il telegrafo senza fili ci trasmetteva un dispaccio di cui ecco il tenore:
 
Arsène Lupin a bordo, prima classe, capelli biondi, ferita avambraccio destro, viaggia solo, sotto il nome di R...
 
In quel preciso momento, un tuono violento scoppiò nel cielo scuro. Le onde elettriche furono interrotte. Il resto del dispaccio non ci pervenne. Del nome sotto il quale si celava Arsène Lupin si seppe solo l’iniziale.
Se si fosse trattato di qualunque altra notizia, non dubito che il segreto sarebbe stato mantenuto scrupolosamente dagli impiegati del telegrafo, come pure dal commissario di bordo e dal comandante. Ma è uno di quegli eventi che sembrano forzare la discrezione più rigorosa. Lo stesso giorno, senza che si potesse dire come la notizia fosse stata divulgata, sapevamo tutti che il famoso Arsène Lupin si nascondeva tra noi.
Arsène Lupin tra noi! L’inafferrabile ladro di cui si raccontavano da mesi le prodezze in tutti i giornali! L’enigmatico personaggio con cui il vecchio Ganimard, il nostro migliore poliziotto, aveva impegnato quel duello mortale, le cui peripezie si svolgevano in modo tanto pittoresco! Arsène Lupin, il gentiluomo stravagante che opera soltanto nei castelli e nei salotti, e che, una notte in cui era entrato dal barone Schormann, ne era uscito a mani vuote lasciando il suo biglietto da visita, su cui aveva scritto la frase seguente: «Arsène Lupin, ladro gentiluomo, tornerà quando i mobili saranno autentici». Arsène Lupin, l’uomo dai mille travestimenti: di volta in volta autista, tenore, bookmaker, ragazzo di buona famiglia, adolescente, vecchio, commesso viaggiatore marsigliese, medico russo, torero spagnolo!
Che ci si renda conto di questo: Arsène Lupin che va e viene nel quadro relativamente ristretto di un transatlantico, che dico! In questo piccolo angolo delle prime classi dove ci si ritrova in ogni momento, in questa sala da pranzo, in questo salotto, in questo fumoir! Arsène Lupin, era forse quel signore..., oppure quello..., il mio vicino di tavolo..., il mio compagno di cabina...
«E questo durerà ancora per cinque giorni», esclamò miss Nelly Underdown, «ma è intollerabile! Spero bene che l’arrestino».
E rivolgendosi a me:
«Vediamo, lei, signor d’Andrésy, che è in ottimi rapporti col comandante, non sa nulla?».
Io avrei voluto certamente sapere qualcosa per compiacere miss Nelly! Era una di quelle magnifiche creature che, ovunque siano, occupano subito il posto più in vista. La loro bellezza, come la loro fortuna, affascina. Hanno una corte di appassionati, di entusiasti.
Cresciuta a Parigi da madre francese, raggiungeva suo padre, il ricchissimo Underdown di Chicago. L’accompagnava una sua amica, lady Jerland.
Sin dalla prima ora, avevo posto la mia candidatura per un flirt, ma nell’intimità rapida del viaggio, il suo fascino mi aveva subito turbato, e mi sentivo un po’ troppo emozionato per un flirt quando i suoi grandi occhi neri incontravano i miei. Tuttavia, lei accoglieva i miei omaggi con un certo favore. Le piaceva ridere alle mie battute e interessarsi ai miei aneddoti. Una vaga simpatia sembrava corrispondere alla premura che le testimoniavo.
Un solo rivale, forse, mi avrebbe preoccupato, un giovane abbastanza bello, elegante, riservato, del quale lei sembrava a volte preferire l’umore taciturno ai miei modi di parigino.
Faceva parte appunto del gruppo di ammiratori che circondava miss Nelly, quando lei mi pose la domanda. Eravamo sul ponte, piacevolmente seduti sulle sedie a dondolo. La tempesta del giorno prima aveva rischiarato il cielo. L’ora era deliziosa.
