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lunedì 23 giugno 2025

Jerome L. Johnson: Poliziotto fino in fondo



Era una calda, dolciastra giornata di primavera, a Minneapolis. Fermo in un vicolo, a due passi da Lake Street, fissavo i resti di Bill Fischer, che era stato mio amico, mio collega, nonché un ottimo poliziotto. Giaceva supino, tra sgangherati bidoni per la spazzatura, e sul suo petto largo si raggrumavano due grosse macchie di sangue.
Anche più tragica da guardare era la sua faccia. Un lungo taglio correva lungo il collo, partendo dall’orecchio sinistro, mentre un altro, più breve, andava dall’angolo destro della bocca fino al mento. Il sangue si era sparso e raggrumato anche sul volto.
Il capitano Benson era fermo accanto a me. — Dio, — mormorò, — è orribile. Nessuna idea, O’Hara?
— Nessuna. Niente testimoni, niente indizi.
— E il coltello?
— Non l’abbiamo trovato. — M’inginocchiai ed esaminai la mano destra di Bill. — Questa mano presenta delle escoriazioni, capitano. Sembra che Bill sia riuscito a mandare a segno qualche sventola.
Lui si schiarì la gola. — Lo dici tu alla sua famiglia, o debbo farlo io?
— Lo farò io, — dissi. — Andrò prima di tutto alla scuola, a parlare con Billy.
Andai in macchina fino al Liceo Jefferson, uno di quegli istituti scolastici nuovi che sorgono un po’ fuori città, sparpagliati attraverso il verde, con tanto spazio per le attrezzatura sportive e i parcheggi. Lasciai la macchina all’altezza della fermata dell’autobus, percorsi un tratto a piedi ed entrai nell’edificio principale. Bill Fischer junior insegnava scienze sociali, al Jefferson, ed era anche allenatore della squadra di rugby. Tutti lo chiamavano amichevolmente Billy, per distinguerlo dal padre.
Sedemmo l’uno di fronte all’altro, nell’ufficio personale del preside, che il signor Beach ci aveva messo gentilmente a disposizione, allontanandosi subito dopo per andare in cerca di un supplente.
Ci si aspetta della forza d’animo, da un pezzo d’uomo come Billy, e infatti lui ne dimostrava molta. Era pallidissimo ed evidentemente stravolto dal dolore, ma restava padrone dei suoi nervi. Volle sapere tutti i particolari.
— Stamattina non si era fatto vivo. Non aveva telefonato, non aveva lasciato alcun messaggio. Poi, verso le dieci, un’unità di pattuglia l’ha trovato in quella stradina. — Gli descrissi le due ferite da coltello che il padre aveva nel petto.
Si lisciò il mento. — Nient’altro?
Esitai, e alla fine gli parlai di quei due orrendi tagli al collo e alla faccia. Lo spettacolo, in sé, era stato orribile; ancora più orribile era descriverlo. Gli mostrai il punto esatto delle ferite, tracciandomele con l’indice sul mento e lungo il collo. — Inoltre, — aggiunsi, — la mano destra mostra delle ammaccature. Probabilmente, è accaduto durante la lotta.
Con i profondi occhi azzurri ancora fissi su me, rimase un poco a riflettere. Guardandolo, ricordavo il biondino grassoccio, dalle guance rosee, che avevo visto crescere fino a trasformarsi in un aggressivo atleta della squadra universitaria. Un brutto colpo alla schiena aveva messo fine alla sua carriera di sportivo professionista, ma il giovanotto se l’era cavata ugualmente bene come insegnante e come allenatore. Notavo, ora, che il figlio aveva finito con l’assomigliare molto al padre. Il solido fisico si stava appesantendo, i capelli biondi si stavano facendo radi, e il colorito roseo delle guance si era diffuso fino a dare al volto un che di rubizzo.
Mi domandò di quali indizi disponessimo, ma su questo punto non avevo molto da riferirgli. Avevamo cercato di far saltare una catena di stupefacenti, e non era impossibile che un’informazione anonima avesse fatto cadere il mio collega in un’imboscata. Dissi anche a Billy, dopo un istante di riflessione, che quello era proprio il tipo di caso in cui suo padre eccelleva: un caso in cui bisognava cominciare dal niente, senza un solo indizio al quale appigliarsi.
— Sì, — mormorò Billy, pensoso. — Papà era un ottimo poliziotto.
Nessuno di noi parlò, per un certo tempo. Era un po’ come quel minuto di silenzio che osservano negli stadi, dopo la scomparsa di qualche grande campione. Alla fine, Billy si scosse, come per allontanare da sé i ricordi, e si alzò.
