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mercoledì 31 luglio 2024

Alfredo Catalani

 

Alfredo Catalani (Lucca, 19 giugno 1854 – Milano, 7 agosto 1893) apparteneva a una nota famiglia di musicisti ed era figlio di un maestro di musica (allievo di Giovanni Pacini), dal quale ebbe i primi insegnamenti. La madre, invece, era direttrice di un collegio.
Iniziò a studiare nella sua città natale, presso l'Istituto Musicale Pacini (oggi Boccherini), poi a Parigi e infine Milano, dove, terminati gli studi, Catalani si mise in vista presentando un breve lavoro eccentrico e vigoroso intitolato La falce, egloga araba per due voci e coro su libretto di Arrigo Boito. Si è poi stabilito a Milano, dove si mosse in una cornice vicina alla scapigliatura milanese e agli artisti più progressisti, tenendo conto, oltre che della lezione di Richard Wagner, del rinnovamento sinfonico e del dramma lirico francese. 
Nell'estate del 1893, Catalani, prostrato dall'ormai cronica tisi (di cui erano già morti sia la sorella che il fratello), decise - come d'abitudine - di andare in montagna per ristabilirsi. Partì quindi per la Svizzera, ma a Chiasso (durante il viaggio) venne colpito da una violenta emottisi che lo costrinse a rientrare a Milano. Il 7 agosto 1893, dopo alcuni giorni di agonia, Alfredo Catalani, a soli 39 anni, moriva dopo una vita drammatica e tormentata. Due giorni dopo, venne provvisoriamente sepolto nel Cimitero Monumentale di Milano.

Soltanto il 16 marzo 1894, di fronte alle autorità cittadine, la salma verrà definitivamente traslata nella natia Lucca, presso il famedio del cimitero monumentale di Sant'Anna. Sarà solo a partire dal 1905 che Arturo Toscanini imporrà la ripresa delle sue opere. Catalani, quindi, riacquisterà fama nel corso del Novecento, almeno fino agli anni Settanta

Catalani fu musicista raffinato e dotato di squisita ispirazione, specie nei toni della mestizia e del languore. Le sue opere compensano con tali doti una certa debolezza di architettura drammatica. Nonostante l'apprezzamento del pubblico, la critica ufficiale è sempre stata poco benevola verso Catalani, al quale è stato spesso rimproverato di essere troppo "wagneriano" (e quindi poco italiano). Non è certo un caso, del resto, che due opere come Cavalleria rusticana e Pagliacci si siano affermate in modo più deciso rispetto alle coeve Loreley e La Wally. Giuseppe Verdi non provava entusiasmo per le opere di Catalani, ma nonostante ciò ordinò - dopo la morte del compositore - un busto da mettere nella casa di Sant'Agata.

Intermezzi da Loreley, op. 53 & La Wally, op.57
Gli fu indicato il romanzo di Flaubert Les Tentations de Saint-Antoine, e di questo parlò a Ghislanzoni e all'amico Giuseppe Depanis. Tuttavia quest'ultimo gli suggerì l'idea di riprendere in mano Elda (Torino, Teatro Regio, 31 gennaio 1880) e di modificarla adeguatamente anche sotto il profilo scenico. Il rifacimento del libretto fu opera di Carlo d'Ormeville e di Angelo Zanardini, con la collaborazione di Depanis, Illica e Giacosa. Catalani si accinse alla composizione sin dal settembre 1886, sicuro che la nuova Elda - ribattezzata con il nome Loreley - sarebbe stata il suo capolavoro. 

I lunghi ma piacevoli soggiorni in Engadina per ragioni di salute spinsero Catalani a familiarizzarsi con un mondo che avrebbe poi trovato forma concreta nel soggetto di Wally. Il musicista lo trovò in un racconto d'appendice su 'Perseveranza' e rimase ammirato da una scansione narrativa che, evitando i consueti duetti, terzetti e quartetti, si concentrava su una visione ampia, d'assieme. La stesura dell'opera, iniziata nel 1889, fu terminata due anni dopo.

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