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mercoledì 3 luglio 2024

Toni Carini: Fino alla morte


«Sembra che non ce la farà.» Il poliziotto si accese una sigaretta appoggiandosi alla porta che aveva appena accostato. Forse il caso lo avrebbero affidato a lui, ma per il momento gli sembrava di essere il piantone. «Si è agitato troppo, il metallo ha lacerato malamente la pelle del collo.»
Il commissario era giovane. Troppo giovane, pensava Bertoni: prendono la laurea e fanno carriera, sono preparati e intelligenti, niente da dire: ma cosa ne sanno della gente che gli passa per le mani: lui aveva percorso uno per uno tutti i gradi, dalla pattuglia in giro per la città fino ad essere quello che era adesso: ancora un caso ben risolto, poi qualche anno di lavoro d’ufficio, pronto per la pensione. Allora forse l’abilità accumulata in tanti anni di lavoro duro sarebbe davvero servita: sarebbe stato il poliziotto privato più richiesto, aveva acume, tecnica, un’agilità più che notevole per i suoi quarantadue anni.
«Un caso piuttosto facile per la sua abilità». Il complimento Bertoni non se l’aspettava: un caso semplice, di strano c’erano solo l’arma del delitto, un piccolo micidiale coltello da samurai, e le circostanze in cui era stato scoperto: del resto chi se non un poliziotto poteva scoprire un ferito nella sua abitazione, se la vittima è un detenuto agli arresti domi ciliari che vive con gli anziani genitori, e questi ultimi sono fuori città per una gita? L’arma era un problema più rilevante: il padre era collezionista d’armi, non sarebbe mancata la scelta ad un assalitore improvvisato che si trovasse nella necessità di sferrare un colpo; ed un assassino preparato sarebbe sicuramente andato armato di pistola, magari con il silenziatore: nell’ambito delle conoscenze della vittima non mancavano certo personaggi di tal fatta, e parecchi di loro avevano moventi più che validi per prendersela con un ex vitellone privo di qualità morali di qualsiasi tipo, ma aggressivo e parolaio come era la vittima. C’era solo da tirare un sasso nel sottobosco della malavita (o in alternativa nelle carceri cittadine) per colpire qualcuno che avesse motivi di rancore nei suoi riguardi. Ma lo stile dell’aggressione non si confaceva a personaggi abituati alla violenza; e poi Lanzi, la vittima, non avrebbe aperto la porta a chiunque nelle condizioni in cui si trovava. Tutto questo Bertoni lo sapeva da sé, gli sembrava un po’ offensivo per la sua appena elogiata abilità sentirselo raccontare dal commissario: va bene che davanti ad una tazza del caffè dell’ospedale forse il commissario chiacchierava solo per non pensare al sapore del liquido nerastro che stava trangugiando.
«Ha intenzione di affidare a me il caso, allora, dottore?» Incrociarono un attimo gli sguardi valutando le intenzioni l’uno dell’altro. Al commissario, Bertoni non piaceva granché, si sentiva sempre un po’ sotto esame dal poliziotto, più anziano di lui, con tanta esperienza pratica; e poi, da bravo meridionale si sentiva poco a suo agio con quel veneto dallo sguardo azzurro e glaciale.
«Per il momento se ne occupi lei, lei che ha scoperto il fatto, ha il vantaggio di essere stato sul posto per primo. Se non ufficialmente, sarà comunque meglio che anche in un secondo tempo continui poi a dare una mano ad un suo eventuale sostituto.»
“Strana battuta, questa, perché parlare di un ‘eventuale’ sostituto? Che sia così imminente il momento in cui mi metteranno in ufficio?”
«Se fossi in lei comincerei ad avvicinare l’ex fidanzata di Lanzi. Forse sa qualcosa di lui che ci è sfuggita, ha anche avuto parecchi guai per causa sua». Il coltello da samurai era perfetto per una mano femminile, ma questo il commissario non l’aveva aggiunto.

