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lunedì 11 agosto 2025

Richard Laymon: Omicidio Stop



Quando gli accordi cessarono, la voce tornò a parlare. Era calda e gradevole, come la musica, e aiutava Colleen a distogliere il pensiero dalla strada deserta. — Avete ascoltato il pianista Michel Legrand, — diceva, quasi bisbigliando, — e qui è Jerry Bonner che vi porta musica classica e leggera da mezzanotte all’alba dalle stazioni di... — Lei girò la manopola della radio e la voce s’interruppe.
Non sarebbe stato prudente rimanere in ascolto. No e no, dato che non c’era modo di sapere quanto tempo sarebbe rimasta seduta lì. Forse tutta la notte. Non si poteva tenere accesa la radio tutta la notte senza scaricare la batteria. O si poteva? L’indomani doveva ricordarsi di domandarlo a quel meccanico, Jason. Era così bravo, lui, a spiegare le cose.
Sospirò di stanchezza e si premette le dita contro le palpebre. Se soltanto qualcuno fosse passato di là, si fosse fermato e le avesse offerto aiuto.
Così com’era stata aiutata Maggie?
Si sentì accapponare la pelle.
No! Non come Maggie!
Mentre si massaggiava le braccia nude, Colleen ricominciò a ricordare: il telefono che squillava nel suo sogno fino a svegliarla, in tempo per rendersi conto che lo squillo era autentico; il contatto ruvido dello scendiletto sotto i piedi, quello fresco e liscio del linoleum di cucina. E un nodo di paura nello stomaco, simile a una tenaglia, perché il telefono non squilla alle tre del mattino, a meno che...
— Smettila, — mormorò. — Cerca di dominarti, capito? Pensa a qualcosa di piacevole, tanto per cambiare.
A qualcosa di piacevole, certo. Altrimenti avrebbe ricominciato a ricordare la voce del poliziotto, al telefono, e la corsa in macchina fino all’obitorio, e l’aspetto di sua sorella, distesa là...
— Splendi, splendi, luna d’agosto, — cominciò a canticchiare. Continuò fino in fondo. Poi, attaccò — Viaggio sentimentale.
Quand’erano bambine, cantavano sempre quelle canzoni, durante i viaggi lunghi. Papà e mamma sedevano davanti, lei e Maggie dietro: quattro ombre che tenevano a bada la solitudine della notte con dolci canzoni, ricordate soltanto in parte.
Maggie era quella che stentava più di tutti a tenere a mente le parole. Ogni volta che si inceppava, ascoltava gli altri e cantava poi le parole giuste un momento dopo, come un’allegra eco.
La sera in cui la sua auto aveva avuto un guasto, non c’era nessuno, vicino a lei, a cantarle le parole giuste.
Colleen trattenne il respiro. Una luce! Un puntolino di luce non più grande delle stelle che vedeva riflesse nello specchio laterale, alte sopra i campi di granturco. Stava arrivando una macchina.
Si sarebbe fermata, questa? Tre, finora, erano sfrecciate via senza neppure rallentare. Tre, in ben tre ore.
Chissà, forse una di quelle si era fermata, più avanti, e aveva telefonato alla stradale.
I fari della macchina in arrivo erano piuttosto bassi e ravvicinati. Non come quelli di un’auto di ronda, piuttosto come i fari di un’auto sportiva.
Lei si affrettò a lampeggiare con i fari. — Fermati, — bisbigliò. — Ti scongiuro, fermati.
Mentre l’altra vettura le arrivava alle spalle, Colleen strizzava le palpebre per difendersi dalla luminosità abbagliante dello specchio retrovisore. Faceva male agli occhi guardarlo, ma lei non osava distogliere lo sguardo, nemmeno quando i fari dell’altra vettura esplosero nello specchio con un ultimo lampo accecante.
Dopo quel chiarore fastidioso, la luce tenue dei fanalini di coda dava quasi sollievo alle pupille affaticate.
Quando le luci dei freni si accesero, qualcosa attanagliò lo stomaco di Colleen. Lei si piegò su se stessa, per placare il crampo doloroso, e vide che l’altra macchina stava facendo marcia indietro.