«Io non so niente di preciso, signorina», le risposi, «ma non ritiene possibile che potremmo condurre l’inchiesta noi stessi, così bene come farebbe il vecchio Ganimard, il nemico personale di Arsène Lupin?»
«Oh! Oh! Lei si spinge un po’ troppo oltre!».
«In che cosa? Il problema è così complicato?»
«Molto complicato».
«Lei dimentica gli elementi che abbiamo per risolverlo».
«Quali elementi?»
«1. Lupin si fa chiamare signor R...».
«È un indizio un po’ vago».
«2. Viaggia da solo».
«Se questo particolare le basta».
«3. È biondo».
«E allora?»
«Allora non dobbiamo fare altro che consultare la lista dei passeggeri e procedere per eliminazione».
Avevo la lista in tasca. La presi e le diedi una scorsa.
«Noto in primo luogo che ci sono soltanto tredici persone con l’iniziale che si pone alla nostra attenzione».
«Soltanto tredici?»
«In prima classe, sì. Su questi tredici signori R..., come lei se ne può assicurare, nove sono accompagnati da donne, bambini o domestici. Restano quattro persone da sole: il marchese de Raverdan...».
«Segretario d’ambasciata», interruppe miss Nelly, «io lo conosco».
«Il maggiore Rawson...».
«È mio zio», disse qualcuno.
«Il signor Rivolta...».
«Presente», gridò uno fra noi, un italiano la cui faccia spariva sotto la barba del più bel nero.
Miss Nelly scoppiò a ridere.
«Il signore non è precisamente biondo».
«Allora», continuai, «siamo costretti a concludere che il colpevole sia l’ultimo della lista».
«Cioè?»
«Cioè il signor Rozaine. Qualcuno conosce il signor Rozaine?».
Tacquero. Ma miss Nelly, interpellando il giovane taciturno la cui assiduità accanto a lei mi tormentava, gli chiese:
«Ebbene, signor Rozaine, non risponde?».
Si voltarono verso di lui. Era biondo.
Confesso di aver sentito come un piccolo shock dentro di me. E il silenzio imbarazzato che pesò su di noi mi indicò che anche gli altri presenti provavano questa specie di soffocamento. Era assurdo, d’altronde, poiché nulla nei comportamenti di questo signore permetteva di sospettarlo.
«Perché non rispondo?», disse. «Ma perché, visti il mio nome, la mia qualità di viaggiatore isolato e il colore dei miei capelli, ho già iniziato un’inchiesta analoga e sono arrivato allo stesso risultato. Sono dunque del parere che mi arrestino».
Aveva un’aria buffa, pronunciando queste parole. Le labbra sottili come due righe inflessibili si assottigliarono ancora e impallidirono. Fili di sangue striarono i suoi occhi.
Di certo, scherzava. Eppure, la sua fisionomia, il suo atteggiamento ci impressionarono. Ingenuamente, miss Nelly chiese:
«Ma lei non presenta una ferita?»
«È vero», disse, «la ferita manca».
Con un gesto nervoso, si tirò su la manica e scoprì il braccio. Ma subito mi colpì un’idea. I miei occhi incrociarono quelli di miss Nelly: aveva mostrato il braccio sinistro.
E, in fede mia, stavo per farlo certamente notare, quando un incidente sviò la nostra attenzione. Lady Jerland, l’amica di miss Nelly, giungeva di corsa.
Era sconvolta. Si prodigarono attorno a lei, e solo dopo molti sforzi riuscì a balbettare:
«I miei gioielli, le mie perle!... Hanno preso tutto!...».
No, non avevano preso tutto, come si seppe in seguito; cosa molto più curiosa: avevano scelto!