Il chirurgo li raggiunse provenendo dalla stanza dove Lanzi era ricoverato: «È morto, aveva perso troppo sangue. Suppongo tocchi a voi avvertire i parenti.»
«Adesso abbiamo un caso di omicidio, mi raccomando, Bertoni, il padre di
Lanzi è un piantagrane, qualcosa dovrà saltare fuori. Si muova, rintracci la ragazza.»
Il commissario aveva già parecchi altri pensieri, e quello che avevano tra le mani era il classico caso che non interessava nessuno. Ed ora era ufficialmente, almeno per il momento, il caso di Bertoni.

«A cosa devo l’onore? Ormai questo tipo di visite non le ricevo più da un pezzo, sono in libertà provvisoria, se non l’avessero informata». La ragazza era rifiorita dal tempo dell’arresto. Bertoni se la ricordava vagamente, certo che due anni lontana dal Lanzi non le avevano fatto per niente male. Era smagrita, ma la figura si era fatta più snella ed attraente. Il viso senza trucco sembrava quello di una ragazzina.
Sono gli uomini che fanno invecchiare le donne: quelle che li aspettano, inacidiscono; le altre si sciupano. Questa che era rimasta senza un uomo di cui occuparsi, aveva finalmente cominciato ad occuparsi di se stessa.
«Sono qui solo per farle qualche domanda» comincia il poliziotto. Poi, senza preamboli «In che rapporti era rimasta col Lanzi?»
Gli risponde un silenzio poco promettente.
«In altre parole, come resterebbe se le dicessi che è morto?»
«Mi dispiacerebbe moltissimo, perché avrei voluto ammazzarlo con le mie mani! No, assurdo, adesso che me lo dice così, mi fa quasi pena. Non gli porto più rancore. Ne sono fuori, e basta. Ma perché mi viene a dire queste cose? Non sarà morto sul serio? Sarebbe la prima cosa che fa sul serio!»
«Bella la stima che hanno le donne dei loro uomini! A dirle la verità, sono qui per sapere qualcosa sul suo fidanzato.»
«Ex fidanzato, per favore». La ragazza non si preoccupava di nascondere la propria animosità nei confronti della vittima, era fin troppo evidente che non aveva niente da rimproverarsi.
Intanto l’aveva invitato ad accomodarsi ed aveva accettato una sigaretta.
Lo sguardo professionale di Bertoni aveva in pochi secondi abbracciato l’intero piccolo appartamento. Sulla parete destra dell’ampio locale nel quale si entrava direttamente dalla porta d’ingresso si apriva la porta che conduceva presumibilmente alla camera da letto, a sinistra una piccola cucina si indovinava dietro una parete scorrevole a riquadri bianchi. Il locale in cui l’aveva fatto entrare era quasi completamente bianco – bianca la moquette, le pareti, i grandi cuscini ammucchiati in terra intorno ad un tavolino bianco di plastica stampata. Unica decorazione delle pareti, l’ampia finestra luminosa parzialmente nascosta da una tenda bianca, dietro la quale si intravedeva un intrico verde e rigoglioso di piante tropicali. Il tutto dava una sensazione di serenità e di raccoglimento. Bertoni ne fu leggermente deluso: si aspettava un ambiente pieno di sensualità, nel quale risaltasse la figura di una donna di piacere, quella che poteva essere l’amante di un bandito. Quella sembrava piuttosto la cella di una monaca ricca.
La ragazza intanto si era rilassata e parlava volentieri, apparentemente insensibile alla notizia della morte dell’ex fidanzato. In poche frasi diede una sommaria descrizione dei suoi anni di convivenza con il Lanzi, delle poco esaltanti imprese di lui, dei guai in cui per causa sua si era cacciata. Al tempo del processo, non solo non era stato abbastanza uomo da scagionarla, ma l’aveva addirittura accusata di cose commesse da lui, nell’assurda speranza di alleggerire la propria posizione.
Sì, aveva ottimi motivi per desiderarne la morte, ma come si era comportato con lei così si era comportato con altri, gente senz’altro più pericolosa, tanto da far ritenere che godesse di una speciale protezione. E poi lei era stanca di odiare. Prima di incontrare il Lanzi si era interessata di discipline orientali, e adesso era finalmente libera di pensare solo più alla propria evoluzione spirituale.
“Un piccolo, micidiale coltello da samurai”. Un abbinamento troppo ovvio per la raffinata abilità indagatoria di Bertoni.