La mano le tremava, nel tirar su il vetro del finestrino. Guardò da una parte. Il pomolino della serratura era abbassato. Spostò lo sguardo verso l’altra portiera, si assicurò che anche quella fosse bloccata.
Colleen si riempì d’aria i polmoni ed espirò, lentamente.
Una vettura sportiva, proprio così: piccola e lucente, con il mantice di tela di una trasformabile.
La portiera del conducente si spalancò.
Il respiro di Colleen si fece rauco, il cuore le batteva in gola, la gola era terribilmente secca. Si era sentita così, Maggie, la notte in cui era morta? Probabilmente sì. Così, ma in peggio.
Un uomo alto e smilzo era sceso dall’auto. Sembrava un po’ al di sotto della trentina, suppergiù dell’età di Colleen. Aveva i capelli lunghi, la camicia a quadri era aperta al collo, i calzoni aderenti si allargavano in fondo.
Non le riuscì di vederne il volto bruno e magro finché lui non si chinò a sorriderle. Nervosamente, ricambiò il sorriso. Poi, lo sconosciuto alzò la mano, accennando un movimento come di manovella.
Colleen assentì. Abbassò il vetro di un paio di centimetri.
— Che succede? — domandò lui, parlando direttamente nella fessura. L’alito, così vicino a lei, aveva un odore greve e dolciastro, di liquore.
— E... mah, non so neanch’io.
— Qualcosa alla macchina? Un guasto al motore?
Quell’alito le riempiva le narici. Afferrò la manovella del finestrino e disse a se stessa di tirar su il vetro: tira su, presto, perché costui ha bevuto... e rivide la faccia spenta e sfigurata di sua sorella.
— Vi sentite male? — domandò l’uomo.
Colleen si passò una mano sulla faccia. — No, solo un po’ stordita.
— Dovreste tirar giù il finestrino, respirare un po’ d’aria fresca.
— No, grazie.
— L’aria vi farebbe bene.
— Sto benissimo.
— Se lo dite voi... Cos’ha la macchina?
— È surriscaldata.
— Come?
— Surriscaldata, — ripeté lei, nella fessura del finestrino. — Stavo viaggiando, a un tratto si è accesa una luce rossa sul cruscotto, poi il motore ha cominciato a mandare una specie di strano lamento, acutissimo, così ho preferito fermarmi.
— Sarà meglio che dia un’occhiata.
Lui andò verso il davanti dell’auto e toccò il cofano, come si sfiora qualcosa che potrebbe scottare. Poi, infilò le dita sotto l’orlo del cofano. Non riusciva ad aprirlo. Alla fine si accovacciò, trovò lo scatto e aprì.
Passò solo pochi istanti al di sotto del cofano, prima di ritornare accanto al finestrino di Colleen. — Un bel guaio, — disse.
— Di che si tratta?
— Come? Non riesco a sentirvi. Se almeno abbassaste un po’ di più questo finestrino...
— Abbassarlo?
— Certo.
— No, sta bene così.
— Ehi, non mordo io — disse lui, sorridendo e scuotendo la testa.
Colleen sorrise a sua volta. — Ne siete sicuro?
— Mordo soltanto quando c’è la luna piena. Stanotte c’è soltanto una mezza luna.
— Un quarto, — corresse lei.
L’uomo rise e disse: — Fa lo stesso.
Colleen aprì il finestrino e respirò profondamente. La brezza sapeva di umidità e della frescura che arrivava dai campi. Si udiva, in lontananza, lo sferragliare di un treno. Un gallo, chissà dove, annunciava l’alba con tre ore di anticipo.
È una bella notte, pensò lei. Per un momento, si domandò se anche lo sconosciuto stesse pensando a quei suoni e a quegli odori pieni di pace. Lo guardò. — Che cos’ha la mia macchina?
— La cinghia del ventilatore.
— La cinghia del ventilatore? Che cosa significa?
Lui si abbassò, per avvicinare la faccia a quella di lei.
— Significa, cara signorina, che avete fatto bene a fermarvi.
— Perché? — domandò lei, e girò in là la faccia, per sottrarsi a quell’alito che sapeva d’alcool.
— Se si continua a viaggiare senza la cinghia del ventilatore, il motore si brucia e arrivederci. Kaput, fonde tutto.