— Dave, — disse, — grazie d’essere venuto tu stesso a portarmi la notizia. Penso che per te sia stata dura quasi quanto per me.
— Ancora più dura sarà per tua madre, — gli rammentai. — Vuoi che ci sia anch’io, quando glielo dirai?
Ci pensò un istante. — No, — decise. — Passerò prima da casa, per dirlo a Emmy, così verrà lei con me, da mamma.
— D’accordo. Vuoi vederlo, Billy?
— Sì, certo. Questo pomeriggio, sul tardi?
— Forse, — suggerii, — faresti meglio ad aspettare che gli abbiano... sì, ecco, sistemato un po’ la faccia.
Scosse la testa. — No, ci tengo particolarmente a vedere quei tagli. Non so neanch’io perché... ma voglio vederli.
Quel pomeriggio, poco dopo le quattro, Billy e io uscivamo dall’obitorio e ci fermavamo sugli scalini di cemento, nel sole. Si era alzato un vento gelido, ma noi non ci facevamo caso. Billy era terreo.
— Dave, ti assicuro che non capisco. Perché l’assassino avrebbe perso tempo a conciargli la faccia in quel modo?
— Non lo so. Un poliziotto si fa dei nemici. Forse l’han fatto per vendicarsi.
— E la mano escoriata, come la spieghi?
— Be’, la sua pistola è stata trovata a circa cinque metri di distanza. C’erano segni di lotta. Avranno dovuto pestargli le dita, per costringerlo a mollare l’arma.
Assentì. — Hai già un nuovo compagno, Dave?
— No, — dissi. — Il capitano vuole che per qualche tempo mi dia da fare per conto mio. Pensa che possa esserci un nesso tra la morte di tuo padre e le nostre indagini su quella faccenda degli stupefacenti. Vuole che torni a interrogare tutti quelli che avevamo già cercato di far cantare.
— Ti dispiace se vengo con te? — I suoi occhi azzurri sembravano supplicarmi.
— Billy, — temporeggiai, — l’ultima cosa che tuo padre avrebbe voluto era che tu facessi il poliziotto.
— Non si tratta di questo. Qui c’è di mezzo una faccenda personale.
— Come farai per il tuo lavoro?
— Il preside capirà. Solo per pochi giorni, Dave?
E così, pensai, il vecchio poliziotto non è morto, tutto sommato. Il suo spirito vive ancora in questo giovanottone.
— Sta bene, — dissi. — Ma bada, non avrai alcuna veste ufficiale.
— Lo so.
— E poi, devi promettermi una cosa, e cioè che non andrai a indagare di qua e di là per conto tuo. Se ti viene un’idea, lo dici a me. Non voglio che ci vada di mezzo anche tu. Intesi?
— Intesi.
Il mercoledì pomeriggio, due giorni dopo il fattaccio, Bill Fischer venne accompagnato all’ultima dimora. Sarà stato anche un gran giorno, per i criminali della nostra zona, ma dubito che avessero molte ragioni di rallegrarsi. Sapevano che l’intensità delle nostre indagini, in seguito alla morte di un poliziotto, avrebbe portato lo scompiglio in tutte le loro attività. Io ero soltanto una delle molte mani del lungo braccio della legge che copriva l’intera area metropolitana. Ero una mano indaffaratissima, questo sì, però mi ritrovavo regolarmente a stringere un pugno di mosche.
Billy cercava di compiacermi facendo di tutto per non darmi noia. Anzi, mi aiutava durante gli interrogatori, limitandosi a servire da spauracchio. Se ne stava silenziosamente nello sfondo, osservando attentamente le facce di quelli che venivano interrogati. Questo produceva quasi lo stesso effetto che se il fantasma di Bill Fischer si fosse levato dalla tomba per chiedere vendetta contro il proprio assassino. La presenza di Billy innervosiva gli interrogati al punto di indurli a dire quello che sapevano. Sfortunatamente, nessuno sembrava sapere gran che.
George Schafer, un bisunto lestofante che dirigeva i suoi loschi traffici da un ufficetto installato nel retro di una lavanderia, nella Chicago Avenue, reagì in maniera tipica.
— Un nuovo piedipiatti? — sogghignò, osservando Billy con fare circospetto.
— Sai benissimo chi è. Vuol saper chi ha fatto fuori il suo vecchio.
— Non domandatelo a me. Io non c’entro per niente.
— Bill Fischer ti stava alle costole da un pezzo, Schafer. Per conto mio, tu sei l’indiziato numero uno.
— Non aveva in mano niente, contro di me. Non avete diritto, O’Hara, di portarvi dietro quel Maciste, per minacciarmi. Non l’ho ucciso io.
