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mercoledì 3 aprile 2024

Mauro Sighicelli: Bertini alle strette


La questura di Modena, il 2 luglio 2021, è sommersa da tante denunce di cittadini inferociti per i frequenti furti in appartamento ad opera di delinquenti di strada, per lo più purtroppo extracomunitari. Non solo: in aumento anche i furti di biciclette, automobili, effetti personali. Insomma, un vero caos. Il questore Luigi Improta, infuriato, si precipita nell’ufficio di Bertini.
“Allora, commissario, si dia una mossa. Non possiamo continuare con quest’inedia, tra poco sarà informato anche il prefetto e allora comincerò a tagliare qualche testa di troppo! Risolva in fretta il problema della microcriminalità o sarò costretto a prendere drastici provvedimenti!” 
E’ venerdì: Bertini sta pensando che è la serata adatta per invitare la signora Marisa, una pasticcera detta ‘la tettona’ per le generose forme, al cinema estivo. La donna va volentieri con lui a vedere i film e questa poteva essere la serata adatta per provare a invitarla, dopo la proiezione, nel suo appartamento a bere qualcosa. Quindi l’ordine del questore risulta inappropriato, anche se deve obbedire. Perciò non può invitare la signora Marisa al cinema per quella sera, il duro rimbrotto di Improta non concede tregue. Per prima cosa convoca l’agente scelto Peppino, fido scudiero, nel suo ufficio. 
“Peppino, ascoltami bene. Chi c’è in servizio oggi? Chi abbiamo di pattuglia?” 
“Un attimo, commissario, che controllo il registro. Nel frattempo gradisce un caffè?” 
“No Peppino, grazie. Ho caldo. Portami piuttosto una birra ghiacciata, per dissetarmi.” 
“Mi dispiace, le birre sono finite.” 
“Allora va bene anche una lattina di coca cola.” 
“No, commissario. Finita anche quella.” 
“Ah…” borbotta Bertini, contrariato. “E cosa c’è di fresco da bere?” 
“Solo acqua. Le bevande le ha bevute l’agente scelto Pasquale Scannapuoti, le ha finite tutte.” 
“E come si è permesso?” 
“Perché le aveva pagate lui. Teneva sempre ben fornito il frigo comune ma siccome nessuno di noi contribuiva all’acquisto ha smesso di comprarle e se le è bevute. Erano sue.” 
“E allora com’è che c’è dell’acqua?” 
“Perché la porto io da casa. Per lei.” 
“E’ naturale o frizzante?” 
“Ho una bottiglia frizzante da mezzo litro bella fresca per lei, commissario.” 
“Va bene, portamela.” 
“Gradisce una scorza di limone?” 
“Certo, bravo Peppino. E com’è che in commissariato abbiamo dei limoni?” 
“Ne abbiamo una pianta intera, me l’ha portata mio cugino dal suo paese, sono ottimi e succosi, quest’anno ne sono cresciuti davvero tanti.” 
Quando Bertini apprende che in servizio ci sono Hu e Lapadula non esita a chiamarli a rapporto, spiega la situazione e fornisce loro una mappa dettagliata dei luoghi dove è più semplice rintracciare la microcriminalità. 
“Hu ispezionerà la zona intorno alla stazione ferroviaria, con particolare riferimento all’area di Errenord, quel palazzo ambiguo covo di delinquenti di origine prettamente africana. Invece Lapadula indagherà nell’ambito dei campi rom, nelle periferie più degradate della città, rifugi preferiti per bande di rumeni, moldavi, albanesi. Andate e riferite!” 
“E lei, commissario? Cosa fa?” chiede sfrontatamente Hu Hu. 
“Io cosa?” tuona Bertini “Io faccio quello che mi pare! Non ammetto interferenze sul modo con cui svolgo le indagini, so ben io quello che devo fare! Ma senti cosa mi tocca udire, per di più da un sottoposto di origine cinese! Ma levatevi di torno e cercate di tornare alla svelta con importanti informazioni.” 