— È così grave?
— È grave, sì.
—Cosa sarà successo, a quella cinghia?
— Probabilmente si è rotta, tutto qui. Ogni tanto lo fanno. Io, la mia la cambio ogni due anni, tanto per precauzione.
— Magari l’avessi fatto anch’io!
— Io sono contento che non l’abbiate fatto, invece, — disse lui, con un sorriso fanciullesco e accattivante, che agghiacciò Colleen. — Non mi succede tutte le notti, — continuò l’uomo, — d’avere la fortuna d’imbattermi in una fanciulla nei guai. Specie poi trattandosi di una così bella figliola.
Lei si strofinava le mani sudate sulla gonna. — Potete... potete aggiustarla?
— L’auto? Niente da fare. A meno che non abbiate in tasca una cinghia di ricambio.
— Che cosa faccio, allora?
— Lasciate che vi dia io un passaggio fino alla stazione di servizio più vicina. O fino a qualsiasi altro posto, come preferite. Dove volete andare?
— Be’, non credo sia il caso che...
— Non potete certo rimanere qui.
— Be’...
— Sarebbe sciocco rimanere qui: una bella donna come voi. Non è per spaventarvi, ma più d’una è stata aggredita, lungo questa strada...
— Lo so, — disse lei.
— Per non parlare di una mezza dozzina di omicidi. Anche uomini, non solo donne.
— Mi avete spaventata. — Lei sorrideva, nervosamente. — Verrò con voi.
— Così mi piace. — L’uomo infilò una mano nell’auto, sbloccò la portiera, l’aprì egli stesso. Colleen scese. Quand’egli la richiuse, la portiera fece udire un tonfo sordo, come qualcosa di implacabile, di definitivo.
— Abitate lontano da qui? — domandò lui, prendendo il gomito di Colleen con dita ferme e fredde e guidandola verso la sua auto.
— Una cinquantina di chilometri, credo.
— Così poco? Perché non lasciate che vi accompagni a casa?
— Sareste molto gentile. Ma preferirei non darvi tanto di disturbo. Se riusciamo a trovare una stazione di servizio...
— Nessun disturbo. Cinquanta chilometri sono una cosa da niente. — L’uomo smise di camminare. Le sue dita si strinsero attorno ai braccia di lei. — Credo che sarei disposto ad accompagnare una donna come te anche in capo al mondo.
Colleen, dal modo come lui sorrideva, capì che cosa stava per accadere.
— Lasciatemi, — disse, cercando di mantenere calma la voce.
Ma lui non la lasciò andare. Le diede uno strattone al braccio e, nel tirarla verso di sé, con il dorso della mano libera la colpì a una guancia.
— Per favore!
L’uomo schiacciò la bocca contro quella di lei.
Colleen chiuse gli occhi. Ricominciò a ricordare: il telefono che squillava, svegliandola, la lunga corsa fino in cucina, la voce rude e addolorata del poliziotto.
Devo avvisarle che sua sorella è stata aggredita.
È...?
È andata.
Andata. Strano modo di esprimersi, per un poliziotto.
Colleen morse con forza il labbro dello sconosciuto. Con la fronte, batté con forza contro il naso di lui. Gli piantò le nocche nella gola e spinse fino a sentire la laringe afflosciarsi. Poi, tornò di corsa verso la sua auto.
Quando Colleen trovò la forza di riavvicinarsi all’uomo, lui giaceva immobile sull’asfalto. Gli si inginocchiò accanto, gli prese una mano e gli sentì il polso. Non batteva più.
Lasciò cadere la mano, si rialzò e prese un lungo, profondo respiro. La brezza che arrivava dai campi aveva un odore così fresco e dolce. Portava tanta pace. Eppure c’era un po’ di tristezza in quel profumo, come se anche i campi sentissero la mancanza di Maggie.
Colleen soffocò un singhiozzo. Guardò il quadrante luminoso del suo orologio da polso. Poi si chinò sotto il mantice, armata di chiave inglese e di cinghia del ventilatore, e si mise al lavoro.
Impiegò meno di sei minuti a completare l’operazione.
Niente male.
Più presto di tutte le altre volte.


 

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