— Chi è stato?
— E che ne so?
— Se lo sai, faresti meglio a dircelo. Non vuoi che ricominciamo a starti alle costole, vero?
Schafer era furente, ma era anche spaventato.
— State bene a sentire, io non ho fatto niente e non so niente. E adesso portatevi via quell’ammazzasette, capito?
Neppure i nostri informatori più fidati erano in grado di darci un indizio. Lenny Karbo, il migliore di tutti, non seppe offrirmi altro che la sua comprensione, quando gli telefonai.
— Accipicchia, O’Hara, — borbottò, — m’è dispiaciuto da matti. Fischer era un buon poliziotto. E quello che gli han fatto alla faccia! Porci!
— Lenny, che cos’hai sentito, in giro?
— Niente. Morissi in questo momento, O’Hara, non ho sentito una parola!
— Non hai nessuna idea?
— Ve la direi, accipicchia. Ma una cosa, vi dico. Non vorrei essere al posto di quel tale.
— No? E perché?
— Sapete il ragazzo di Fischer, quel pezzo di marcantonio che giocava a rugby?
— Lo conosco, sì.
— Be’, detto tra noi, ma... povero lui, quel tale che ha fatto fuori Fischer!
Il martedì della settimana seguente, il capo indisse una riunione di capitani e di investigatori per coordinare i diversi elementi emersi nel caso Fischer. Il rapporto diceva che alle ricerche erano state dedicate qualche migliaio d’ore di attività da parte del complesso degli agenti della polizia metropolitana. Decine e decine di criminali noti e sospetti erano state interrogate, con particolare attenzione rivolta ad artisti del coltello, delinquenti minorili e gente che aveva conti da regolare con Bill Fischer. Ma non si era fatto avanti un solo teste, e sul luogo del crimine non era stata trovata nessuna ulteriore prova. Risultato: zero.
Il caso venne affidato alla Omicidi, e tutti gli altri uffici investigativi ritornarono alle normali mansioni. Io, però, ottenni una dispensa speciale. Il capitano mi affiancò Jablonski, un giovane e sveglio esperto della omicidi. Era tempo che Billy se ne tornasse al suo liceo.
— In fin dei conti, — gli feci notare, — cosa vuoi che imparino quei ragazzi, da un supplente?
Non voleva rassegnarsi. — In questi giorni, non imparerebbero molto nemmeno da me, — brontolò. Eravamo seduti nella mensa della sede di polizia, e notai che l’appetito di Billy era ancora buono, a giudicare dai panini che stava facendo sparire.
— Sta’ a sentire, — disse, fermandosi nell’atto di addentare un boccone, — fammi un ultimo favore, vuoi?
— Se posso.
— Dammi il numero di telefono di Lenny Karbo.
— Per farne che? Se avesse saputo qualcosa, mi avrebbe avvisato.
— Voglio semplicemente fargli una domanda.
— Lenny è il mio informatore più prezioso. Non vorrai intimidirmelo, vero? O strapazzarlo?
— No, ti ripeto che voglio domandargli una cosa.
Gli diedi il numero, poi andai a raggiungere Jablonski, convinto che, d’ora in avanti, i miei rapporti con Billy Fischer sarebbero stati unicamente di natura sociale. Non pensai nemmeno a mettermi in contatto con Lenny. Se Billy voleva farmi sapere qualcosa, me l’avrebbe detto lui stesso.
Ma il nostro successivo incontro non fu affatto di natura mondana, pur avvenendo in un bar di East Hennepin. Mi diressi verso un cerchio di luce al centro del locale, scorsi Billy che mi faceva energici segnali da un tavolino nella zona in penombra e mi diressi verso di lui.
— Forza, — dissi. — Che c’è di nuovo?
— Non ti ho tirato giù dal letto, vero? — Parlava nel tono scherzoso che tante volte aveva usato con me nei vecchi tempi, prima che suo padre venisse ucciso.
— Non fa niente, — dissi. — In ogni modo, mi ero già dovuto alzare per venire a rispondere al telefono.
Sorrideva, mi sembrò. Non vedevo bene, perché l’angolo era buio.
— Bene, — annunciò, — credo d’averlo trovato. O meglio, qualcuno l’ha trovato per me.
— L’assassino?
— Sì.
— Chi l’ha trovato? Lenny?
Esitò. — Sì, Lenny mi è stato di aiuto. Mi ha detto dove cercarlo. E il barista mi ha detto quando cercarlo.
— Ah, sì? E quando sarebbe?
Guardò il quadrante luminoso dell’orologio dietro il banco. — Viene quasi tutte le sere qui, tra le undici e mezzanotte.