«Cosa ricorda dei primi tempi del vostro rapporto? Le parlava mai del suo passato, di amicizie di più antica data?» Le domande di Bertoni non seguono apparentemente uno schema logico, ma la ragazza è cauta nelle risposte: forse teme di inguaiare qualcuno, certo è piuttosto abile a sottrarsi alle domande senza dare l’impressione di essere reticente: una ragazza in gamba, pensò Bertoni, sprecata con un imbecille come Lanzi.
Nella stanza bianca seduto comodamente sul grande cuscino, Bertoni si sente perfettamente a suo agio, il tempo passa veloce, lasciando nel poliziotto il desiderio di tornare ed approfondire, se non l’indagine, almeno la conoscenza della ragazza.
«Qualcosa è saltato fuori: tempo fa aveva intrattenuto strani contatti per una fornitura d’armi, non credo però che la ragazza sia disposta a dire di più» disse Bertoni appena si fu lasciato andare nella comoda poltrona di cuoio nello studio del commissario.
«Sulla passione per le armi del Lanzi abbiamo un intero fascicolo. Non vorrà farmi credere che questo è tutto quanto è riuscito a tirar fuori alla ragazza!»
«Si tratta di qualcos’altro, aveva tenuto in ballo diverse persone, per parecchio tempo, poi come al solito non aveva concluso niente; probabilmente ha messo in imbarazzo più di un personaggio del giro, quella
è gente che se la lega al dito. Bertoni non è conosciuto come uno che parla a vanvera.»
«Se ritiene che possa rivelarsi una buona pista, non ha bisogno della mia approvazione per lavorarsi la ragazza» concluse il commissario, guardando l’orologio. Bertoni si alzò senza attendere altri segni di impazienza del superiore. Aveva una sua idea personale sul modo di “lavorarsi la ragazza”, sapendo perfettamente che non sarebbe servito a molto in timidirla, comportandosi da poliziotto duro. Sorrise tra sé, non sarebbe stato un compito del tutto spiacevole.

«Avessi saputo che conosceva posti cosi belli, non avrei fatto tante storie per accettare il suo invito!» Angela è di buonumore. Quel poliziotto sembrava tanto serio e formale; in un primo momento si era proprio insospettita vedendoselo di nuovo davanti, in tenuta sportiva, a proporle di uscire con lui per una gita in auto. Però
Bertoni ci aveva sempre saputo fare con le donne. Anche per questo il suo matrimonio non era durato a lungo. Solo che col suo mestiere per le donne non aveva mai molto tempo.
«Se non abbiamo fretta di rientrare, conosco anche qualche trattoria dove potrei invitarla a cena, se è d’accordo. Propongo di andare subito a bere qualcosa, se ceniamo presto non sarà nemmeno buio quando torneremo in città.
La prima delle serate che Angela passerà con Bertoni trascorre allegramente, parlando dei più disparati argomenti. La ragazza è una compagna molto gradevole e stimolante, non fa certo rimpiangere a Bertoni il tempo libero che dedica all’indagine affidatagli.

«Lei è padrone di passare il suo tempo libero come e con chi le pare.»
Naturalmente il tono del commissario era severo ma nello sguardo ebbe un lampo di divertita malizia. «A meno che non si ritrovi poi impelagato in qualche love story con una potenziale inquisita. O peggio, che la ragazza si serva di lei, in qualche modo.»
«Tendo ad escludere Angela Torri come sospetta: la ragazza è studiosa di discipline orientali, credo che considererebbe un sacrilegio usare un coltello da samurai su un elemento come il Lanzi!» Era stata una piccola arma efficace, però, si disse Bertoni.
Il colloquio con il commissario come al solito non durò a lungo. Quando si alzò, Bertoni si sentì sollevato. Poteva anche prendere una piega imbarazzante, in tanti anni di servizio era sempre riuscito a tenere il lavoro separato dalla vita privata, ed ora invece non poteva negare che la nuova amicizia che stava nascendo tra lui ed Angela cominciasse a coinvolgerlo più del previsto. Meno era costretto a discuterne con il commissario, meglio era.