Dalla stella di diamanti, dai ciondoli di rubini a cabochon, dalle collane e dai braccialetti frantumati, avevano portato via non le pietre più grosse, ma le più fini, le più preziose, quelle, si sarebbe detto, che avevano maggiore valore ed erano meno appariscenti. Le montature stavano lì, sul tavolo. Le vidi, tutti le vedemmo, spogliate dei loro gioielli come fiori a cui avessero strappato i bei petali scintillanti e colorati.
E per eseguire tale lavoro durante l’ora in cui lady Jerland prendeva il tè, sarebbe occorso, in pieno giorno e in un corridoio frequentato, rompere la porta della cabina, trovare una borsetta celata di proposito in fondo a una cappelliera, aprirla e scegliere!
Non vi fu che un grido tra noi. Non vi fu che un’opinione tra tutti i passeggeri, quando si seppe del furto: è Arsène Lupin. E in realtà, era proprio la sua maniera complicata, misteriosa, inconcepibile, e logica tuttavia, poiché, se era difficile occultare la massa ingombrante che avrebbe formata l’insieme dei gioielli, quanto minore era l’impiccio con le piccole cose indipendenti le une dalle altre, perle, smeraldi e zaffiri!
E a cena, avvenne questo: a destra e a sinistra di Rozaine, i due posti restarono vuoti. E la sera si seppe che egli era stato convocato dal comandante.
Il suo arresto, che nessuno mise in dubbio, suscitò un vero sollievo. Si respirava, insomma. Quella sera si fecero dei giochi. Si ballò. Miss Nelly, soprattutto, mostrò una gaiezza sbalorditiva che mi fece comprendere che se gli omaggi di Rozaine avevano potuto esserle graditi all’inizio, lei non se ne ricordava affatto. La sua grazia riuscì a conquistarmi. Verso mezzanotte, al chiarore sereno della luna, le dichiarai la mia devozione con un’emozione che non parve dispiacerle.
Ma il giorno seguente, nello stupore generale, si apprese che, non essendo sufficienti gli indizi raccolti contro di lui, Rozaine era libero.
Figlio d’un importante negoziante di Bordeaux, aveva esibito documenti perfettamente in regola. Inoltre, le sue braccia non presentavano la minima traccia di ferite.
«Documenti! Atti di nascita!», esclamarono i nemici di Rozaine, «ma Arsène Lupin ve ne fornirà quanti vorrete! Quanto alla ferita, non ne aveva... Oppure ne ha cancellato la traccia!».
Si obbiettava loro che all’ora del furto, Rozaine – era dimostrato – passeggiava sul ponte. Al che rispondevano:
«Un uomo della tempra di Arsène Lupin ha forse bisogno di assistere al furto che commette?».
E poi, al di là di ogni stravagante considerazione, c’era un punto su cui i più scettici non potevano fare commenti. Chi, salvo Rozaine, viaggiava solo, era biondo, e portava un nome che iniziava per R? Chi indicava il telegramma, se non Rozaine?
E quando Rozaine, alcuni minuti prima del pranzo, si diresse audacemente verso il nostro gruppo, miss Nelly e lady Jerland si alzarono e andarono via.
Era paura vera e propria.
Un’ora più tardi, una circolare manoscritta passava di mano in mano fra gli impiegati di bordo, i marinai, i viaggiatori di tutte le classi: il signor Louis Rozaine prometteva una somma di mille franchi a chi avesse smascherato Arsène Lupin, o avesse trovato il possessore delle pietre rubate.
«E se nessuno mi viene in aiuto contro quel bandito», dichiarò Rozaine al comandante, «io, gli darò quel che merita».
Rozaine contro Arsène Lupin, o piuttosto, secondo la parola che circolò, Arsène Lupin stesso contro Arsène Lupin, la lotta non mancava d’interesse!
Questa si prolungò per due giorni.
Si vide Rozaine errare a destra e a manca, mischiarsi al personale, interrogare, curiosare. Si vide, di notte, la sua ombra vagabondare.