I due agenti si congedano prontamente, Lapadula ha un moto di rimbrotto verso Hu, reo di lesa maestà, prima di imboccare ognuno la sua via. Bertini, finalmente solo, ritorna a progettare il suo ormai triste fine settimana. Ormai sfumata l’occasione per andare al cinema con la bella ‘tettona’, la signora Marisa, il commissario ipotizza un sabato e una domenica di duro lavoro per cercare di tamponare la spirale di violenza innescata dalla microcriminalità. Tutta colpa delle leggi troppo democratiche del ministro dell’Interno che non ha saputo arginare il fenomeno migratorio consentendo una serie di ingressi clandestini ormai insostenibile da fronteggiare per le poche forze dell’ordine in servizio. Il governo non ha saputo contenere gli sbarchi non autorizzati che invece andavano programmati e regolamentati. L’ingresso di ospiti stranieri andava pianificato con visti turistici o con regolari permessi di soggiorno, e solo per chi era alla ricerca di un posto di lavoro stabile. Questo caos non controllato non ha portato a nulla di buono. I cittadini che si lamentano hanno ragione, l’afflusso indiscriminato ha scaturito troppi atti di microcriminalità urbana. La colpa è stata del ministro dell’Interno. Non è stato efficiente. Un Bertini più sollevato da queste personali conclusioni decide di recarsi presso gli uffici della sedicente ditta ‘Colf, badanti e donnine per tutti’. Ha notato, passandoci davanti in automobile, che la sede è proprio vicino a casa sua, ritiene venga gestita da una cosca mafiosa di etnia rumena e che le signore impiegate in tali compiti fungano da basiste per riferire informazioni ai presunti ladri. Sottilmente sogna anche di trovare tra le collaboratrici una bella ragazza, potrebbe servirsi di lei per far pulire il suo angusto appartamento, per placare l’ansia di non avere una compagna stabile, per un eventuale coinvolgimento emotivo.
 Parcheggia l’auto di servizio in divieto di sosta, espone il permesso delle forze dell’ordine ed entra nel famigerato ufficio. Viene accolto da una deliziosa impiegata, di chiare origini slave. Alta, bionda, snella, sveglia, brava, efficiente. Scambiati i convenevoli, la ragazza fornisce subito il quadro della situazione. Dieci euro per ogni prestazione di un’ora, pagamento anticipato in agenzia, personale in regola con i permessi di soggiorno, garantito da assicurazione in caso di infortunio sul lavoro, contributi lavorativi versati. Bertini prova a fare il galante con la bella impiegata ma riesce solo a carpirne il nome, Irina. Quando le chiede se è solo una segretaria, lei scoppia in una fragorosa risata prima di mostrare al commissario i documenti che attestano che è la titolare della società semplice a cui è intestata l’attività. E spiega anche a Bertini che in un angusto ma pulito stanzino attiguo all’ufficio siede suo marito, addetto alla contabilità. Le lavoratrici sono tutte fidate, selezionate e istruite. Il poliziotto cerca di rimediare alla gaffe, teme quasi il confronto con il marito, che magari è anche un tipo geloso. Spiega a Irina che sta svolgendo una indagine di routine per sventare il lavoro sommerso visto che il ministro dell’Interno non lo ha saputo arginare con adeguati provvedimenti. La ragazza torna a sorridere, con calma olimpica e con modi garbati e gentili ribatte al commissario in un perfetto italiano che invece ci sono leggi apposite atte a chiarire come debellare tale increscioso fenomeno. Un confuso Bertini non ha neanche il coraggio di chiedere se ci sia una colf disponibile a pulire il suo appartamento che sia giovane, bella e possibilmente anche nubile. Saluta in fretta, esce dall’ufficio della ditta ‘Colf, badanti e donnine per tutti’ dubitando del fatto che sia una cosca mafiosa di etnia rumena. 
Riprende l’auto di servizio, rientra al distretto di polizia e attende il ritorno di Hu e Lapadula. Il primo a rientrare è proprio l’assistente, riferisce di avere interrogato gli informatori di cui si avvale abitualmente e di essere venuto a conoscenza della nascita di una band di adolescenti ladri di biciclette. Non le rivendono, preferiscono smontarle e vendere i pezzi di ricambio: ci guadagnano di più. Meno bene è andata all’agente Lapadula che si è addirittura sentito in pericolo nell’attraversare un parco rom all’altezza della frazione di San Damaso a causa prima di biechi sguardi e poi del pericoloso avvicinarsi di malviventi con fare minaccioso. Un tranquillo week end di paura, quindi, per un frustrato da poche idee ma ben confuse.
 

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