«Erano secoli che non bazzicavo questi locali! Anche quando stavo con Gino uscivamo pochissimo, non so come pretendesse di diventare un boss della malavita standosene a guardare la televisione!» Angela si divertiva moltissimo quando Bertoni la invitava fuori la sera. «Questi posti li frequentavo prima di conoscerlo, qualche volta ci siamo venuti anche insieme. Con tutti i suoi difetti, aveva una certa personalità, sicuramente qualcuno si ricorderà di lui.»
«Cosa vuoi dire con questo?» Bertoni è colpito, ed anche un po’ contrariato dall’acume della ragazza.
«Non vorrai farmi credere che sei più interessato a me che al caso che devi risolvere? L’ho capito quasi subito che mi stavi dietro per scoprire qualcosa di più.»
«Allora perché non mi hai mandato al diavolo?» domandò il poliziotto.
«E perché mai? Mi sarei persa una bella occasione per giocare al detective, e poi se posso darti una mano… mi sei stato subito simpatico… e quando troviamo l’assassino voglio esserci per fargli i miei complimenti» scherzò Angela, risolvendo la tensione che si era creata tra loro dopo la sua prima frase.
“Questa sera forse è la volta buona che mi invita a salire da lei” si disse
Bertoni. La serata era stata davvero particolarmente piacevole, ormai era una settimana che si vedevano quasi tutte le sere. Dopo il semaforo svoltò a sinistra infilando lentamente la strada dove Angela abitava, e quasi subito lei gli disse – quasi gli ordinò – di accostare l’auto al marciapiede.
«Cosa ti prende?» chiese Bertoni, leggermente seccato.
«Spegni i fari. Lo vedi quel tizio sul marciapiedi di fronte al mio portone? Sono almeno tre sere che lo vedo lì, o sull’altro lato, idiota, crede che non me ne sia accorta! Sono quasi sicura che è un vecchio amico di Gino, uno che non ho più visto da allora. Non ho una gran memoria per le facce, ma uno con un muso come quello, in questo quartiere, si capisce che non è al suo posto. Non voglio che mi veda con un poliziotto, chissà cosa è capace di pensare!»
«Cosa importa quello che pensa, quello è lì per farti del male, o per tirarti dentro in qualche cosa di sporco, forse anche rapirti!» Bertoni si rende conto in quel momento di quanto tiene ad Angela. Lei invece non sembra preoccupata, quasi le viene da ridere. «Rapirmi, quello lì? Quello è della stessa pasta del Lanzi, figurati! Al massimo mi avvicinerà e cercherà di mettermi paura!» Di fronte alla tranquilla sicurezza di lei, Bertoni si rassegna.
Se dovrà rinunciare ad una conclusione rosa della serata, non è detto però che non possa concludere almeno in attivo. Angela lo saluta frettolosa mente e si avvia verso casa, lui starà a controllare la situazione, forse l’amico del Lanzi più tardi lo condurrà in qualche posto interessante.
L’importante è avere pazienza e non perderlo d’occhio.

Angela è appena entrata nell’androne, il poliziotto è pronto a scattare fuori dell’automobile per bloccare l’individuo che ha mosso qualche passo in direzione del portone della casa di Angela. La ragazza deve aver lasciato la porta socchiusa, o la serratura è difettosa, o forse il giovane aveva avuto tutto il tempo di manometterla: con sgomento Bertoni lo vede entrare per lo stesso portoncino nel quale ha appena visto entrare
Angela. In un attimo è lì, appoggia la mano al portoncino apparentemente richiuso, ma lo vede riaprirsi. Ha uno scatto rapidissimo che lo porta dietro un’auto parcheggiata accanto, appena in tempo per vedere il tizio uscire di nuovo. Cosa ha fatto in quei pochi secondi all’interno dell’androne?
Il portoncino ora è di nuovo chiuso, Bertoni preme disperatamente il pulsante del citofono tenendo d’occhio l’uomo che si allontana. Angela gli risponde, finalmente. Sta bene, cosa diavolo è successo? Il poliziotto ha solo il tempo di salutarla e corre alla macchina. Forse riuscirà a trovare le tracce del giovane, o la sua è stata un’abile manovra per fargli perdere tempo? Percorre lentamente le strade buie e quasi deserte. Il suo uomo potrebbe essere nascosto dietro uno qualunque dei grandi alberi che costeggiano i viali, o in una qualunque delle automobili parcheggiate nei dintorni. Trovarlo è un punto d’onore, ma sembra un’impresa disperata.