Da parte sua, il comandante dispiegò tutte le sue forze. Dall’alto in basso, in ogni angolo, la Provence fu ispezionata. Si perquisirono tutte le cabine, senza eccezione, col pretesto molto fondato che gli oggetti potessero essere nascosti in qualunque posto, salvo nella cabina del colpevole.
«Si finirà certo per scoprire qualcosa, non è vero?», mi chiedeva miss Nelly. «Per quanto sia stregone, non può fare diventare invisibili diamanti e perle».
«Ma certo», le risposi, «o allora bisognerebbe esplorare la fodera dei nostri cappelli, delle nostre giacche, e tutto ciò che indossiamo».
E mostrandole la mia Kodak, una 9 x 12 con cui non mi stancavo di fotografarla negli atteggiamenti più diversi:
«Solo in una macchina fotografica non più grande di questa, non pensa che ci sarebbe posto per tutte le pietre preziose di lady Jerland? Si finge di fare fotografie e il gioco è fatto».
«Ma tuttavia, io ho sentito dire che non esiste ladro che non lasci dietro di sé un qualsiasi indizio».
«Ce n’è uno: Arsène Lupin».
«Perché?»
«Perché? Perché non pensa solo al furto che commette, ma a tutte le circostanze che potrebbero denunciarlo».
«All’inizio, lei era più fiducioso».
«Ma dopo, l’ho visto all’opera».
«E allora, secondo lei?»
«Secondo me, si perde tempo».
E in realtà, le investigazioni non davano alcun risultato, o almeno, quel che diedero non corrispondeva allo sforzo generale: al comandante fu rubato l’orologio.
Furioso, raddoppiò il suo ardore e sorvegliò più da vicino ancora Rozaine, con cui aveva avuto parecchi colloqui. Il giorno dopo, ironia affascinante, ritrovavano l’orologio fra i solini del comandante in seconda.
Tutto questo aveva del prodigioso, e denunciava bene la maniera umoristica di Arsène Lupin, ladro, e sia, ma anche per diletto. Lavorava per gusto e per vocazione, certo, ma anche per divertimento. Dava l’impressione del signore che si diverte nella commedia che fa rappresentare e che, dietro le quinte, ride a squarciagola delle sue battute, e delle situazioni che immagina.
Decisamente, era un artista nel suo genere, e quando osservavo Rozaine, cupo e tenace, e pensavo al duplice ruolo che senza dubbio svolgeva questo curioso personaggio, non riuscivo a parlarne senza una certa ammirazione.
Ora, l’altra notte, l’ufficiale di guardia sentì dei gemiti nel luogo più buio del ponte. Si avvicinò. Un uomo era disteso, la testa avvolta in una sciarpa grigia molto spessa, i polsi legati con una sottile cordicella.
Lo liberarono dai legami. Lo sollevarono, gli furono prodigate delle cure.
L’uomo era Rozaine.
Era Rozaine, assalito nel corso di una sua spedizione, atterrato e spogliato. Un biglietto da visita fissato con una spilla al vestito portava queste parole:
 
Arsène Lupin accetta con riconoscenza i diecimila franchi del signor Rozaine.
 
In realtà, il portafoglio derubato conteneva venti biglietti da mille.
Naturalmente, si accusò lo sventurato di avere simulato quell’attacco contro se stesso. Ma, oltre al fatto che gli sarebbe stato impossibile legarsi in quel modo, fu chiarito che la scrittura del biglietto differiva assolutamente da quella di Rozaine, e assomigliava invece, in modo da trarre in inganno, a quella di Arsène Lupin, tale e quale la riproduceva un vecchio giornale trovato a bordo.
Così, dunque, Rozaine non era più Arsène Lupin. Rozaine era figlio d’un negoziante di Bordeaux! E la presenza di Arsène Lupin veniva assicurata una volta di più, e con quale atto temibile!