— D’accordo, — dissi. — Ora sono le undici e dieci. Hai venti minuti buoni per dirmi di che diavolo stai parlando.
— Certo, — disse lui, senza perdere d’occhio la porta d’ingresso. — Se ti ricordi, mi dicesti che papà era specialista nel risolvere questo genere di casi; «partendo dal nulla», ti esprimesti proprio così. Bene, cominciai a domandarmi come avrebbe fatto lui, per risolvere questo particolare caso, e allora mi venne un pensiero strano: forse, l’aveva fatto anche stavolta.
— Fatto che cosa?
— Di creare un primo indizio, partendo dal nulla, — rispose Billy, con espressione truce.
La porta del locale si aprì e Billy, irrigidendosi, alzò lo sguardo.
— È in anticipo, stasera, — disse.
Mi voltai a guardare. L’uomo che stava entrando in quel momento era alto, magro e mal vestito, e aveva un modo di fare sospettoso, da animale braccato. Lo conoscevo. Non l’avevo mai visto da vicino, ma lo riconobbi subito dalle ferite che aveva sul volto. Una gli correva da sotto l’orecchio sinistro lungo tutto il collo, l’altra partiva dall’angolo destro della bocca e gli attraversava il mento. Si stava facendo crescere la barba, ma si notavano i solchi, lungo le cicatrici, che invece di sparire spiccavano ancora più nitide.
L’uomo si appollaiò su uno sgabello del bar e ordinò da bere. Il barista lo servì e, dopo un’occhiata in direzione nostra, si eclissò. Portai la mano alla pistola, facendo cenno a Billy di non muoversi.
— Aspetta, — bisbigliò lui, — ho un’idea.
Prima che potessi impedirglielo, si era portato dalla semioscurità in piena luce. L’uomo, avvertendo la sua torreggiante presenza, si girò di scatto.
— Salve, assassino, — disse Billy.
Era la solita tattica intimidatoria, l’effetto dello spettro assetato di vendetta; e funzionò. L’assassino, captando il pericolo che lo minacciava, si lasciò prendere dal panico. Si gettò contro Billy, facendo balenare il coltello, ma l’ex-atleta schivò l’incontro con un balzo laterale, lasciandomi perfettamente scoperto il bersaglio. Il mio proiettile colpì l’uomo alla spalla destra, facendolo girare su se stesso e mollare il coltello. Lui tentò di raccattarlo, ma Billy schizzò su come una molla, urtandolo e scaraventandolo al suolo, a un paio di metri di distanza dalla lama. Accorsi, con la pistola puntata.
— Sono un agente di polizia, — dissi. — Siete in arresto.
— Ma sì, ma sì, — gemette l’uomo. — Basta che mi salviate da quel gorilla!
Non è vero, come il suo difensore insinuò in seguito, che gli estorsi una confessione con la minaccia di consegnarlo a Billy. D’altra parte, non ricordo d’avergli promesso di non farlo. Sia come sia, era atterrito quanto bastava per dirci tutta la verità.
Era uno di passaggio, nella nostra città, e si chiamava Dawson. Il mattino del fattaccio, mentre smaltiva una sbornia in fondo a un vicolo, si era sentito improvvisamente scrollare da un grosso poliziotto, dall’aria decisa. Preso .dal panico, aveva istintivamente estratto il coltello, e un istante dopo l’aveva affondato nel petto di Bill Fischer.
— Già, — lo interruppi. — Poi l’hai colpito una seconda volta e, come se non bastasse, gli hai sfregiato la faccia. Ma che specie di mostro sei, eh?
— Non gli ho sfregiato la faccia, — protestò. — Lo fece da sé!
Guardai Billy. Non sembrava affatto sorpreso.
Anche Dawson stava osservando Billy. — Ascoltate, — riprese. — Io non sapevo che fare, in quel momento. Lui giaceva là, con il mio coltello nel petto, ed era già un bel guaio. All’improvviso, lui impugna il coltello e se lo strappa dal petto. Penso che voglia tirarlo a me, o qualcosa del genere, ma lui si mette a sfregiare la propria faccia! Allora, capisco che cos’ha in mente. Maledizione, era come se stesse facendo il mio ritratto! Che cosa potevo fare?
Quello che aveva fatto, naturalmente, era stato di strappare il coltello di mano al ferito, finire Bill con una seconda pugnalata e fuggire portandosi via l’arma. La pistola, evidentemente, era caduta durante la lotta, e Dawson non aveva perso tempo a cercarla... era troppo ansioso di svignarsela.
Più tardi, dissi a Billy: — Tuo padre era un poliziotto anche migliore di quanto io pensassi.

 

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