«Adesso mi spieghi che cosa diavolo ti ho fatto!» La guancia di Angela brucia, ma gli occhi della ragazza sprizzano scintille. «Arrivi qui come un pazzo e mi prendi a sberle, chi credi di essere, maledetto sbirro?»
«Non so neanch’io cosa ho raccontato alla narcotici per tenerti fuori, dopo che ho ritrovato il tuo amico in piazza a dar via bustine. Credeva di avermi seminato, l’idiota! Io voglio solo sapere cosa ti ha dato quando ti ha seguito nel portone!»
«E tu mi credi così cretina da comprare roba con un piedi piatti appostato fuori casa? Poi mi conosci abbastanza da capire se sono una che si fa oppure no? Cosa vi insegnano alla scuola di polizia?» La ragazza è furente, mentre a Bertoni la cosa comincia ad apparire sotto una luce quasi comica.
«Va bene, se non fossi un maledetto sbirro ti chiederei scusa; forse quel disgraziato aveva capito la situazione e ti voleva soltanto inguaiare.»
«Immagino che per l’omicidio invece tu sia ad un punto morto. Non sarà questa la causa del tuo nervosismo?» Angela aveva colpito nel segno.
«Il commissario mi toglierà il caso, salvo sviluppi imminenti: il padre del Lanzi non lo lascia in pace, ed io vado a fare omaggio del mio tempo alla narcotici!»
«Se mi prometti di trattenere il tuo zelo e di lasciar perdere quelli che non hanno a che vedere col tuo caso, ti presento un po’ di gente che ha conosciuto Gino, qualcosa salterà fuori, che ne dici? Almeno puoi riferire questo al commissario, che ho deciso di darti una mano, ma non farti delle idee, non ho paura di te, e nemmeno per simpatia, questa volta. Sei solo riuscito a dimostrarmi che voi uomini siete tutti uguali, e forse è giusto trovare un assassino, anche se di un bastardo come il mio ex fidanzato.»

Nella sua lunga carriera nella polizia, Bertoni aveva conosciuto un’infinità di persone, e visto numerosissimi posti, tutti diversissimi tra loro; andare in giro con Angela fu però un’occasione per arricchire ampiamente la sua esperienza: stavano ore appostati in macchina a spiare i movimenti di gente di cui Bertoni non aveva mai nemmeno sospettato l’esistenza, un sottobosco di piccola malavita che si occupava di tutto, dal riciclaggio di gomme per auto alla contraffazione di ogni tipo di documento, dalle targhe per automobili false al furto di materiali d’ogni tipo nei cantieri. La maggior parte di queste attività era competenza di persone insospettabili, il fioraio all’angolo del grosso casamento popolare o il rivenditore di auto usate, con un’impresa così ben avviata da far ritenere assurdo che rischiasse tutto per le poche migliaia di lire che l’attività illegale poteva fruttargli.
Una sera Angela ebbe un’idea. «Di persone con un buon motivo per far fuori il Lanzi, la città è piena. Ma vedi da te che è tutta gente che non avrebbe la statura criminale di un vero e proprio assassino. Tutte parole, proprio come il Gino. Gli altri, quelli grossi che ha messo nei guai sono ancora in galera, sono stranieri, non avrebbero avuto il tempo di organizzarsi qui, bontà loro si fidavano ciecamente di lui. Però c’è qualcuno che è abbastanza stupido e l’ha fatta abbastanza grossa da avere paura di Gino:
è il suo ex socio, quello che ha organizzato l’affare che ha portato al primo arresto di Gino, anni fa. Era quella brutta storia di armi rubate, e soltanto Gino ed io sapevamo della complicità di questo tizio. La paura è il miglior movente, quando si ha a che fare con gente di questo livello!»
Comincia così una laboriosa ricerca a ritroso nel tempo. Angela ricorda che il personaggio in questione gestiva un’autorimessa, ricorda anche il posto che Lanzi le aveva indicato a suo tempo. Purtroppo è come se il loro uomo non fosse mai esistito.
Anche nella villetta fuori città le tracce sembrano fermarsi: vi alloggia una famigliola proveniente dal Veneto, tre bambine bionde ed una vecchia nonna che dice pochissime parole incomprensibili con una bocca quasi priva di denti. Vivono lì da almeno due anni, troppo per trovare le tracce della persona che interessa Bertoni. Anche le ricerche che il poliziotto effettua tramite l’ufficio non portano da nessuna parte.