Fu il terrore. Non si ebbe più il coraggio di restare soli nella propria cabina, e, ancora di più, di avventurarsi soli nei luoghi troppo isolati. Con prudenza, si formavano gruppi di persone fidate. E ancora, una diffidenza istintiva divideva i più intimi. In quanto la minaccia non proveniva da un individuo isolato, e quindi meno pericoloso. Ora, Arsène Lupin era... Erano tutti. La nostra immaginazione sovreccitata gli attribuiva un potere miracoloso e illimitato. Lo supponevamo capace di assumere i travestimenti più inattesi, di essere di volta in volta il rispettabile maggiore Rawson o il nobile marchese de Raverdan, o persino, poiché non ci si fermava più all’iniziale accusatrice, anche a questa o quella persona conosciuta da tutti, con moglie, figli, domestici.
I primi dispacci senza filo non apportarono alcuna notizia. Almeno, il comandante non ce ne fece parte, e un tale silenzio non era per rassicurarci.
Perciò, l’ultimo giorno parve interminabile. Si viveva nell’ansiosa attesa di una sventura. Questa volta, non sarebbe stato più un furto, una semplice aggressione, sarebbe stato il crimine, l’omicidio. Non si ammetteva che Arsène Lupin si limitasse a questi due furtarelli insignificanti. Padrone assoluto della nave, le autorità ridotte all’impotenza, non aveva che da volere, tutto gli era permesso, disponeva dei beni e delle esistenze.
Ore deliziose per me, lo confesso, poiché mi valsero la fiducia di miss Nelly. Impressionata da tanti avvenimenti, di natura già inquieta, cercò spontaneamente al mio fianco una protezione, una sicurezza che ero felice di offrirle.
In fondo, benedivo Arsène Lupin. Non era lui che ci faceva avvicinare? Non era grazie a lui che acquisivo il diritto di abbandonarmi ai sogni più belli? Sogni d’amore e sogni meno chimerici, perché non confessarlo? Gli Andrésy sono di buona stirpe del Poitou, ma il loro blasone è un pochino squattrinato, e non mi sembra indegno d’un gentiluomo pensare di rendere al proprio nome il lustro perduto.
E questi sogni, lo sentivo, non urtavano Nelly. I suoi occhi sorridenti mi autorizzavano a farli. La dolcezza della sua voce mi diceva di sperare.
E fino all’ultimo momento, appoggiati coi gomiti al parapetto, restammo l’uno accanto all’altra, mentre la linea delle coste americane ci veniva incontro.
Avevano interrotto le perquisizioni. Si attendeva. Dalle prime classi fino all’interponte, dove brulicavano gli emigranti, si aspettava il minuto supremo in cui si sarebbe spiegato infine l’insolubile enigma. Chi era Arsène Lupin? Sotto quale nome, sotto quale maschera si nascondeva il famoso Arsène Lupin?
E questo minuto supremo arrivò. Dovessi vivere cent’anni, non ne dimenticherò il minimo dettaglio.
«Come è pallida, miss Nelly», dissi alla mia compagna che, nella sua fragilità, si appoggiava al mio braccio.
«E lei!», mi rispose, «ah! È così cambiato!».
«Pensi, dunque! Questo minuto è così appassionante, e io sono felice di viverlo accanto a lei, miss Nelly. Mi sembra che il suo ricordo indugerà talvolta...».
Lei non ascoltava, ansimante e febbrile. Si gettò la passerella, ma prima che avessimo la libertà di attraversarla, delle persone salirono a bordo, doganieri, uomini in uniforme, postini.
Miss Nelly balbettò:
«Se si accorgessero che Arsène Lupin è fuggito durante la traversata non ne sarei sorpresa».
«Ha forse preferito la morte al disonore, e si è buttato nell’Atlantico piuttosto che farsi arrestare».
«Non rida», disse lei, infastidita.
A un tratto, sussultai, e, siccome mi poneva delle domande, le dissi:
«Vede quel vecchio omino in piedi all’estremità della passerella...».
«Con ombrello e redingote verde oliva?».
«È Ganimard».
«Ganimard?»
«Sì, il celebre poliziotto, quello che ha giurato che Arsène Lupin sarebbe stato arrestato per mano sua. Ah! Capisco che non abbiamo avuto informazioni da questa parte dell’oceano. Ganimard era lì. Preferisce che nessuno si occupi delle sue piccole vicende».
«Allora, Arsène Lupin è sicuro di essere sorpreso?»
«Chissà? Ganimard non l’ha mai visto, pare, che truccato e travestito. A meno che non conosca il suo nome fittizio».
«Ah!», disse lei, con la curiosità un po’ crudele delle donne, «se potessi assistere all’arresto!».
«Abbiate pazienza. Certamente Arsène Lupin ha già notato la presenza del suo nemico. Preferirà uscire fra gli ultimi, quando l’occhio del vecchio sarà stanco».
Lo sbarco iniziò. Appoggiato all’ombrello, l’aria indifferente, Ganimard non sembrava prestare attenzione alla folla che si accalcava tra le due balaustre. Notai che un ufficiale di bordo, posto dietro di lui, lo informava di tanto in tanto.
Il marchese de Raverdan, il maggiore Rawson, l’italiano Rivolta sfilarono, e altri, e molti altri... E scorsi Rozaine che si avvicinava.
«Povero Rozaine! Non sembrava che si fosse rimesso dalle sue disavventure!».
«Comunque, è forse lui», mi disse miss Nelly. «Che ne pensa?»
«Penso che sarebbe molto interessante avere su una stessa fotografia Ganimard e Rozaine. Prenda dunque la mia macchina fotografica, sono così sovraccarico».
Gliela diedi, ma troppo tardi perché lei potesse servirsene. Rozaine passava. L’ufficiale si chinò verso l’orecchio di Ganimard, questi alzò leggermente le spalle e Rozaine passò.
Ma, allora, Dio mio, chi era Arsène Lupin?
«Sì», disse lei ad alta voce, «chi è?».
Erano rimaste solo una ventina di persone. Lei le osservava volta a volta col timore confuso che non fosse, lui, nel numero di quelle venti persone.
Io le dissi:
«Non possiamo aspettare più a lungo».
Lei avanzò. Io la seguii. Ma avevamo fatto appena dieci passi che Ganimard ci sbarrò il passaggio.
«Ebbene, che cosa?», esclamai.
«Un istante, signore, chi le fa fretta?»
«Io accompagno la signorina».
«Un istante», ripeté con una voce più imperiosa.
Mi fissò profondamente, poi mi disse, i suoi occhi nei miei:
«Arsène Lupin, non è vero?».
Io mi misi a ridere.
«No, Bernard d’Andrésy, in tutta semplicità».
«Bernard d’Andrésy è morto tre anni fa in Macedonia».
«Se Bernard d’Andrésy fosse morto, io non sarei più di questo mondo. E non è il caso. Ecco i miei documenti».
«Sono i suoi. Il fatto che li abbia lei, è ciò che avrò il piacere di spiegarle».
«Ma lei è folle! Arsène Lupin si è imbarcato col nome di R.».
«Sì, ancora un suo trucco, una falsa pista lanciata, laggiù! Ah! Lei ha una bella forza, giovanotto. Ma questa volta la fortuna è cambiata. Vediamo, Lupin, dimostrati buon giocatore».
Esitai un secondo. Con un colpo secco mi colpì sull’avambraccio destro. Gettai un grido di dolore. Aveva colpito sulla ferita non ancora rimarginata che il telegramma segnalava.
Andiamo, bisognava rassegnarsi. Mi girai verso miss Nelly. Lei ascoltava, livida, barcollante.