Angela e Bertoni si guardano sconsolati al disopra di due Bourbon nel pianobar che sta diventando il loro ritrovo preferito.


«Adesso siamo ad un punto morto ed io ho soltanto la tua parola che non succederà niente alle persone che ti ho fatto conoscere. Proprio un bel successo» borbotta Angela. Bertoni, dispiaciuto per il malumore di lei, le rivolge un’affettuosa espressione dialettale, aggiungendo: «Non preoc cuparti, non metteremo nei guai quella brava gente, cerchiamo assassini, non poveracci!»
Qualcosa si sveglia nella mente di Angela. «Domani torniamo alla casa dove il nostro abitava. Le bambine sono venete, no? Forse la famiglia ha comprato la casa da lui, o da parenti di lui: mi hai fatto ricordare proprio tu che il tizio era veneto, come te! Vedrai che qualcosa troveremo.»

Le ricerche questa volta sembrano prendere una piega migliore: Angela e
Bertoni sono in macchina davanti ad un’officina che risulta essere l’ultimo indirizzo conosciuto del personaggio che li interessa. D’un tratto Bertoni si sente tirare per il gomito: «È lui. Scendiamo» ed Angela è scesa dall’auto prima che Bertoni abbia il tempo di trattenerla. Scende anche lui, insieme si avvicinano all’uomo che è solo.
«Facevamo bene a pedinarlo per un po’» bisbiglia Bertoni alla ragazza. Ma lei affronta subito l’uomo.
«Lei non si ricorda di me, vorrei solo farle qualche domanda sul suo ex socio, il Lanzi.» L’uomo la guarda appena, poi il suo sguardo si ferma sul poliziotto.
«Mi ricordo di lei, anche se sono passati tanti anni. Più di dieci, vero?
Suo fratello era un bravo ragazzo, anche se era un carabiniere; al paese era benvoluto da tutti. Non siete mai riusciti a prenderli, quei teppisti?
Ma adesso cosa volete da me?»
Bertoni tace, Angela ha capito: «Grazie, ma ha già risposto alle domande che pensavamo di farle. Buona sera».
Mentre l’uomo si allontana i due si guardano negli occhi:
«Quanto tempo ci hai messo a ritrovarne le tracce? Che cosa aveva fatto a tuo fratello?» chiede Angela con un’espressione dura negli occhi castani.
«L’hanno ammazzato, il Lanzi e i suoi amici. Ma gli altri erano già morti quando li ho rintracciati, chi per un motivo chi per l’altro. Giocavano alla politica, ed il loro sporco gioco li ha bruciati. Solo Lanzi era persino troppo vigliacco per loro, così l’ho trovato io. Hai capito in fretta, però.»
«Ho avuto a volte l’impressione, in questi giorni, che tu non fossi abbastanza motivato nella tua ricerca. E poi chi poteva procurare una ferita come quella, se non un esperto? Geniale: attraverso la gola, così non avrebbe potuto parlare, ma in un punto non vitale, così morendo dissanguato, non si sarebbe potuto stabilire con esattezza il momento della morte rispetto a quello del rinvenimento del corpo. E casualmente l’ha trovato il nostro bravo poliziotto… quanto tempo sei stato lì a contemplare la tua vittima che moriva dissanguata?»

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