Il suo sguardo incontrò il mio, poi si abbassò sulla Kodak che le avevo teso. Fece un gesto brusco, ed ebbi l’impressione, ebbi la certezza che lei capiva di colpo. Sì, era lì, tra le strette pareti di zigrino nero, all’interno del piccolo oggetto che avevo avuto la precauzione di deporre tra le sue mani prima che Ganimard mi arrestasse, era proprio lì che si trovavano i ventimila franchi di Rozaine, le perle e i diamanti di lady Jerland.
Ah! Io lo giuro, in questo solenne momento, mentre Ganimard e due suoi accoliti mi circondavano, tutto mi fu indifferente, il mio arresto, l’ostilità della gente, tutto, all’infuori di questo: la risoluzione che stava per prendere miss Nelly riguardo a quello che le avevo affidato.
Che avessero contro di me questa prova materiale e decisiva non pensavo neppure di temerlo, ma miss Nelly si sarebbe decisa a fornirla, la prova?
Sarei stato tradito da lei? Perduto a causa sua? Avrebbe agito da nemica che non perdona, oppure da donna che si ricorda e il cui disprezzo si addolcisce con un po’ d’indulgenza, con un po’ di simpatia involontaria?
Mi passò davanti. La salutai a bassa voce, senza una parola. Mischiata agli altri passeggeri, si diresse verso la passerella, con la mia Kodak in mano.
Senza dubbio, pensai, non osa in pubblico. Fra un’ora, fra poco, la darà.
Ma giunta a metà della passerella, con un gesto maldestro, simulato, la lasciò cadere in acqua, tra il muro della banchina e il fianco della nave.
Poi la vidi allontanarsi.
La sua graziosa figura si perse tra la folla, m’apparve di nuovo e scomparve. Era finita, finita per sempre.
Per un po’, restai immobile, triste a un tempo e immerso in una dolce commozione, poi, sospirai, con grande stupore di Ganimard:
«Peccato, comunque, di non essere una persona onesta...».
 
E così, una sera d’inverno, Arsène Lupin mi raccontò la storia del suo arresto. La combinazione di incidenti di cui scriverò un giorno o l’altro il racconto aveva annodato tra noi dei legami... direi di amicizia? Sì, oso credere che Arsène Lupin mi onori di qualche amicizia, ed è per amicizia che giunge a volte a casa mia all’improvviso, portando nel silenzio del mio studio la sua gaiezza giovanile, l’influenza della sua vita ardente, il suo bell’umore di uomo per il quale il destino non ha che favori e sorrisi.
Il suo ritratto? Come potrei farlo? Venti volte ho visto Arsène Lupin, e venti volte è apparsa davanti a me una persona diversa o, piuttosto, la stessa persona di cui venti specchi mi avrebbero rinviato altrettante immagini deformate, ciascuna con i suoi occhi particolari, la sua forma speciale del volto, il suo gesto proprio, la sua figura e il suo carattere.
«Io stesso», mi disse, «non so più bene chi io sia. In uno specchio non mi riconosco più».
Certo, una battuta, e paradosso, ma verità nei confronti di coloro che lo incontrano e che ignorano le sue infinite risorse, la sua pazienza, la sua arte del maquillage, la sua prodigiosa facoltà di trasformare persino le proporzioni del suo viso, e di alterare il rapporto stesso dei tratti fra loro.
«Perché», aggiunse, «avrei un aspetto definito? Perché non evitare il pericolo d’una personalità sempre identica? I miei atti mi designano sufficientemente».
E precisa, con una punta d’orgoglio:
«Tanto meglio se non si può mai dire in tutta certezza: “Ecco Arsène Lupin”. L’essenziale è che si dica senza timore di sbagliare: “Arsène Lupin ha fatto questo”».
Sono alcuni di questi atti, alcune di queste avventure che provo a ricostruire, secondo le confidenze di cui ebbe la buona grazia di favorirmi, certe sere d’inverno, nel silenzio del mio studio...


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